Quando anche Michelle Obama dichiarò pubblicamente il suo innamoramento per My Brilliant Friend (L’amica geniale) e gli altri libri del ciclo noto come Neapolitan Novels di Elena Ferrante, e con lei anche Hillary Clinton, Jonathan Franzen, James Franco, Elizabeth Strout, Jhumpa Lahiri, Ethank Hawke, James Wood, Stoya e tantissimi altri – dalla first lady a una famosa porno star quindi, passando per scrittori raffinati, attori, e che attori!, giornalisti influenti, tutti a postare immagini su Facebook e a parlarne con entusiasmo e ammirazione – ecco, a quel punto era chiaro che la Ferrante Fever non era un fenomeno passeggero, non si trattava solo di un bel libro (o meglio dei quattro libri che compongono la saga di Elena e Lila) ma qui negli Stati Uniti era molto, molto di più.
In questi anni è stato analizzato praticamente tutto del lavoro di Elena Ferrante, dalla sua (ora non più tanto) misteriosa identità all’alta qualità della traduzione inglese, e al di qua e al di là dell’oceano sono state espresse opinioni autorevoli e interessanti. Ma essendo andati adesso in onda i primi due episodi della serie televisiva, magari qualche breve annotazione e un richiamo ad alcuni elementi del fenomeno Ferrante possono aggiornare il discorso.
I primi due episodi della serie My Brilliant Friend prodotta da HBO insieme a Rai Fiction, Fandango, Wildside, la belga Umedia e TimVision sono andati in onda su HBO il 18 e 19 novembre 2018, dopo mesi di attesa febbrile costellati di notizie, anticipazioni, trailer e numerosi articoli dai tagli più diversi: non solo letteratura e televisione come è ovvio ma anche politica, sociologia, costume e approfondimento di numerosi temi che vanno dalla tradizione del romanzo di formazione, alle memoirs, alla criminalità in Italia, e ancora Napoli ieri e oggi, il Neorealismo in tutte le sue declinazioni, femminismo e dintorni, l’Italia del dopoguerra e poi degli anni Sessanta e Settanta e oltre.
I due episodi erano stati presentati alla Mostra del Cinema di Venezia lo scorso settembre ed erano usciti in un numero limitato di sale italiane un weekend di ottobre, mentre il 27 novembre andranno in onda su Rai 1 e saranno disponibili su TimVision. La serie, in otto puntate, è diretta da Saverio Costanzo (Private il suo film d’esordio nel 2004, il suo film più bello e anche il più premiato) e scritta dallo stesso regista insieme a Francesco Piccolo, Laura Paolucci ed Elena Ferrante. HBO quindi torna a produrre con l’Italia e in particolare con Fandango dopo The Young Pope di Paolo Sorrentino (qui tra i produttori esecutivi della serie). Pur avendo capitali in gran parte americani ed essendoci il cappello HBO, My Brilliant Friend è nei fatti una serie tutta italiana. Le riprese sono durate 29 settimane, la maggior parte delle quali nel grande set ricostruito dallo scenografo Giancarlo Basili nell’ex area industriale di Marcianise, nel casertano. E’ la prima serie in lingua straniera con sottotitoli mai (co) prodotta e messa in onda da HBO, nello specifico è stato giustamente usato il napoletano. Le protagoniste Elena e Lila (chiamate anche Lenù e Lina) sono interpretate da Elisa Del Genio e Ludovica Nasti (bambine) e da Margherita Mazzucco e Gaia Girace (adolescenti) e sono semplicemente perfette. In particolare la Lila bambina, Ludovica Nasti, è stata scelta con grande capacità e intuito da Costanzo aiutato da un personaggio potentissimo, e sicuramente più immediato e appassionante di quello di Elena, che tuttavia è la voce narrante.

Dai primi episodi si capiscono quelli che sono i tratti principali della serie, che rimane molto fedele al romanzo e punta su una scenografia importante per intrappolare Lila e Lenù nel loro misero rione alla periferia di Napoli, inghiottite dalla violenza di quei caseggiati: grida, botte, paura, insulti in una quotidianità dipinta in tutte le sfumature di grigio e di marrone, chiusa dal muro della ferrovia oltre il quale c’è il mondo, c’è il mare che Lila e Lenù non hanno mai visto perché dal rione Luzzatti il mare non si vede. E perché gran parte del mondo è negato a chi nasce femmina in un quartiere fatto di ignoranza e povertà, dove i padri prendono a botte le madri e quando si arrabbiano scaraventano le figlie femmine dalla finestra, dove a dieci anni non si va più a scuola ma a lavorare, tanto più se si è femmine. Un rione disperato messo sotto scacco dalla vita e da don Achille, fino a che violenza chiama violenza.
A differenza di altre serie italiane che pur hanno avuto un buon successo internazionale (prima tra tutte Gomorra, ma anche il Papa di Sorrentino, non completamente italiano), Costanzo qui punta su una regia teatrale ma intima, fotografia e linee essenziali, dai richiami neorealisti, e affonda tutto la verità del racconto nel dialetto napoletano, nelle facce e nella gestualità degli attori non professionisti, in una miseria dei fatti e dell’anima che confeziona in maniera elegante, una regia più trattenuta nel primo episodio mentre poi dal secondo si apre. Unica stortura, a mio avviso, la voce narrante, fondante nel romanzo in cui Lenù adulta racconta la sua amicizia tormentata con Lina ma ridondante nella serie, tanto più nella voce troppo protagonista di Alba Rohrwacher, che sottolinea e spiega là dove il più delle volte le due ragazzine in scena riuscirebbero perfettamente a spiegarsi da sole, mezzo che non dovrebbe essere indispensabile per andare a fondo nei pensieri e nel cuore delle protagoniste.
Ed è il cuore delle due protagoniste ad essere il fulcro del libro di Elena Ferrante, il racconto di un’amicizia femminile che, come tutte le amicizie femminili, è fatta di confidenza, ammirazione, complicità, di qualcosa che a momenti somiglia all’amore ma in altri momenti sentimenti più viscerali hanno il sopravvento e quella stessa amicizia allora si nutre di invidia, gelosia, competizione, e questa gamma infinita di sentimenti anche violenti quando si è bambine ha un volto, quando Lila e Lenù sono ragazze ne assume un altro, quando diventano donne diventa ricordo, nostalgia, rimpianto. Qui sta il capolavoro della Ferrante, proprio nel racconto intimo e brutalmente sincero di un’amicizia femminile che si trasforma nel tempo, così come si trasforma l’Italia intorno a queste due ragazzine che finalmente usciranno da quel quartiere e avranno due vite diverse che resteranno però ineluttabilmente intrecciate, insieme la loro salvezza e la loro maledizione. Chi è delle due l’amica geniale, a conti fatti? Ogni lettore e ogni spettatore daranno alla fine la propria risposta.
Si diceva, dunque, che negli Stati Uniti i quattro romanzi hanno avuto un successo straordinario, più che in Italia, un impatto fortissimo sul mondo intellettuale americano (e non solo quello) che ha amato e ammirato L’amica geniale, Storia del nuovo cognome (The Story of a New Name), Storia di chi fugge e di chi resta (Those Who Leave and Those Who Stay), Storia della bambina perduta (The Story of the Lost Child), pubblicati in America tra il 2012 e il 2015 da Europa Editions. La Ferrate Fever è stato un vero caso letterario e più in generale culturale. In Italia ha avuto comunque un grande successo ma la critica si è divisa, soprattutto dopo lo straordinario successo americano, gli stessi lettori hanno risposto in maniera più tiepida e soprattutto il mondo intellettuale italiano, magari senza dirlo apertamente, non è che abbia amato molto il lavoro di Elena Ferrante – di cui invece aveva lodato libri precedenti, primo fra tutti L’amore molesto, diventato poi un bel film di Mario Martone.
Quali sono quindi le ragioni di questo fenomeno tutto americano? Credo che ci possa essere più di una risposta, giornalisti, critici, professori ne hanno scritto molto, in particolare Grace Russo Bullaro che nel 2016 ha curato un interessantissimo libro, The Works of Elena Ferrante. Reconfiguring the Margins, mossa da un interesse accademico ma anche, per sua stessa ammissione, da un amore inquieto per la scrittrice italiana, proprio come inquieti sono gli amori delle protagoniste dei quattro romanzi, e inquieta è l’amicizia tra Lenù e Lila. L’attento studio della Russo Bullaro analizza la scrittura e il fenomeno letterario, gli aspetti storici per come li racconta la scrittrice, quelli puramente linguistici, e sottolinea un aspetto che mi sembra fondamentale, e cioè che italiani e americani hanno un’idea molto diversa di ciò che considerano grande letteratura, essendo quest’ultima per gli italiani solitamente solo la letteratura ‘alta’, mentre qui non è affatto così. E questo ci porta anche ad altre considerazioni sul successo americano dei romanzi di Elena Ferrante e presumibilmente anche della serie tv, attesissima qui e finora molto ben accolta dalla critica e dal pubblico. L’impressione è che ancora una volta il fascino di un’Italia d’altri tempi, un’Italia poveraccia, il fascino di quelli che sono i grandi mali italiani, la criminalità mafiosa di ieri e di oggi, vengono messi stilisticamente sullo stesso piano e hanno la meglio nell’immaginario americano. Il quartiere napoletano fatto di urla e pettegolezzi alla finestre, di donne che si prendono a botte in preda alla gelosia e di uomini ottusi e violenti narrativamente funzionano perfettamente per i lettori e gli spettatori americani che naturalmente, e tanto più in pubblico, condannano violenza, criminalità e maschilismo ma quando questi assumono i connotati della finzione squisitamente italiani, conditi quindi di caciara e bellezza e una generale passione nel dire e nel fare a loro sostanzialmente estranea, ecco allora che gli americani amano il racconto italiano, perché corrisponde a quello che loro immaginano e da cui sono attratti e respinti al tempo stesso. E, non dimentichiamoci, che è comunque qualcosa che è lontano da loro.
La serie My Brilliant Friend va incontro a tutto questo, si rifà esplicitamente a quell’immaginario (che è più americano che italiano) pur mantenendosi molto fedele al romanzo (che è invece ben più viscerale e ‘smarginato’, per usare il termine di Grace Russo Bullaro). Pur essendo voluta e co-prodotta da HBO rimane, a mio avviso, una serie essenzialmente italiana, molto superiore alla media ma sostanzialmente è una Fiction Rai, in particolare nel passo, nella narrazione e nel montaggio troppo piani. Senza fare paragoni fuori luogo, sono lontani i Soprano che hanno dato inizio a un’epoca della serialità televisiva, lontani altri fasti HBO, ma forse sono anche i tempi e i tipi di prodotto e di fruizione ad essere cambiati radicalmente e My Brilliant Friend si è trovata una nicchia, e nemmeno tanto stretta, nella serialità di qualità, essendo un prodotto abbastanza unico che è forte del successo delle Neapolitan Novels e della Ferrante Fever. Leggendo con attenzione le recensioni pubblicate, chiunque negli Stati Uniti in queste settimane abbia lodato la serie ha di fatto lodato i romanzi, con l’eccezione del grande lavoro di cast fatto da Saverio Costanzo. Un buon lavoro e una buona operazione commerciale, come un’ottima operazione commerciale è stato il ciclo di romanzi di Elena Ferrante. Si, perché dietro a una veste da romanzetto rosa, di quelli da leggere sotto l’ombrellone (ed è un romanzetto rosa, e si legge tutto d’un fiato sotto l’ombrellone) si nasconde in verità qualcosa di ben più profondo, che ha a che fare con la storia culturale anche violenta del nostro paese e con il cuore appassionato ma anche cattivo di certe irrinunciabili amicizie femminili, quelle che durano tutta una vita, che ci plasmano, ci completano, ci fanno crescere ma che ci possono anche annientare, soprattutto quando c’è di mezzo la genialità che, lo sappiamo, non trova grande spazio in questo mondo.