Non v’è alcun dubbio che le mafie italiane hanno rappresentato e rappresentano il paradosso dello Stato italiano. Da un lato notiamo gli ambulacri del potere politico e dall’altro il potere mafioso sprezzante e violento che con l’avvallo doloso del primo trae linfa per avviluppare con i suoi tentacoli tutti i gangli della società. È del tutto evidente che, il cordone ombelicale consente a uomini delle istituzioni e della politica di nutrirsi e consolidare il coacervo d’interessi, quanto mai indispensabili per raggiungere finalità di potere e di pecunia.
Come noto in Italia, esistono ben quattro organizzazioni criminose: Cosa nostra, ‘Ndrangheta, Camorra e Sacra Corona Unita. Non è mia intenzione qui lumeggiarne le profonde differenze tra le quattro mafie, che pure ci sono, ma lascio volentieri questo compito agli studiosi. Tuttavia, delle quattro solo di una posso parlare con cognizione di causa, dato che sin dall’infanzia conobbi personaggi che poi risultarono essere i capi di Cosa Nostra, ancor prima dell’avvento dei corleonesi di Totò Riina. Se poi aggiungo che, dal mio lavoro di poliziotto alla Squadra mobile di Palermo e alla DIA (Direzione investigativa antimafia), fui agevolato nell’approfondire e finanche contrastare il gotha di Cosa Nostra, ecco che parlar della mafia siciliana mi risulta facile. Ad onore del vero affermo che un valido apporto di conoscenza diretta mi fu dato dai collaboratori di giustizia, Tommaso Buscetta, Totuccio Contorno, Francesco Marino Mannoia, Gaspare Mutolo, Pino Marchese, Giovanni Drago, Santino Di Matteo, Gioacchino La Barbera e Stefano Calzetta. Costoro mi presero per mano e mi fecero entrare nella “casa” di Cosa Nostra, facendomi conoscere organizzazione, struttura e adepti. Conobbi anche personalmente, quando fui in missione a New York, i fratelli John e Joseph Gambino, entrambi della Cosa Nostra americana. Quindi, della mafia siciliana conobbi segrete articolazioni, mentalità e modi gergali di comunicazioni.
In genere per noi palermitani, cresciuti col dogma “muto devi stare”, comunicare con lo sguardo silente era la norma. In pratica riuscivamo a tenere una conferenza pur stando silenziosi, avvalendoci soltanto dello sguardo e gestualità tramandata dai nostri avi. E, questa era la forma privilegiata di comunicazione tra i mafiosi che, mi consentì in varie occasione di leggere anzitempo i “messaggi”, compresi quelli intercettati a Manhattan.
Mi interessai poco della ‘Ndrangheta e della Camorra, se non in modo accidentale, allorché nel corso delle investigazioni incontrai personaggi appartenenti al sodalizio criminoso. Ritengo che la ‘Ndrangheta, per mentalità e organizzazione si avvicina a Cosa Nostra. Mentre la Camorra a mio parere è un’organizzazione priva di legami organizzativi sul territorio. Mi spiego meglio, mentre Cosa Nostra e ‘Ndrangheta risultano essere strutturate in modo verticistico con regole di comando ben precise sul territorio, la Camorra, invero, risulta essere frastagliata, non avendo una leadership che regola tutto il territorio. In buona sostanza, si può dire che la Camorra è strutturata con nuclei sparsi sul territorio campano ma senza una regia di comando che ne regola attività e le ambizioni di potere degli accoliti. Infatti, in seno alla Camorra, non notiamo “famiglie o ‘drine”.
La ‘Ndrangheta, si differenzia anche da Cosa nostra, non solo per la capacità di muovere ingenti capitali proveniente dal traffico mondiale della cocaina, ma soprattutto per i vincoli di sangue che lega la maggior parte degli aderenti. E’ notorio che negli anni ottanta, nel bel mezzo della “mattanza” ordinata da Totò Riina, il traffico internazionale di eroina era al solo appannaggio di Cosa Nostra. I tanti sequestri di decine e decine di chili di eroina pronti per essere spediti negli States, e la scoperta di cinque raffinerie, dimostrarono la potenza della mafia siciliana. Basti pensare che, nei primi anni ottanta Palermo fu invasa da dollari. E proprio per il rinvenimento e sequestro di una valigia piena di dollari, che il capo della Squadra mobile, Boris Giuliano, fu ucciso da Leoluca Bagarella.
La Sacra corona unita, operante in Puglia, è l’ultima nata del panorama criminale italiano. Da informazioni apprese de relato, mi sono convinto che, siffatta consorteria si avvicini di più alla Camorra che alle altre due mafie. Ed ora non voglio avventurarmi in periodi lontani nel sintetizzare le quattro mafie italiane: ci vorrebbero fiumi di parole. Rilevo, ahimè il proliferarsi di mafie straniere che operano anche in sintonia con le nostre. Non mi rimane altro da dire che, se le mafie sono divenute così forti, la responsabilità oggettiva è addebitale all’imbelle Stato. Se lo Stato avesse fatto il proprio dovere, oggi potremmo avere ancora accanto a noi quei galantuomini assassinati dalle mafie. La latitanza dello Stato – a tratti dolosa – nel non aver voluto combattere sufficientemente le maffie (così venivano chiamate nell’ottocento), ha permesso la crescita esponenziale in tutto il territorio nazionale. Qualcuno dovrebbe smetterla di relegare le mafie nel solo territorio del Sud. Per gli smemorati o finti antimafiosi, dico che le “maffie” esistono ancor prima dell’Unità d’Italia. Come dire ieri l’altro. Il che è tutto dire!