L’uragano “Russiagate” infuria. Washington è travolta dai veleni delle accuse di una congiura organizzata dall’FBI e dal Dipartimento della Giustizia ai danni del presidente. Non è la trama di un thriller politico, ma ciò che sta avvenendo nei palazzi del potere. Si parla di collusioni con il Cremlino, ma traspare, anche se fino ad ora non è stato espresso esplicitamente, un giro di riciclaggio per milioni di dollari alimentato dalle dichiarazioni dell’ex consigliere di Donald Trump, Steve Bannon, licenziato nelle settimane scorse, che puntava il dito accusatore sul figlio del presidente.
Veleni letali, con la posta in gioco altissima e non solo per gli Stati Uniti. Con direttori dell’FBI licenziati dal presidente in pochi mesi. Con Trump che nasconde la dichiarazione dei redditi e chiede ai massimi vertici del sistema investigativo-giudiziario lealtà a lui e non onestà al Paese.
Una strada pericolosissima per la Casa Bianca, per gli Stati Uniti, per l’Occidente. Mai Casa Bianca, Congresso, repubblicani e democratici sono stati così divisi e così carichi di livore, neanche ai tempi del Watergate di Nixon. Mai un presidente negli Stati Uniti ha violato le regole non scritte di un capo della Casa Bianca come sta facendo ora Donald Trump. Sono cose che si vedono in altri Paesi, con altri presidenti in altre latitudini, mai, finora, negli Stati Uniti. Secondo Politico la resa dei conti ci sarà questo sabato, quando Trump licenzierà Robert Muller e Rod Rosenstein. Restiamo per ora con il fiato sospeso.
Al centro di tutta la vicenda c’è l’inchiesta condotta da Robert Mueller sulle presunte collusioni tra Donald Trump e la Russia. Muller è stato nominato “Special Counsel” dal viceministro della Giustizia Rod Rosenstein dopo che il ministro della Giustizia, Jeff Session, si è dovuto ricusare a causa dei suoi contatti, dimenticati, proprio con l’ambasciatore russo.
Nel corso dell’inchiesta condotta da Mueller molti stretti consiglieri del presidente, da Michael Flynn (ex National Security Advisor) a Paul Manafort (ex campaign manager di Trump) sono stati interrogati. Flynn, dopo essere stato scoperto di aver dichiarato il falso, ha patteggiato un verdetto di colpevolezza e dovrà essere sentenziato nei prossimi giorni. Paul Manafort ha respinto le accuse, ma è stato arrestato dopo che un grand jury federale lo ha rinviato a giudizio, insieme al suo socio Rick Gates, per fondi non dichiarati ricevuti dal governo filo russo dell’Ucraina. Un altro stretto collaboratore di Trump, George Papadoupolos, ex consigliere di politica estera, si è dichiarato colpevole di falsa testimonianza e collabora alle indagini. Da dire che Robert Mueller è un repubblicano, ex procuratore federale, nominato da George Bush a dirigere la polizia federale nel 2001 e riconfermato poi da Barack Obama.
In questo panorama di corruzione, bugie, “cover up” e destituzioni, l’inchiesta di Mueller si scontra con quella condotta dal Comitato sui Servizi Segreti della Camera, capeggiata dal congressman repubblicano Devin Nunes. La commissione è composta da 22 membri, 13 repubblicani e 9 democratici. Nei giorni scorsi Nunes, che ha fatto parte del transition team di Trump, ha redatto un promemoria sintetizzando le “malefatte” del Dipartimento della Giustizia che avrebbe messo sotto sorveglianza, senza averne l’autorizzazione, un numero imprecisato di persone del team di Trump per i contatti con il Cremlino. Si parla delle “FISA courts”, i tribunali speciali in cui si svolgono i procedimenti e le inchieste per spionaggio e terrorismo.
L’FBI e il Dipartimento della Giustizia sono insorti, chiedendo al presidente di bloccarne la divulgazione sia per “l’inaccuratezza” che per “le omissioni” contenute nelle quattro pagine del promemoria. Aggiungendo che rendendo pubblica una inchiesta ancora in corso si metterebbe a repentaglio l’intera validità dell’indagine. Trump ha detto che poiché il promemoria svilisce l’inchiesta di Mueller lo renderà pubblico nelle prossime ore. Nel frattempo gli avvocati di Trump e quelli dell’Fbi sono in trattative per alleggerire i contenuti del rapporto Nunes.
Da aggiungere che i 9 democratici che fanno parte del Comitato sui Servizi Segreti hanno redatto un rapporto di minoranza in totale contrasto con quello di Nunes che però è stato secretato dai repubblicani. Inoltre i democratici che fanno parte del Comitato hanno accusato Nunes di aver alterato il rapporto dopo che la maggioranza lo aveva approvato.
Ma c’è dell’altro che intossica ulteriormente il già avvelenato clima politico. Due degli inquirenti nel team di Mueller, un agente di alto grado dell’FBI, Peter Strzok, (che è quello che ha condotto l’inchiesta sulle email di Hillary Clinton) e un avvocato dell’FBI con cui era romanticamente legato, Lisa Page, si inviavano dei messaggini deridendo Donald Trump. Nei messagini, inoltre, i due si chiedevano se non fossero stati troppo severi con l’ex segretario di Stato. Strzok e Page sono stati allontanati dall’inchiesta, ciononostante, i repubblicani conservatori, capeggiati dal congressman Bob Goodlatte, hanno cominciato a gridare alla congiura di palazzo.
Infuocati i commenti del Washington Post, New York Times, Cnn, Politico, Los Angeles Times, ma forse il miglior commento lo ha fatto Carl Bernstein, il famoso giornalista protagonista con Bob Woodward dell’inchiesta che portò alle dimissioni del presidente Richard Nixon, che ha definito la presidenza di Trump “tossica per il Paese”, aggiungendo che “Se questi leader del Congresso ci fossero stati ai tempi del Watergate, Nixon non sarebbe mai stato incriminato”.