Sono passate ventiquattro ore dal terremoto politico che ha sconvolto l’Italia, facendo precipitare la Repubblica in un clima da guerra civile. Il paese è ormai spaccato in due, colpito a morte dallo spread e da un conflitto istituzionale senza precedenti, che ha contrapposto il Quirinale e la maggioranza politica uscita vincente dalle ormai lontane (e inutili) elezioni del 4 marzo.
Stiamo assistendo in queste ora all’imminente insediamento di un governo “del presidente”, imposto da Sergio Mattarella e capeggiato da Carlo Cottarelli, uomo fedele all’austerity e al “rigore” dei conti pubblici.
Tale esecutivo sarà privo di una maggioranza parlamentare. Il suo obiettivo, a quanto dichiarato stamattina dallo stesso Cottarelli al termine del colloquio con il capo dello stato, è quello di traghettare il paese verso le elezioni, che si terranno in autunno o in alternativa all’inizio del 2019, a seconda che il governo incassi o meno la fiducia delle Camere. La sfiducia, però, è praticamente scontata, perché il Movimento Cinque Stelle e il Centrodestra non intendono dare il loro avallo alla nuova compagine capeggiata da Cottarelli, che sarebbe sorretta solo dal Partito Democratico.
L’economista in questione ha sessantaquattro anni ed è il direttore dell’Osservatorio sui Conti Pubblici Italiani dell’Università Cattolica di Milano. Dopo essere entrato per 7 anni nel Servizio Studi della Banca d’Italia (dal 1981 al 1987), ha poi fatto carriera per più di vent’anni nel Fondo Monetario Internazionale, fino al 2013. È a quel punto che è balzato agli onori delle cronache, quando il governo Letta lo nominò commissario straordinario per la Revisione della spesa. Un incarico che lasciò prematuramente, tornando all’FMI nel novembre 2014 sotto il successivo governo Renzi.
Il suo compito, allora, era tagliare “gli sprechi” della pubblica amministrazione, in linea con le direttive pro-austerity a cui il paese si era tragicamente piegato. “Mister Forbici”, com’era stato soprannominato, non riuscì però nell’impresa.
La nomina di un economista come Cottarelli, che tuttavia ha dichiarato di non volersi candidare al termine del mandato, è suonata a molti commentatori come una provocazione del Quirinale, che ha scelto un sacerdote dell’odiata austerità invece che un profilo più istituzionale.
Nei riguardi di Mattarella, in questo momento la posizione più dura è stata assunta dal Movimento Cinque Stelle, che (insieme a Fratelli d’Italia) ha ribadito la proposta di mettere sotto accusa il presidente della repubblica ai sensi dell’articolo 90 della Costituzione.
Non bastasse, in un breve video su Facebook Luigi Di Maio ha chiamato gli attivisti pentastellati alla mobilitazione generale, tendendo la mano alla Lega e annunciando una serie di manifestazioni di piazza da tenersi nelle principali città italiane il 2 giugno prossimo. Nel suo durissimo discorso, in cui si è scagliato contro quella che considera una campagna stampa orchestrata dai “poteri forti”, Di Maio ha scelto di scendere in piazza in una data simbolica, proprio nel giorno della festa della Repubblica.
Dal canto suo, il leader della Lega Matteo Salvini sembra in queste ore indeciso se mollare o no lo scomodo alleato Berlusconi in vista delle future elezioni e chiede intanto una riforma del sistema elettorale.
Sette anni dopo la terribile crisi del 2011 il nostro paese è di nuovo nel mezzo della bufera. Questa volta, però, la maggioranza degli italiani è molto più smaliziata di allora, quando “re” Giorgio Napolitano nominò Mario Monti senatore a vita ergendosi a difensore della patria.
Ora, il veto di Sergio Mattarella al nome di Paolo Savona, indicato dai gialloverdi come ministro dell’economia, è stato subito da molti come un’inaccettabile diktat. Soprattutto in seguito alla lettera inviata ieri al Sole 24 Ore, nella quale l’economista in questione aveva precisato le sue posizioni sull’Unione Europea, rigettando con forza le accuse di “antieuropeismo” rimbalzate sui media e spiegando di volere un’Europa “più forte ma più equa”. “Re Sergio fa saltare tutto” ha titolato stamattina il Fatto Quotidiano, aperto da un tagliente editoriale di Marco Travaglio che interpreta alla perfezione il sentimento di una buona metà dell’opinione pubblica.
In tale difficile contesto è inutile gettare benzina sul fuoco. Ma è innegabile che, a prescindere da come la si pensi, dal dramma che si sta consumando in queste ore sono emerse domande ancora prive di risposta.
Qual è la vera ragione che ha spinto Mattarella a rigettare Savona (un personaggio critico nei confronti dell’Europa ma senza dubbio capace e tutt’altro che “incendiario”)? Perché i gialloverdi non hanno dribblato il veto affidando al leghista Giancarlo Giorgetti il ministero e a Savona il sottosegretariato? E soprattutto, è possibile mettere in discussione, democraticamente, alcuni dei dogmi europei (come la fantomatica regola del 3%), senza finire sommersi dalla speculazione finanziaria? Su tutti questi interrogativi, pesanti come macigni, continua il durissimo scontro tra Quirinale, Lega e Cinque Stelle.
Ognuno da un’interpretazione opposta a quella dell’avversario, e su questa scia l’opinione pubblica si sta sempre più polarizzando. Speriamo solo, per il bene dell’Italia, che il paese resista.