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California split: un referendum per creare tre Stati (e favorire i democratici)

Non è la prima volta che se ne parla: lo Stato è troppo grande e ricco, e ha un problema di rappresentanza politica

James HansenbyJames Hansen
California split: un referendum per creare tre Stati (e favorire i democratici)

La California.

Time: 2 mins read

La proposta, che verrà votata a livello statale in un referendum popolare indetto per novembre, è di spezzare l’ingombrante stato americano di California in tre parti, creando tre “nuovi” stati degli Usa. Sarebbero, rispettivamente, la “Northern California”, la “California” (la California centrale) e la “Southern California”): la prima, la popolosa zona che gravita su San Francisco, la seconda dominata da Los Angeles e la terza l’estremo sud e l’immenso interno relativamente vuoto dello Stato.

L’idea, eccentrica a prima vista, ha una sua logica. Lo Stato è troppo grande e troppo ricco — da sola la California è la quinta potenza economica del Mondo. Il suo Pil è superato solo dagli stessi Stati Uniti, da Cina, Giappone e Germania. Di circa 1.350 km da Nord a Sud, è un po’ più lunga dell’Italia e ha una popolazione di quasi 40 milioni di persone.

Lo Stato ha sempre avuto un problema di rappresentanza politica. All’interno, la diversità tra le sue parti incoraggia l’esistenza di blocchi elettorali con interessi fortemente contrastanti. Inoltre, poiché il meccanismo elettorale nazionale americano fu congegnato appositamente in modo di enfatizzare la rappresentazione dei singoli stati federali anziché delle loro popolazioni, i californiani non ritengono di avere il peso che meriterebbero a Washington.

Nessuna di queste motivazioni è una novità. Da quando la California diventò uno Stato dell’Unione, nel 1850, le iniziative a favore della riconfigurazione dei suoi confini, lo spezzettamento o perfino la sua indipendenza rispetto al resto del Paese sono state circa 200. L’ultimo tentativo — attraverso un disegno di legge fallito, sempre per una soluzione a tre stati— risale al 1993. La bandiera dello Stato, che cita la “California Republic”— nei fatti, mai esistita— è un ricordo di uno dei tentativi mancati.

L’iniziativa referendaria è figlia dell’eccessivo patrimonio personale di ancora un altro miliardario della Silicon Valley, Tim Draper, che ha “vinto” vaste ricchezze con fortunati investimenti in Skype, Hotmail, Tesla e poi Bitcoin. La sua prima proposta, di dividere lo Stato in sei stati nuovi, risale al 2012 e all’epoca non aveva raccolto grandi consensi.

Spinta dai generosi finanziamenti di Draper, la nuova proposta — che ha raccolto oltre 400mila firme, qualificandosi per la consultazione — tenderebbe a confinare gli elettori Repubblicani dello Stato in una sola delle tre nuove entità (la California del Sud) creando due nuovi stati fortemente Democratici e, pertanto, quattro nuovi senatori nazionali — presumibilmente del Partito Democratico — che basterebbero a togliere il controllo della Camera Alta nazionale ai Repubblicani…

Sfortunatamente per la simpatica confusione politica che ne potrebbe risultare, è molto improbabile che l’iniziativa passi al voto. I sondaggi danno “favorevoli” solo il 17% degli elettori. Se anche passasse, dovrebbe essere poi approvata dal Congresso Usa — per l’appunto a controllo Repubblicano — prima di entrare in vigore. Gli altri americani guardano a tutto questo con blanda curiosità e forse un punto di malcelata sopportazione. La California, “the Golden State”, è nota per la politica spettacolo e le frivole iniziative elettorali e referendarie — e comunque, per tanti connazionali residenti negli altri 49 stati, una sola California è più che sufficiente.

AGGIORNAMENTO:

La Corte Suprema della California ha bocciato (almeno per ora) di inserire la proposta referendaria nelle elezioni di novembre.

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James Hansen

James Hansen

Americano della West Coast, vivo in Italia da molti anni. Sono arrivato, giovane, nel servizio diplomatico USA come vice console a Napoli. Lì ho capito che “da grande” non volevo fare l’ambasciatore. Sono passato al giornalismo come corrispondente dell’International Herald Tribune e del Daily Telegraph, in seguito spostandomi “dall’altra parte della scrivania” come capoufficio stampa di Olivetti, di Fininvest e infine di Telecom Italia. Da tempo mi occupo di “diplomazia privata”, accompagnando grandi aziende italiane nelle loro avventure internazionali. È la diplomazia che mi immaginavo da ragazzo, con obiettivi più o meno chiari e i mezzi e l’autonomia per perseguirli. An American from the West Coast, I have been living in Italy for many years. I got here young, with the diplomatic service as the US vice consul in Naples. There I realized that, as a grown up, I didn't want to be an ambassador. I turned to journalism as a correspondent for the International Herald Tribune and the Daily Telegraph, and later on, I moved to the “other side of the desk” as chief of press for Olivetti, Fininvest and finally Telecom Italia. I deal with "private diplomacy", backing up large Italian companies in their international adventures. It's the diplomacy as I imagined it when I was young, with more or less clear goals and the means and autonomy to pursue them.

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