Quando si parla di antimafia oggi occorre qualche spiegazione in più.
Abituati al bianco e nero, ai buoni e ai cattivi che stavano separati gli uni dagli altri, per anni si è nutrita l’illusione, tra i cittadini, di una facile distinzione tra i campioni civili e i loro avversari.
Negli ultimi anni, abbiamo constatato amaramente che purtroppo così non è più (o non è forse mai stato): certa antimafia si è trasformata in un sistema pericoloso, come la mafia stessa, mentre quest’ultima incitava i propri aderenti ad una vera e propria opera di infiltrazione e inquinamento dei movimenti antimafia, soprattutto antiracket, per mimetizzarsi e tentare di ingraziarsi le forze dell’ordine.
Da qualche anno, l’antimafia sociale vacilla, confusa e frastornata.
Si è spellata le mani per applaudire uomini e donne che le cronache, a distanza di pochi anni o addirittura mesi, avrebbero tratteggiato come cavalieri oscuri, difensori dei loro propri interessi economici, anche attraverso la corruzione di altri uomini dello Stato.
Così Montante, che la Confindustria nazionale annoverava tra i campioni antimafia, incontrando prefetti e commissari antiracket, giocava una sporca partita che aveva come fine l’aumento dei propri vantaggi economici.
Ed è qui, su questo incerto confine tra bene e male, che la società civile sbanda e si interroga.
Potrà continuare a fidarsi delle figure che il sistema mediatico elegge a simbolo del riscatto e della rottura dell’aggregato mafioso? Oppure deve imparare a diffidare o a giudicare secondo parametri diversi da quelli correnti? Per fortuna, l’antimafia militare continua a registrare successi: i sequestri dei patrimoni illegali sono ingentissimi e contano alcuni miliardi di euro; anche molte aziende sequestrate poi falliscono, perché la gestione mafiosa li teneva in piedi con l’intimidazione e l’amministrazione dello stato non sempre seleziona le figure più adatte a occuparsi di questi delicati aggregati.
Ma senza il rilancio dell’antimafia sociale e di conseguenza culturale non sarà possibile aggredire e disarticolare davvero la solida presa del complesso mafioso. Sottrarre l’impresa al controllo del racket. Per questo occorre darsi alcuni ambiziosi obiettivi.
1) Le imprese che aderiscono al consumo critico dovrebbero passare da circa mille a oltre diecimila attraverso una grossa offensiva di persuasione operata dallo stato insieme a quello che resta del movimento antiracket;
2) Favorire la nascita di altre associazioni antiracket anche ad opera di imprenditori del futuro, cioè quei giovani che vorrebbero il terreno economico bonificato dalla presenza mafiosa quando decideranno di avviare una loro impresa;
3) SCUOLA. Il processo educativo gioca un ruolo fondamentale. Nelle scuole ubicate nei quartieri a rischio, lo Stato dovrebbe investire trasformandole in centri di eccellenza: i migliori docenti e le migliori metodologie educative per demolire e disperdere ogni fascinazione del mito mafioso. L’antimafia culturale è la più forte risposta che uno stato moderno ed efficace può dare e potrebbe conseguire quei risultati a lungo inseguiti da Falcone.
La mafia è un fenomeno transitorio che la nuova e moderna storia d’Italia può archiviare come fenomeno storico e non più attuale.