C’è un paio di pantaloncini rossi che non mi lasciano dormire in queste notti afose, sono quelli di Valeria Martinez, fuggita da El Salvador e morta la settimana scorsa in braccio al suo papà mentre cercavano di attraversare il Rio Grande per raggiungere gli USA. Pantaloncini rossi, come la maglietta di Aylan Kurdi, morto mentre cercava di fuggire dalla Siria nel 2015 e, anche lui finito troppo tardi su tutti i siti e su tutti i giornali. Una maglietta rossa come era rosso il cappottino dell’anonima bambina di Schindler’s List. L’unico punto di colore in un film in bianco e nero. La vediamo per pochi secondi nel film di Spielberg: viva durante un rastrellamento e poi in una pila di cadaveri su un carretto.
In un articolo per Repubblica del 20 febbraio 1999 (Spielberg, Manzoni e i colori della pietà), Adriano Sofri ricostruì in maniera convincente e commovente la genealogia letteraria della bambina dal cappottino rosso facendola risalire alla Cecilia dei Promesi Sposi di Manzoni, mediata da una citazione da I sommersi e i salvati di Primo Levi. C’è un legame simbolico ma fortissimo che lega il personaggio letterario (ma non troppo) di Cecilia col suo abitino bianchissimo e il fazzoletto candido col quale la sua mamma cerca di proteggerla un’ultima volta dal sudiciume del mondo, la bambina senza nome dal cappottino rosso del film, la maglietta rossa di Aylan e i pantaloncini rossi di Valeria, bambini veri, morti non a causa di un destino crudele, ma a causa della nostra universale indifferenza.
I numeri e le statistiche sono indispensabili per una ricostruzione storiografica accurata di fatti ed eventi, siano essi relativi alle migliaia di morti della peste del ‘600 o ai milioni di morti della Shoah, ma Manzoni e Spielberg, crearono le due bambine che hanno commosso generazioni perché erano entrambi consapevoli che è davanti a una sola storia, a una sola immagine, a un solo dolore che la nostra umanità è chiamata in causa.
Le foto di Valeria e Aylan che sono diventate virali su internet, sono immagini così potenti e scioccanti che i misericordiosi social, all’inizio, le offuscano con pudore chiedendoti se sei sicuro di volerle vedere perché potrebbero traumatizzarti. Poi a forza di vederle ovunque, anche tra i meno cinici, subentra l’assuefazione. E non c’è genio letterario o cinematografico che riesca a sottrarle al frullatore mediatico contemporaneo.
Ma dal frullatore di questi giorni emergono altre due immagini, in qualche modo collegate a quelle dei due bambini morti e della crisi umanitaria planetaria del trattamento inumano riservato a rifugiati, emigranti e richiedenti asilo. La prima è della Presidente della Camera USA, Nancy Pelosi in panta-tailleur rosso che a capo chino lascia il podio del congresso dopo aver ammesso la sconfitta sua e del partito democratico che ha accettato l’ennesimo ricatto di Trump per l’inasprimento delle leggi migratorie. La ‘leonessa’ umiliata rappresenta la sconfitta della tradizionale politica di centrosinistra, travolta da razzismi e nazionalismi e indebolita da assurde divisioni interne.
L’altra è la foto di Carola Rackete, giovane tedesca al comando della nave Sea Watch che ha salvato la vita di 42 emigranti. Ha una bella faccia e un’espressione fiera la Carola. Ha solo 31 anni, una laurea e cinque lingue ben parlate che poi sarebbe una laurea e cinque lingue più di Salvini, il Ministro dell’Interno che l’ha definita “sbruffoncella”. Il coraggio e la determinazione di Carola ci ricordano che c’è un modo per ribellarsi al male ed è fare il bene. Farlo anche quando costa, anche quando ci costringe a disobbedire alle leggi (in questo caso nemmeno una legge, ma la circolare di un ministro che, a sua volta viola la nostra costituzione e le leggi del mare).
Non so se Carola abbia mai sentito nominare don Lorenzo Milani, ma sono sicuro che lui mentre nel 1965 scriveva La lettera ai giudici pensava proprio a ragazze e ragazzi come lei: “Bisogna avere il coraggio di dire ai giovani che essi sono tutti sovrani, per cui l’obbedienza non è ormai più una virtù, ma la più subdola delle tentazioni, che non credano di potersene far scudo né davanti agli uomini né davanti a Dio, che bisogna che si sentano ognuno l’unico responsabile di tutto.”