A mio avviso la montagna ha partorito il topolino.
Un topolino, peraltro, timido e spaurito che molto probabilmente non servirà a nulla, nemmeno a salvare se stesso dall’estinzione di massa che verrà provocata dallo sconvolgimento climatico che, stando così le cose, sarà inevitabilmente sempre più grave.
Notizie di molti anni fa, erano gli anni ottanta e i primi movimenti ecologisti e ambientalisti facevano capolino tra il disinteresse generale per mettere in allarme la popolazione mondiale e i governi su ciò che sarebbe accaduto, se non si fosse invertita la rotta dell’inquinamento ambientale scellerato che provocava l’innalzamento insostenibile dell’anidride carbonica ed altri gas a effetto serra nell’atmosfera. All’epoca, su basi scientifiche, si parlava di non più di trent’anni, di tempo prima che il degrado divenisse irreversibile. Mi sentii coinvolto al punto di partecipare alla fondazione di una federazione Verde ecologista e apartitica, ma fu un fallimento totale, almeno in Italia, dove la partitocrazia corrotta dagli interessi anche petroliferi non permise l’esistenza di un movimento che indicava nelle fonti energetiche rinnovabili da sole, vento e correnti marine, la soluzione ai mali del pianeta. Fummo presi d’assalto da emissari dei partiti, soprattutto di sinistra e trasformati in un altro partitino inutile alle politiche ambientali che, abbandonato da chi ci credeva nel 1990, finì per scomparire.
Da allora di allarmi e termini di scadenza ne ho sentiti parecchi, non certo infondati, ma sono serviti a poco. Gli interessi economici sono sempre prevalenti sugli interessi del pianeta e della stessa sopravvivenza della specie umana. L’egoismo delle multinazionali che spacciano idrocarburi è invincibile e anche quando devono cedere terreno di fronte agli effetti dei cambiamenti climatici provocati dall’utilizzo di combustibili fossili, petrolio e carbone, riescono a manipolare i governi in modo da garantirsi il controllo delle fonti energetiche a scopo di lucro e a discapito della salute del pianeta.
Almeno questo è ciò che ho visto io dalle montagne politiche sedute in conferenza sul clima col risultato di partorire il topino smarrito di cui ho detto.
Vediamo perché.

Gli ultimi allarmi dicono tutti che abbiamo (ormai) meno di 10 anni per dire stop alle auto a benzina e diesel se vogliamo salvare il clima. Se vogliamo limitare l’innalzamento della temperatura del pianeta dovremo ridurre le auto e rinunciare a quelle a diesel, benzina e ibride entro il 2028 in tutta Europa.
Se vogliamo limitare il surriscaldamento globale, l’ultima auto che viaggia con un combustibile “fossile”, anche se ibrida, dovrà essere venduta entro e non oltre il 2028, e il “parco macchine” europeo andrà comunque in generale ridotto a breve. Lo rivela uno studio commissionato da Greenpeace all’istituto di ricerca tedesco DLR, che ha preso come riferimento massimo per l’innalzamento delle temperature medie quello stabilito dagli accordi di Parigi del 2015, dove si era concordato che non dovessero aumentare oltre il grado e mezzo. Una soglia ambiziosa e ai limiti dell’azzardo, dato che molti studi hanno confermato che un aumento superiore ai due gradi spazzerebbe via intere isole e nazioni vicine al mare.
Dagli ultimi rapporti globali sul clima emerge in modo chiaro che, se vogliamo provare a mantenerci al di sotto della soglia limite di un grado e mezzo in più dall’Era preindustriale (ma anche al di sotto dei +2 °C), non basterà ridurre o eliminare del tutto le emissioni di CO2: occorrerà provare a rimuoverla attivamente dall’atmosfera. Poiché l’anidride carbonica è il gas serra che rimane più a lungo nell’aria che respiriamo, bisognerà generare “emissioni negative”.
L’idea è controversa per alcune ragioni: da un lato si teme che, concentrandosi sulle NET (Negative Emission Technologies) si perda di vista l’obiettivo principale, cioè quello di ridurre a zero le emissioni. Dall’altro, perché molte delle tecnologie proposte per catturare CO2 sono costose, non collaudate o addirittura pericolose per l’ambiente.
Esistono però alcune cose che possiamo fare già ora, facilmente e in sicurezza: un nuovo rapporto delle National Academies of Sciences, Engineering and Medicine americane elenca cinque di queste strategie, economiche (richiedono tutte dai 20 ai 100 dollari per ogni tonnellata di CO2 catturata e stoccata) e già applicabili su larga scala.
1. CARBONIO BLU. Con questo termine si indica l’anidride carbonica atmosferica immagazzinata dagli ecosistemi costieri, in particolare mangrovie, aree paludose salmastre e praterie sottomarine. Queste zone umide trattengono la concentrazione più alta di carbonio per unità di spazio di tutto il Pianeta, ma sono minacciate da innalzamento del livello dei mari, sovrappopolazione e utilizzo di terre a scopo agricolo che distruggono questi ecosistemi naturali anziché proteggerli.
Ogni anno, se ne distruggono dai 340 mila ai 980 mila ettari, e da contenitori di carbonio, questi vegetali diventano emettitori. Eppure costituirebbero l’alternativa più economica di NET, a circa 20 dollari (17,5 euro) per ogni tonnellata di CO2 rimossa.
2. PIANTARE ALBERI. L’importante è scegliere quelli più adatti a sequestrare CO2, e farli crescere su terreni salvati dal degrado e non su aree sottratte, per esempio, alla produzione alimentare. Questo in parte si fa già, in diversi Paesi del mondo. Occorrerebbe incrementare le piantagioni su larga scala (il costo è lo stesso del rimedio precedente).
3. SALVAGUARDARE LE FORESTE. Inutile piantare nuovi alberi se non riusciamo a proteggere quelli che abbiamo già. Anche questa attività costerebbe meno di 20 dollari a tonnellata e potrebbe avere un forte impatto sulla quantità di CO2 sequestrata. Oltre a difendere le aree verdi protette si tratterebbe, per esempio, di ripopolare i boschi colpiti da incendio, e di prolungarne la vita anche quando se ne estrae legname: per esempio, destinando il materiale raccolto in oggetti di lunga durata, anziché in biomasse da bruciare.
4. BUONE PRATICHE AGRICOLE. Implementare alcune buone abitudini nella lavorazione dei terreni non solo può aiutare a catturare maggiori quantità di carbonio, ma aumenta la fertilità del suolo e riduce gli sprechi d’acqua. Si potrebbero piantare colture di copertura (cover crop: colture erbacee intercalari) nelle aree di terreno sgombre da coltivazioni da reddito. Le cover crop rendono il suolo più produttivo, prevengono l’erosione, tengono a bada i parassiti e, allo stesso tempo, mitigano gli impatti ambientali dell’agricoltura. Un altro accorgimento è ricorrere al biochar, un tipo di carbone vegetale che, aggiunto al terreno, aiuta ad assorbire sostanze organiche volatili.
5. UTILIZZO DELLA TECNOLOGIA BECCS. La Bio-energy with carbon capture and storage (BECCS) consiste nel coltivare piante particolarmente capaci di assorbire CO2, bruciarle per ricavare energia e catturare l’anidride carbonica della combustione in depositi geologici sotterranei permanenti. Finora questo metodo è stato scartato per la grande quantità di terreno che richiede: fino al 40% delle terre agricole globali, e in un mondo sempre più affollato…
Tuttavia, sfruttare la tecnica partendo da prodotti vegetali di scarto toglierebbe 5 miliardi di tonnellate di CO2 dall’atmosfera, un quarto di quelle che dovremmo rimuovere da qui al 2100, e a un costo inferiore ai 100 dollari per tonnellata.
È SOLO L’INIZIO… Per incontrare il target degli accordi di Parigi, tuttavia, occorrerebbe sequestrare 20 miliardi di tonnellate di CO2 entro fine secolo. Le tecnologie indicate sottrarrebbero, insieme, molto meno della metà di anidride carbonica. Ce ne sono altre nominate nel report pubblicato, di cui si è trattato da più parti in passato: due di queste sono la cattura diretta di CO2 con sostanze chimiche adatte allo scopo, e la mineralizzazione del carbonio, con rocce che reagiscono alla CO2 catturandola nella roccia. Non ultime le pale in serie che aspirano aria e la depurano catturando C02 progetto avveniristico ma che è stato giù collaudato e funziona. I primi esperimenti per le altre possibilità sono già partiti, ma rispetto a quelle esposte si tratta per ora di tecniche molto costose.
Da quest’ultimo congresso sul clima il topolino di cui parlo sarebbe la conversione agli idrocarburi vegetali. Cioè “i grandi” topini si sono ripromessi di destinare una superficie pari al continente australiano, quindi enorme, alla coltivazione di vegetali da utilizzare per la distillazione di carburanti da sostituire ai derivati di carbone e petrolio. Di certo non sono uno scienziato, ma per quanto ho letto sul web e in numerose pubblicazioni sull’argomento a me sembra davvero un’idiozia, davvero sconsolante viste le condizioni di grave degrado che l’utilizzo di combustibili per la produzione di energia ha provocato e continuerà a provocare al pianeta. Sicuramente mettere benzina verde nei motori a combustione interna delle auto non eviterà l’emissione di Co2. Se è vero che ne producono di meno, di meno non significa zero emissioni.
Un’idiozia perché le auto elettriche a zero emissioni esistono, funzionano meglio di quelle a motore a scoppio e non le fabbrica solo la Tesla motor, ma sempre più case automobilistiche stanno progettando nuovi modelli, sempre più efficienti. Dopo lo schiaffo ricevuto da questo congresso climatico non so se saranno incentivati a proseguire. Di sicuro la Hyundai produce anche un ottimo SUV a idrogeno e anche questo funziona benissimo ed è a emissioni zero. Ha solo l’handicap di non avere distributori di idrogeno, un carburante naturale che si produce facilmente e da energia rinnovabile come il sole e il vento, isolando i’idrogeno dall’ossigeno contenuto nell’acqua.
E’ più infiammabile della benzina e come residui della sua combustione ha vapore acqueo, acqua distillata. Chiunque sul web e su youtube può vedere la verità di tutto questo, tranne i topini dei congressi climatici a quanto pare!
Nel mio blog diedi notizia di queste tecniche scientifiche e non fantasiose e della loro fattibilità a impatto zero in luogo dell’altra alternativa nucleare. Mi chiedo, quindi, perché i vertici sul clima prendono direzioni del tutto diverse e inefficaci?
La risposta, purtroppo, è una sola: corruzione.
Così come il sindaco di Miami, che ha tassato la popolazione per 450 milioni di dollari per sollevare di 70 cm le strade cittadine ormai sommerse dall’acqua alta dovuta al riscaldamento globale e allo scioglimento dei ghiacciai, si sente rispondere dal Governatore dello Stato della Florida che il riscaldamento globale da Co2 è una bufala e non interviene presso il congresso USA per un intervento urgente, giacchè riceve due milioni di dollari l’anno dalle Lobby petrolifere, così ho più di un sospetto che le stesse lobby, che vogliono lasciare i pozzi per impossessarsi di terre coltivabili, e immagino che molte di queste saranno foreste e habitat naturali per specie viventi destinate all’estinzione; continuando, quindi, a mantenere il monopolio della produzione energetica e continuare a ricattarci tutti, anche a costo di distruggere il pianeta, del quale non gli importa un fico secco. Vero è che non possono ottenere il monopolio del sole e del vento. Ognuno si può produrre da se l’energia di cui ha bisogno sia per la casa che per l’auto elettrica e a loro non andrebbe un centesimo.
Corruzione evidente anche nella mia piccola isola, la Sardegna, dove il Governo regionale ha acquistato con costi totali prossimi ai 700 milioni di euro, treni spagnoli dichiarati ad alta velocità che non funzionano nemmeno a bassa velocità, si fermano per guasti in aperta campagna, neanche fossero dei rottami. Quando, invece, la Germania (dove i Verdi non si vendettero ai partiti negli anni ottanta) produce e utilizza ottimi treni con motori a Idrogeno, ad emissioni zero!
Ho visto anche il video su youtube di Leonardo di Caprio, commissionato dall’ONU e distribuito gratuitamente, davvero interessante, ma la soluzione proposta era quella delle energie rinnovabili del sole e del vento, non di sottrarre terre alla produzione alimentare in una popolazione che aumenta a dismisura e per ottenere i blandi e inefficaci effetti che sono sotto gli occhi di tutti: Benzina verde? Ma che c….!
Ma la popolazione mondiale, perché si comporta come una mandria impazzita che corre verso il precipizio senza far nulla per evitarlo? Questo è il vero mistero che non mi so spiegare.
Antonino Arconte, autore di saggi su politica internazionale e servizi segreti, è stato un agente della Gladio “Stay Behind”, con il nome in codice di G71.