Il viaggio è il desiderio più misterioso dell’uomo. Un bisogno altrettanto naturale come il riparo e la casa. Da sempre, la ricerca e la sfida stessa incontro al destino. E più c’è mare più c’è viaggio. Infatti l’Europa, all’origine, è mare, mito, Mediterraneo. Nasce nell’antica Grecia, bella, bellissima principessa del Libano e come sappiamo è un desiderio irresistibile di Zeus che la porta a Creta. Insomma l’Europa è un viaggio di nozze in prima classe, un meraviglioso volo fra cielo, terra e mare scritto nel destino. L’inizio di una grande famiglia.
Mio figlio ieri ha votato per la prima volta, ed è stato per l’Europa.
Inevitabilmente la vita mi sorprende e capisco che – merda – diventiamo vecchi. E più velocemente di quanto non sembri cambiano anche i 18 anni. Quanto sono stati diversi i miei da quelli dei miei genitori, anni luce da quelli dei miei nonni, che dovevano ancora affrontare la tragedia del nazi-fascismo, degli ebrei e dell’Europa cattiva, gelida, spietata e affamata.
Già, l’Europa. Non era ancora una vera “questione” per noi siciliani neo maggiorenni del 1983 figli ancora della “questione meridionale”. E così ci gustavamo di più l’orgoglio nazionale di campioni del mondo dell’estate precedente, il fascino straordinario di uomini come Bearzot, Zoff, Scirea e dell’amato Presidente Pertini.
Diciamo la verità, eravamo ancora un po’ provinciali e troppo giovani per comprendere i drammi dei nostri nonni e i complessi meccanismi delle guerre commerciali e del mondo globale che stava cominciando a bollire.
Però ricordo un certo prurito già degli anni immediatamente prima del voto, una voglia di libertà arricchita da ormoni incontenibili, i primi corsi di inglese a Londra e dintorni che mi raccontavano i miei amici, i viaggi in treno con Interrail da Palermo alla Scandinavia, incontri, diapositive, nottate sempre luminose, il lavoro come barista per raccogliere qualcosa e allungare il viaggio, le ragazze di lassù libere e spensierate, aperte come persino le loro madri dalla mentalità bionda, fin troppo bionda. Il nord, l’Europa, il sogno di sentirsi molto ma molto più grandi, altro che 18 anni.
Rivedo quegli anni, chiudo gli occhi e si accendono le narici. E sento il profumo dolce e fresco del gelsomino sopra il “gelo di mellone” che faceva mia mamma. Una specie di gelatina fatta col succo dell’anguria, che a Palermo si chiama appunto mellone, rigorosamente con due elle. Si parla troppo del cannolo e troppo poco del gelo di mellone con i tocchetti di cioccolato e pistacchio. Mi chiedo come mai, sarà che il caldo soffoca. E ad agosto ti accorgi che Palermo è sporca, con le bucce del “mellone” che certi giorni galleggiano sul mare di Mondello o marciscono al sole dentro ai cassonetti. Merda, che puzza può fare il mare, l’asfalto, il treno, la nave…
Adulto e maggiorenne a Milano di merda ne ho pestata, soprattutto al parco. Il sabato o la domenica è sempre meglio il parco che il centro commerciale. Non è come andare in spiaggia però si riscopre un’umanità intera che durante la settimana non esiste: bambini, papà soli, papà e mamma, mamme sole, nonni, atleti, sportivi, badanti, extra comunitari e tanto pallone, aperto a tutti, dai papà agli extra comunitari. Qui davvero non conta vincere ma correre. Peccato che oltre alle zanzare che più corri più ti pizzicano, ogni tanto correndo calpesti la merda. Ci rimani malissimo, più per la merda che per le zanzare. E soprattutto perché smetti di correre, ma la puzza resta.
A Milano negli anni in cui crescevo professionalmente e arrivava il trattato di Maastricht e l’Europa del business, il rischio di mettere i piedi nel posto sbagliato era comunque ripagato dalla statistica (può capitarti una volta, poi tocca all’altro), dall’ottimismo lombardo (porta bene…) e dalla certezza di vivere comunque nell’unica città italiana proiettata al futuro. E aggiungo anche “europea”. Milano, con i suoi alti e bassi, si è data i suoi limiti: mai veramente in alto come le altre grandi metropoli del mondo (ci sta provando adesso), mai veramente in basso come il peggio d’Italia. E questo grazie alle sue varie risorse, che non sono solo economiche o politiche.
Proprio in quei famosi anni 90, per esempio, il profumo dell’Europa, della globalizzazione e dell’impresa divenne sempre più acido fino a diventare nauseabondo. Non era puzza di merda, neanche la solita cappa della Milano bianca e inquinata, era proprio puzza di marcio. Ma per fortuna c’era l’arte e il teatro. E il grande Gaber spronava alla partecipazione come vera forma di libertà e anche lui, come in tanti sentiva quel terribile odore…
Mio figlio ha votato per la prima volta, e con lui tanti giovani figli del 2000. E sembra che giovani e adulti sull’Europa siano ancora d’accordo, guai a toccare il viaggio, l’Erasmus, la Champions League, i voli low cost che rendono possibili anche sogni low cost in lingua inglese o spagnola, in attesa che l’Italia la smetta di parlare solo brianzolo.
La Lega avanza, con la sua imbarazzante anti storica capacità di guardare il futuro. Perderà la faccia a Bruxelles, sono fiducioso, spero prima che faccia danni. C’è anche la Francia di Le Pen, ci sono strani fermenti razzisti qua e là, ma l’Europa ancora tiene, perchè finalmente la puzza è insopportabile e perché finalmente (forse) stiamo ricominciando a pensare e a fare proposte.
Tornano a vincere finalmente anche personaggi che si sono sporcati le mani come Pietro Bartolo, vince la Milano dell’ex Pisapia, vince il verde e l’ambiente. Forse, per una volta, hanno perso le banche, non lo sappiamo ma sappiamo che ha perso la Merkel e quindi forse anche l’Europa dell’austerity.
Forse ricomincia il mito, il viaggio della principessa…
Ho chiesto a mio figlio se andando a votare sentiva puzza. Sarà perché è andato a votare proprio nella sua vecchia scuola elementare e si vedevano tanti cartelloni festosi e colorati dei bambini; sarà perché è la sua prima volta che può dire la sua, sarà perché sente i grandi parlare e rubargli il futuro; “no” – mi ha detto – e anzi: “non senti anche tu questo leggero venticello e il profumo che viene dal mare”?