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May 30, 2018
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Costituzione o no, la miopia di Mattarella avrà delle conseguenze

I costituzionalisti si sono divisi in due scuole di pensiero. Certo è che, a livello politico, la decisione di Mattarella è stata un autogol

Giuseppe De LauribyGiuseppe De Lauri
Costituzione o no, la miopia di Mattarella avrà delle conseguenze

Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella e Carlo Cottarelli (credits: Quirinale.it)

Time: 4 mins read

La situazione italiana è nel vivo di una mutazione peristaltica. In due giorni è successo tutto e il contrario di tutto. Il governo Cottarelli, chiamato direttamente da Mattarella, ha ritardato la consegna della lista dei Ministri. Secondo alcuni, Carlo Cottarelli sarebbe pronto a rimettere il mandato perché non ci sono possibilità di governo. La situazione si è ingarbugliata dopo il rifiuto di Mattarella all’ottuagenario Savona al Mef, per “salvaguardare il risparmio degli italiani”. Per molti questa mossa è stata un po’ una forzatura, un po’ un’ammissione che il voto popolare conta meno delle speculazioni dei mercati. Nonostante la mossa “accomodante” di Mattarella, la Borsa ha continuato a perdere e lo spread a salire. È chiaro che il Presidente e il suo entourage siano stati miopi nella gestione della crisi, non considerando che il veto ad un governo con quella maggioranza avrebbe creato un rigurgito anti-sistema certo. È la risposta psicologica a 10 anni di crisi. Una mossa estrema, a dir poco.

“In questi tempi di estremismo – diceva Margaret Atwood – gli estremisti vincono.”

Si delineano due punti di vista differenti. Il primo è il sentimento popolare, che avverte di essere stato preso in giro proprio da chi ha l’onore e l’onere di tutelarlo. Il secondo è quel pastrocchio composto da parte della classe dirigente ordoliberale (un po’ masochista) e da tanti intellettuali (o presunti tali) per cui questa UE è religione. Tutti non hanno fiducia nei politici e nelle istituzioni nostrane, così si aggrappano all’Europa nella speranza di beneficiare del suo controllo e amministrazione. Un amore per emanazione insomma. Questo vale, a ragione, per questioni sociali, dove l’Italia è rimasta agli anni ’80; vale per le riforme, profonde, del sistema amministrativo, giudiziario e di governance. Vale per l’europeismo ad ogni costo, anche se bollati costantemente come mendicanti e accattoni (chissà se l’avessero detto dei Francesi). Non è costato nulla, per quelli di cui sopra, chiudere l’occhio sonnolente quando i “barbari” venivano espulsi dall’arbitro.

Il Presidente ha sbagliato o no?

La Costituzione dice: “Il Governo della Repubblica è composto del Presidente del Consiglio e dei Ministri, che costituiscono insieme il Consiglio dei Ministri. Il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio dei Ministri e, su proposta di questo, i Ministri.”

I costituzionalisti hanno dato due interpretazioni diverse. Su questo giornale professori e politologi hanno sostenuto che il Presidente aveva il diritto (o dovere, dipende dal grado di giubilo) di bloccare il governo Conte e nominare Cottarelli (ex FMI) Primo Ministro.

Allo stesso modo, Lorenza Carlassare, costituzionalista e giurista italiana, intervistata dal ilFattoQuotidiano ha dichiarato:

“Il diniego sul ruolo di un Ministro può esserci solo per incompatibilità col ruolo, per conflitto di interessi e indignità causata, per esempio, da condanne penali. Solo per ragioni obiettive, non per ragioni politiche o economiche, perché il Presidente della Repubblica non è organo di indirizzo politico. La dottrina, da Galeotti a Paladin, è sempre stato concorde a ritenere il Presidente una garanzia e non un indirizzo politico.”

Da queste posizioni scaturiscono due limpidi ragionamenti. Se il Presidente nomina i Ministri sotto proposta del Presidente del Consiglio, senza il potere di veti (fatta salva la moral suasion), allora il Presidente è Istituzione, perché non decide l’indirizzo politico del governo. Se l’interpretazione è che il Presidente può decidere quali Ministri nominare o destituire, al di là dei casi già previsti come condanne o onorabilità, allora è chiaro che il Presidente sceglie l’indirizzo politico del Paese. In questo caso non è più arbitro istituzionale, ma parte in campo e dovrebbe essere eletto direttamente dagli elettori. Si chiama semi-presidenzialismo.

In molti dicono che le prossime elezioni saranno un referendum pro euro o anti euro. La realtà è differente: dall’Euro non si esce se si hanno debiti, magari lo si fa se si hanno crediti (come la Germania). Di sicuro la campagna elettorale verterà sulla figura del Presidente e dell’impasse che si è creato con il suo rifiuto.

Diciamolo, il Presidente che gli dice di no (con il pretesto di Savona), per poi cercare di dirigere politicamente un governo fuori dalle sue prerogative (Cottarelli), ha solo compattato la politica anti-establishment contro se stesso. Cottarelli, ottimo manager, è stato mandato al macello. Ieri Paolo Celata, nel telegiornale di La7, aveva fatto trapelare la notizia che Cottarelli non si sarebbe presentato in Senato per evitare una figuraccia, dato che i voti a suo favore sarebbero stati 0 (proprio nessuno su 315 Senatori, neanche quelli a vita). Il PD aveva dichiarato la sua neutralità, forse per un improvviso attacco di umiltà. In caso contrario, si sarebbe manifestato il paradosso di un governo appoggiato dal PD (che ha preso 6 milioni di voti) ed una minoranza composta da centrodestra (12 milioni di voti) e il M5S (11 milioni di voti).

Le prossime elezioni, che probabilmente saranno a luglio, ci regaleranno il trionfo di ciò che i mattarelliani e i vetero-europeisti temevano di più: i populisti. La Lega, che secondo SWG è già al 30%, avrà un ruolo dominante nel governo con i 5 Stelle, o addirittura totalitario nella compagine di centrodestra. Chi crede che Berlusconi possa ancora contare qualcosa ha probabilmente più di 50 anni ed è stato un tattico democristiano (una prece). Salvini compie il sorpasso e fa il gesto che fu di Gassman nell’omonimo film.

Mattarella ha dunque regalato al Paese un governo ancora più barbaro dei precedenti (chissà quale Attila vedrà il Financial Times), senza nessun argine del M5S (povero Sud).

Chi scrive ha troppa stima di Mattarella e della la sua storia personale e politica, ed è forse troppo acerbo per giudicare l’avvenuto. Poiché, pur avendone discernimento, sa bene che l’esperienza – citando Shakespeare – è un gioiello, ed è più lucente secondo conoscenza. Eppure, se di sgarbo si tratta, il Presidente e/o il suo entourage, finita la tempesta istituzionale, dovrebbero trarne le dovute conseguenze.

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Giuseppe De Lauri

Giuseppe De Lauri

Ho passato gli ultimi anni errando di città in città. Oggi sono a New York, dove mi occupo di politica, di comunicazione, tecnologia e dei loro innesti mutuali. Al giorno d’oggi c’è poco che possa prescindere da questi tre fattori.

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