Distratti da beghe politiche nazionali e da un cambiamento (in peggio) della situazione degli accordi internazionali (basti pensare a ieri con il primo incontro dei G7 a concludersi senza nemmeno un documento congiunto e alla decisione di Trump di riprendere il lancio – per ora sperimentale – di missili a lunga gittata già vietato da trattati ONU sottoscritti), sono passate in secondo piano le notizie degli incendi che stanno devastando il pianeta e avranno per decenni ripercussioni sull’ambiente globale.
Incendi in molte aree del pianeta sempre più estesi e più frequenti. Ma mai come negli ultimi mesi.
A luglio l’Atmosphere Monitoring Service dell’Unione Europea ha riferito di incendi nell’Artico. Un fenomeno anomalo e non solo per la posizione ma per il numero e per le dimensioni: il Copernicus Atmosphere Monitoring Service (CAMS, che insieme al servizio partner Copernicus Climate Change Service – C3S, vengono attuati dall’European Centre for Medium-Range Weather Forecasts per conto dell’Unione europea) ha parlato di 100 “grandi” incendi che, solo a giugno, hanno scaricato nell’atmosfera 50 megatonnellate di anidride carbonica.
I ricercatori di Copernicus hanno detto anche che, in Alaska, “gli incendi hanno rilasciato più del doppio della quantità di anidride carbonica che lo Stato emette ogni anno con la combustione di combustibili fossili e il 2019 è già il quinto anno mai registrato per le emissioni più elevate di anidride carbonica causate dagli incendi”.
Molti gli incendi anche nell’Unione Europea: 1.600 incendi superiori a 30 ettari, il quadruplo della media annuale del decennio scorso. E ancora una volte rilevanti le conseguenze per il pianeta. Al CAMS dicono che “A luglio hanno emesso 79 megatonnellate di anidride carbonica, che potrebbe esacerbare il riscaldamento globale per i decenni a venire. Gli incendi divampano da 11 settimane e, nei primi 18 giorni di agosto, hanno già rilasciato 38 megatonnellate di anidride carbonica”.
E poi in Siberia dove gli incendi si sono estesi ( e prolungati) al punto che il fumo ha coperto milioni di chilometri quadrati, una superficie mai vista prima. Il 12 agosto, in un Twitt, l’Organizzazione meteorologica mondiale delle Nazioni Unite (OMM) ha riportato un grafico interattivo in cui si mostra il fumo dei roghi in Siberia che ricopre una superficie di circa 5 milioni di chilometri quadrati. Un’area grande più dell’Europa e più della metà degli Stati Uniti.
Il problema riguarda, però, molti altri paesi. Mark Parrington ha detto che “CAMS monitora l’attività antincendio e prevede il trasporto di fumo attraverso l’atmosfera. Le previsioni recenti hanno dimostrato che il fumo si sposta dalla Siberia nell’alto Artico e in parte oltrepassa anche il Polo Nord e arriva in Groenlandia. I nostri partner del Copernicus Climate Change Service hanno notato che all’inizio di quest’anno queste regioni hanno sperimentato temperature insolitamente alte e bassa umidità del suolo, due condizioni che contribuiscono al divampare di incendi e che durano a lungo”. L’ennesima dimostrazione – ma quante volte ancora sarà necessario dimostrarlo prima che i leader mondiali lo accettino – che l’ambiente non conosce confini nazionali.
Incendi di grandi dimensioni hanno interessato anche la Russia, l’Alaska, il Canada e la Groenlandia (ma i media, mentre riferivano con un sorriso ironico dell’offerta di Trump per comprarla, non ne hanno parlato). E poi l’Africa dove proprio la zona centrale (casualmente quella maggiormente oggetto di fenomeni come il landgrabbing e di interesse da parte delle multinazionali), ricchissima di materie prime e florida di vegetazione brucia a causa di incendi di dimensioni continentali.
Ultimo, in termini di tempo non certo di importanza, la notizia del “record” di incendi in Amazzonia (tanto che i media hanno dimenticato di dire che nel frattempo un violento incendio stava devastando l’isola di Gran Canaria, la seconda più grande dell’arcipelago spagnolo nell’Atlantico costringendo 9000 persone a lasciare le proprie case). Anche in Amazzonia il fumo causato ha coperto una superficie enorme. al punto da essere stato rilevato dai satelliti della Nasa.
Devastazioni che hanno richiamato l’attenzione su problemi di cui si parla da anni ma che la diplomazia internazionale non è mai riuscita a risolvere. Primo fra tutti la “responsabilità” delle foreste del pianeta. Se da un lato è chiara a tutti l’importanza per la sopravvivenza della specie umana di questi polmoni naturali (si pensi che l’intera foresta Amazzonica produce il 20% dell’ossigeno sulla Terra), dall’altro, non si è mai riusciti a definire in modo univoco in che modo organizzazioni internazionali e altri governi possano o debbano intervenire concretamente sui titolari delle foreste per garantire la loro conservazione (i pochi aiuti concessi e i conseguenti vincoli spesso sono oggetto di accordi limitati). A questo si aggiunge che, spesso, è sufficiente un cambio al governo – come è avvenuto con Bolsonaro in Brasile – per modificare radicalmente la sua visione “ambientalista”, magari sotto la spinta di grandi multinazionali sempre interessate a nuovi “spazi di manovra”. Ecco quindi che un incendio devastante potrebbe, in fin dei conti, non essere così mal visto da un governo (che guadagnerebbe, e non poco, da questi eventi casuali; poco importa che questi soldi arrivino come aiuti per la riforestazione o come canoni di locazione a lungo termine per sfruttare la parte di foresta distrutta dagli incendi – da anni in Brasile si denuncia la “bancada ruralista”, la lobby più potente del Brasile che in cambio dell’eliminazione dei divieti per pesticidi e dazi sull’importazione di auto di lusso e delle costose macchine agricole, vorrebbe canali preferenziali per esportare la carne brasiliana verso l’Europa).
Le foreste sono essenziali per la vita del pianeta e non di un singolo paese. Il problema principale, oltre che “qualitativo” (evitare gli incendi è sempre la prima opzione) è quindi “quantitativo”. In altre parole, è fondamentale capire fino a che punto un incendio è “sopportabile” dall’ambiente.
Spesso, però, anche solo capire quanti sono gli incendi non è facile. Come rivela uno studio appena pubblicato sulla rivista scientifica Earth System Science Data, è complesso calcolare quanti incendi ci sono stati nel mondo in un anno. Alcuni studi si basano sulla superficie bruciata, altri sulle emissioni rilevate nell’atmosfera.
Altro aspetto importante, come ricorda il Global Fire Atlas, è che tutti gli incendi sono una fonte significativa di gas e soprattutto di CO2. In tutti i siti dove è stato registrato un aumento degli incendi sono stati registrati aumenti rilevanti della CO2. Proprio quello che da decenni, decine se non centinaia di incontri internazionali starebbero cercando di limitare per ridurre l’impatto sui cambiamenti climatici e quindi sull’uomo. Tutti sforzi che (ammesso che venissero davvero realizzati e non solo promessi) potrebbero essere vani di fronte a così tanti incendi. D’altro canto, questi incendi potrebbero fornire ai paesi maggiori responsabili delle emissioni di CO2 una blanda giustificazione per continuare ad inquinare dato che potrebbe essere più difficile dimostrare il rapporto tra emissioni antropiche di CO2 e cambiamenti climatici.
Più incendi, quindi, potrebbero far comodo a molti. E allora potrebbe non essere un caso se, nonostante tutti i moderni sistemi di controllo e di tutela dell’ambiente, il numero dei grandi incendi continua ad aumentare vertiginosamente. A confermarlo è il Global Forest Watch Fires (Gfwf) del World Resources Institute che basandosi su rilevazioni satellitari ha rilevato oltre 2 milioni e 910mila “allerte incendio”. Ben 100mila in più del 2018 e 200mila in più del 2017. “I fuochi sono parte naturale dell’ecosistema- ha detto Liz Hoy, ricercatrice degli incendi boreali della stazione Nasa di Greenbelt, in Maryland – ma ciò a cui stiamo assistendo è un ciclo di fuochi accelerato: gli incendi stanno divenendo più frequenti, più gravi e su aree sempre più vaste”.
Un aumento netto che in alcune zone del pianeta è ormai quasi sospetto: in Amazzonia, ad esempio, una statistica dell’Istituto nazionale di ricerche spaziali del Brasile (Inpe), ha calcolato oltre 75.300 incendi in tutto lo stato. Ovvero quasi il doppio (84% in più) rispetto all’anno precedente. Anche sotto il profilo della superficie l’area devastata dal fuoco l’aumento è considerevole: solo ad agosto 2019, sarebbe il 40 per cento maggiore rispetto allo stesso mese dello scorso anno.
Dati che non possono non lasciare a bocca aperta e che debbono far pensare: davvero in alcuni paesi e nel mondo si sta facendo di tutto per ridurre la distruzione delle foreste? E davvero si sta facendo di tutto per evitare questi incendi? Stando ai numeri (che, non a caso, a livello internazionale non vengono mai citati), no. E questi numeri spesso restano coperti dal fumo degli incendi che stanno devastando le maggiori riserve di ossigeno del pianeta.