Non è stato un discorsetto di circostanza. Il Presidente Sergio Mattarella, al CSM, riunito oggi in Sessione Plenaria sulla scia delle note “notti romane”, non le ha mandate a dire. Ha cominciato escludendo che si tratti di questione, o questioncella, limitata al CSM o, addirittura, a questo CSM:
“Quanto avvenuto ha prodotto conseguenze gravemente negative per il prestigio e per l’autorevolezza non soltanto di questo Consiglio ma anche per il prestigio e l’autorevolezza dell’intero Ordine Giudiziario”
“Il coacervo di manovre nascoste”, come ha intensamente riassunto la punta di un simile iceberg, si pone in “totale contrapposizione con i doveri basilari dell’Ordine Giudiziario e con quel che i cittadini si attendono dalla Magistratura”.
E’ “un quadro sconcertante e inaccettabile.” (vedere video sotto)
Dato che il CSM è l’Organo di autogoverno dei magistrati italiani, Giudici e Pubblici Ministeri insieme, volendo, si poteva far perno su tale qualità istituzionale, e non nominare l’Ordine Giudiziario, che non è il CSM. L’Ordine Giudiziario significa che Mattarella si è rivolto, uno ad uno, a circa 9500 magistrati italiani.
Sono loro, in carne ed ossa, il “quadro sconcertante e inaccettabile”. I quali potranno fare orecchie da mercante, oppure no; ma il Presidente ha parlato a loro. Perché? Perche sa.
Certo, è un assai munito studioso e docente di Diritto Costituzionale; ma è anche un uomo politico di lungo corso. E’ un uomo che ha conosciuto non solo la storia della Repubblica, ma anche la storia come “raccontata dall’Ordine Giudiziario”. Ricorda i conflitti. Anche quelli “di attribuzione”: decine, negli anni, specie in materia di cd immunità. Ma, non può che tenerne a mente uno in particolare: e non solo perché originato da luoghi a lui personalmente familiari. Ma perché fu condotto fino alle soglie del Quirinale, e con velleità oscure, sobillatrici, e forse sinanche sovvertitrici.“Noi”, il meglio; “la politica” il peggio.
E Mattarella, inoltre, legge i giornali.
Per avere un’idea di quanto sia compiuta la considerazione del Presidente verso il complesso Magistratura-Media, basti qui ricordare un episodio piuttosto significativo, ed esemplare.
Il giorno dopo la sua elezione al Colle, sulla prima pagina del Fatto Quotidiano, si poteva leggere che il fratello Antonio (Professore e Avvocato), avrebbe ricevuto dei prestiti da Enrico Nicoletti, “cassiere della Banda della Magliana”. Inoltre sarebbe stato “radiato” dall’Ordine degli avvocati. Il Prof. Antonio Mattarella, mai sottoposto ad indagine, risponde a giro di posta, e spiega che non c’era nulla di speciale o sospetto. Prestiti pagati e ottenuti quando (primi anni ’80) Nicoletti era un imprenditore noto e ben introdotto. Dall’albo era stato “cancellato” a sua richiesta, perché aveva optato per l’insegnamento a tempo pieno, incompatibile con la professione forense. Ed altre insinuazioni documentalmente liquidate. Anche per la ragione che queste informazioni, erano riportate in due sentenze emesse sulla vicenda, e agevolmente reperibili.
Comunque, finisce lì. Bisognava semplicemente alitare.
Passano ventiquattrore, e Attilio Bolzoni e Francesco Viviano, si recano a Santa Venerina, ridente paesino etneo dove vive il Prof., e tornano sulla questione, non cavando nulla perché nulla c’era da cavare. Le domande così ovvie e minute rispetto alla statura delle Grandi Firme di Repubblica; la tempestività, la petulanza sicura di sé (“..lei dovrebbe spiegarci, al di là di come si è concluso il caso giudiziario…”), nel complesso sembrano descrivere una filigrana diplomatica, con il solo, ma essenziale, compito di dire senza parlare, di lasciare dietro di sé un’impronta di cordialità frammista a schegge di sinistro presentimento. Di ricordare che esiste “un certo potere”.
Perciò, il Presidente Mattarella, sa. Perché ricorda. E per questo non parla di CSM, ma di magistrati. Tutti. E della loro “voce pubblica”. E di come, di chi, questa costruisce. “Il coacervo”.
Proseguiamo. Dopo aver dato atto (perché è un uomo beneducato) ai “consiglieri presenti”, di avere offerto una “risposta pronta e chiara”, arriva la seconda stilettata: “Ad altre istituzioni compete discutere ed elaborare eventuali riforme che attengono a composizione e formazione del CSM”.
Non è ovvio, che sia il Parlamento a dover legiferare? Certo. E allora, perché l’ha scandito con simile solennità, se è ovvio? Perché sa.
Sa che il CSM, ma entro questo più ampio contesto in cui si parla all’ “Ordine” tutto, con lo strumento dei “pareri” è in grado di condizionare, impropriamente, la libertà di un Parlamento: ritenuto se non costantemente “delegittimato”, almeno “non sufficientemente acculturato”. Perciò, parla perché le sue parole penetrino verso prassi, pretese, consuetudini, un intero sistema di tutoraggio, latente e incontrollabile, istituto sulla base di una “superiorità” etica, tanto rovinosamente e clamorosamente svelatasi nella sua inesistenza (“ha disvelato un quadro sconcertante e inaccettabile”).
Di qui, il passaggio-epigrafe, è quasi una necessità logica, prima ancora che morale: “Tutta l’attività del Consiglio, ogni sua decisione, sarà guardata con grande attenzione critica e forse con qualche pregiudiziale diffidenza”. Il clou di questa frase è l’aggettivo “pregiudiziale”. Significa “prevenuto”, “immotivato”? Neanche per sogno: il contrario. Significa “che precede il giudizio”, “accorto”, “ponderato su azioni e risultati conseguenti, e verificabili”. Basta chiacchiere.
Infatti, aggiunge: “Non può sorprendere che sia così”. L’ingiusta diffidenza non mette capo ad alcuna forma di comprensione (“Non può sorprendere…”). Viene rigettata, senza troppi riguardi.
E, invece, il Presidente ci tiene a precisare che hanno, e avranno, ragione quanti non si accontenteranno di un qualche minuetto sulle nomine, di nuovi e sempre uguali “cambiamenti”, che non passino per “riforme”, che dovranno essere elaborate “da altre istituzioni”.
E’ l’avvio di un riscatto dei Poteri Elettivi. Da una lunga, soffocante “cattività babilonese”, in cui le libertà democratiche sono state costrette dal Colpo di Mano dei primi anni ’90.
Che Mattarella, sia uomo pio e democristiano, e gentiluomo e galantuomo, non significa (né mai potrà significare) che sia per questo un fesso.