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La strada che ci ha portati a “Terminator Trump” (Please Congress pensaci tu…)

La ricostruzione del New York Times su come siamo arrivati ad un passo dalla guerra con l'Iran e quanto il presidente USA sia ormai imprevedibile e pericoloso

Stefano VaccarabyStefano Vaccara
La strada che ci ha portati a “Terminator Trump” (Please Congress pensaci tu…)

Donald Trump, illustrated by Antonella Martino

Time: 3 mins read

Dunque questa la ricostruzione fatta da una squadra di giornalisti del NYT tra i quali tre premi pulitzer.

Quando i vertici militari avevano presentato le varie opzioni al presidente Donald Trump per come reagire ad un attacco di milizie irachene pro Iran che avevano ucciso un civile americano in una base irachena, avevano tra le tante incluso anche la più estrema: uccidere il generale Qasem Soleimani. Questa cosa, ci spiega l’approfondito pezzo, di includere sempre anche una opzione estrema, viene sempre fatta dal Pentagono che cerca così di facilitare la decisione presidenziale verso quella anche magari forte ma non estrema e quindi pericolosa di far esplodere una guerra non voluta … Quindi dare alla Casa Bianca tante possibilità di scelta nelle ritorsioni, dalle minime a quelle estreme in modo che il presidente possa scegliere quelle al centro.

Il generale iraniano Qasem Soleimani, ucciso giovedì notte a Baghdad da un attacco di droni ordinato dal presidente Donald Trump (Foto Mahmoud Hosseini/Tasnim News Agency)

Infatti anche Trump decise così, dando l’ok al bombardamento di alcune basi di milizie hezbollah pro iraniane, sia in Iraq che in Siria. L’azione fece due dozzine di morti in tutto tra i militanti. Questa reazione americana però, sempre secondo le fonti del NYT, fu ritenuta dagli iracheni pro Iran esagerata (ad un morto americano, la risposta aveva causato oltre venti morti pro iraniani) e così partiva quella protesta violenta nel compound che ospita l’ambasciata a Baghdad.

Una foto scattata da Gina Di Meo difronte all’Ambasciata USA pochi giorni dopo gli incidenti provocati da manifestanti pro Iran.

Non ci furono morti né a quanto pare feriti gravi durante quella protesta, ma nel vedere in tv le scene, Trump prima avrebbe immaginato i fantasmi dell’attacco al consolato americano di Bengasi in Libia del 2011 che costò, oltre la vita dell’ambasciatore americano e di altri diplomatici, tantissimo politicamente all’amministrazione Obama e poi alla campagna presidenziale di Hillary Clinton… e quindi Trump sarebbe andato su tutte le furie nel vedere quelle scene davanti all’ambasciata USA di Baghdad e a quel punto, sempre secondo le fonti del NYT, ha ordinato al Pentagono di uccidere Soleimani. Questo sulla base anche di informazione di intelligence che giorni prima avevano detto che potesse essere imminente un attacco iraniano contro diplomatici e interessi americani. Però, ora dicono sempre le fonti interne all’amministrazione Trump al NYT, queste notizie di intelligence non erano affatto sicure e ancora accertate e che inoltre fosse soprattutto il Pentagono di Mark Esper  (mentre a quantro pare erano possibilisti il Segretario di Stato Mike Pompeo e il vice presidente Mike Pence) a ritenere l’opzione di uccidere Soleimani troppo estrema e troppo pericolosa per le sue conseguenze… Trump invece ha tenuto duro sulla scelta estrema: il generale doveva essere “terminato!”

Trump e la guerra con l’Iran nell’illustrazione di Antonella Martino

Ora le conseguenze sono davanti a tutti: una probabilissima anzi certa ritorsione iraniana, già annunciata e che si crede da lunedì imminente (dopo tre giorni di lutto per il generale Soleiman), che se sarà ritenuta da Trump grave – es. la morte di un americano o danni agli interessi americani –  porterà, come ha lui stesso annunciato sabato su Twitter, al bombardamento di 52 obiettivi in Iran (il numero corrisponde agli ostaggi americani nell’ambasciata di Teheran degli anni settanta) compresi, secondo quanto scrive sempre Trump, anche obiettivi di grande importanza culturale per gli iraniani ( chissà se Trump quando scriveva quel Twitter minaccioso sapesse che stava confessando pubblicamente di voler commettere un crimine di guerra secondo la convenzione di Ginevra).

Il twit di Trump di sabato sera in cui minaccia di distruggere anche siti iraniani di importanza culturale

A questo punto cari lettori che siete giunti fin qui – attenzione, ora inizia il mio commento non è più il riassunto dell’articolo dei premi pulitzer del New York Times – come ormai molti analisti si aspettano, penso anch’io che scoppierà una guerra aperta tra USA e Iran costosissima, oltre che imprevedibile come sono sempre state tutte le guerre. Allora a questo punto toccherà al Congresso e quindi al popolo americano prendere la decisione estrema, l’unica che ancora ci potrebbe salvare: quanto tempo ancora si vorrà tenere alla Casa Bianca “Terminator” Trump, il presidente già accusato di tradimento? Perché o lo “terminiamo” noi prima, durante il processo di impeachment al Senato o, purtroppo, ormai si avvicina la possibilità che The Donald ci “terminerà” tutti, altro che incenerire solo Soleimani e il Medio Oriente. ….

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Stefano Vaccara

Stefano Vaccara

Sono nato e cresciuto in Sicilia, la chiave di tutto secondo un romantico tedesco. Infanzia rincorrendo un pallone dai Salesiani e liceo a Palermo, laurea a Siena, master a Boston. L'incontro col giornalismo avviene in America, per Il Giornale di Montanelli, poi tanti anni ad America Oggi e il mio weekly USItalia. Vivo a New York con la mia famiglia americana e dal Palazzo di Vetro ho raccontato l’ONU per Radio Radicale. Amo insegnare: prima downtown, alla New School, ora nel Bronx, al Lehman College della CUNY. Alle verità comode non ci credo e così ho scritto Carlos Marcello: The Man Behind the JFK Assassination (Enigma Books 2013 e 2015). Ho fondato e diretto (2013-gennaio 2023) La VOCE di New York, convinto che la chiave di tutto sia l’incontro fra "liberty & beauty" e con cui ho vinto il Premio Amerigo 2018. I’m Sicilian, born in Mazara del Vallo and raised in Palermo. I studied history in Siena and went to graduate school at Boston University. While in school, I started to write for Il Giornale di Montanelli. I then got a full-time job for America Oggi and moved to New York City. My dream was to create a totally independent Italian paper in New York to be read all over the world: I finally founded La VOCE di New York. In 2018 I won the "Amerigo Award". I’m a journalist, but I’m also a teacher. I love both. I cover the United Nations, and I correspond from the UN for Radio Radicale in Rome. I teach Media Studies and also a course on the Mafia, not Hollywood style but the real one, at Lehman College, CUNY. I don't believe in "comfortable truth" and so I wrote the book "Carlos Marcello: The Man Behind the JFK Assassination" (Enigma Books 2013 e 2015). I love cooking for my family. My favorite dish: spaghetti con le vongole.

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