“Il diritto al viaggio come diritto all’esistenza”, queste le parole che possono fare da sottotitolo al Rapporto Italiani nel mondo 2018 della Fondazione Migrantes, appena presentato. Il tutto in 500 pagine, 64 autori e 50 saggi. Diritto al viaggio come diritto alla mobilità, elemento fondamentale per la costruzione della propria felicità. Perché, ricordiamolo, ai termini emigrazione ed immigrazione dobbiamo associare immediatamente quello di mobilità, che meglio racconta i processi contemporanei.
Il Rapporto non è solo un testo statistico sulla presenza italiana nel mondo ma sempre più uno strumento culturale e qualitativo per comprenderne la complessità, le differenze, la meraviglia.
Tuttavia, qualche dato dobbiamo darlo per capire qual è la situazione al 1 gennaio 2018. Premesso che i dati (AIRE) sono un elemento oggettivo ma raccontano solo un parte, al ribasso, del fenomeno, definiscono, dal 2006, un processo chiaro: la mobilità italiana verso l’estero cresce. Si è passati da poco più di 3,1 milioni di iscritti ai 5,1 di questo anno. Un aumento del 64,7%. I nuovi iscritti Aire ammontano a 243 mila per l’anno 2017, con 128.193 per espatrio (+ 3,2% rispetto all’anno precedente). Per quanto riguarda le fasce di età, a partire sono soprattutto i giovani tra i 18-34 anni (37,4%) e giovani adulti tra i 35-49 anni (25%), ma il dato più sorprendente riguarda le fasce di età più alte. In termini assoluti sono nettamente inferiori alle altre, ma l’aumento relativo nel 2017 è sorprendente: 65-74 anni (+26%), 75-84 (+49,8%), over 85 (+78,6%). Si tratta delle categorie “migrante genitore-nonno ricongiunto”, del “migrante di rimbalzo” che, tornato in Italia dopo tanti anni all’estero, decide di ripartire e del “migrante-previdenziale”. C’è però anche un numero importante nella fascia di mezza età (50-64) che migra in percentuali interessanti (11% con un aumento del 20,7%). Si tratta di “migranti maturi disoccupati”, persone che intendono rimettersi in discussione professionalmente, perché usciti dal mercato del lavoro o perché le condizioni professionali sono divenute insostenibili.
Segnaliamo le regioni di maggiori partenze: Lombardia, Emilia-Romagna, Veneto, Sicilia e Puglia. Si conferma una mobilità soprattutto dal nord. L’effetto Brexit si fa sentire, dopo anni in cui la Gran Bretagna era la prima metà, scende del 25,2%. Passa al secondo posto dietro la Germania e prima della Francia. Il primo paese extraeuropeo è gli Stati Uniti.
Dal punto di vista dei contenuti quest’anno il Rapporto si è soffermato sulle neomobilità. Dove vanno quelli che partono e perché? Il testo diventa una mappa che ci porta in Australia, Cile, Argentina, Irlanda, India, Gran Bretagna, Stati Uniti ecc… Un giro del mondo attraverso le Italie nel mondo. E si scoprono successi, grande storie ma anche fenomeni di “migrazione malata”: la povertà degli homeless italiani nel Regno Unito, quando anche una malattia ti fa perdere tutto da un giorno all’altro, oppure la presenza illegale in Australia con le conseguenze di detenzione ed espulsione.
Perché dobbiamo avere e leggere il Rapporto 2018? Perché altrimenti perdiamo pezzi di conoscenza. Il rischio opposto e di far prevalere stereotipi, semplicismi, banalità sia sulla presenza italiana nel mondo, poco conosciuta e mal interpretata, sia sul fenomeno migratorio in senso più ampio. Basta con l’idea che ci sono emigrazioni migliori o peggiori. Basta con l’idea che tutti quelli che se ne vanno sono dei cervelli in fuga. Basta con la sottovalutazione politica e scolastica del fenomeno delle mobilità, che manca da sempre nei programmi scolastici.
C’è altro, invece. Ricordando la storia emigratoria della famiglia di Papa Bergoglio, il Cardinal Bassetti, Pres. della CEI, chiude la giornata esprimendo un concetto fondamentale: “il diritto al viaggio come diritto all’esistenza perché la libertà di andare non nega quella di rimanere, di tornare o di ricominciare. Viaggiare è un diritto nel quale si esplica l’esistenza umana..ricercando la felicità”.
Noi abbiamo fame di tutto questo perché, come Richard Florida, teorico delle Smart Cities e Knowledge City, ricorda, la più grande domanda alla quale saremmo costretti a rispondere nella vita è: dove scegliamo di andare a vivere.
Il Rapporto è stato riconosciuto come uno strumento fondamentale per far conoscere agli italiani di Italia qualcosa di più sulle altre Italie. Lo raccontano molti degli ospiti presenti sul palco e in platea, a partire da Delfina Licata, la curatrice della pubblicazione che ci racconta di: “una mobilità che continua a cambiare volto costantemente ed è per questo che è necessaria la conoscenza perché di mobilità se ne parla e se ne sparla. Questo è un manuale che è una buona base di partenza”. C’è anche il Sottosegretario agli Affari Esteri Riccardo Merlo che riconosce l’importanza di “uno strumento utile e di consulto per tutti coloro che rappresentano gli Italiani nel mondo perché prima si deve leggere questo e poi si comincia a capire..purtroppo i problemi urgenti e immediati non ci fanno vedere quelli più importanti come la battaglia di sensibilizzazione che va fatta agli italiani d’Italia”. Anche Fabio Porta, deputato per due legislature in quota PD ci racconta che: “il rapporto è lo strumento principe per la politica e la cultura italiana, per riappropriarsi di una storia dinamica e permanente come quella della mobilità italiana affinché l’Italia sia di tutti, di quelli che viaggiano, che tornano, che arrivano e per questo bisogna ripartire dai giovani e dall’insegnamento nelle scuole”. Infine, un commento di Francesca Alderisi, eletta alla Camera per Forza Italia (Circoscrizione Nord e Centro America): “È uno strumento preziosissimo cresciuto nel tempo, che dovrebbe andare a coloro che studiamo il tema dell’emigrazione e devono prendere delle decisioni. In altre parole a tutti i parlamentari. Oltretutto traccia un percorso di cui in Italia ben poco si sa e, quindi, dovrebbe arrivare ai giovani e anche ai non addetti ai lavori”.
Alla fine di tutto questo come ne usciamo? Prima di tutto facciamo in modo che si parli di mobilità italiana con uno sguardo più ampio e non si appiattisca il discorso al solito problema trito e ritrito di giovani tristi e senza speranze che fuggono, cresciuti con i soldi pubblici, che se ne vanno ad accrescere l’economia di altri luoghi. E poi, sono tutti preoccupati dei cervelli in fuga che non si accorgono che quelli a fuggire per davvero sono i pensionati.
Ma per partire non c’è età. Solo voglia. Desiderio. E se ci sono ancora, vuol dire che c’è speranza.