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Quei terroristi che ormai hanno cambiato la nostra vita

Dopo gli attentati dei terroristi islamisti, la paura è un diritto, a volte perfino un dovere

Valter VecelliobyValter Vecellio
Quei terroristi che ormai hanno cambiato la nostra vita

Il disegno raffigurante Sayfullo Saipov fornito dalla Corte Federale: così il terrorista, in sedia a rotelle, è apparso davanti al giudice

Time: 3 mins read

Lo si dice e lo si sente dire dopo ogni attentato, dopo ogni strage:   “Non cambierete la nostra vita”. Ah! No? Non è cambiata e non la cambiano la nostra vita? Da quando non prendete un aereo? Controlli,  perquisizioni, togliti le scarpe, togliti la cintura dei pantaloni, fuori il tablet, radiografia dei passaporti… Dove vai, con chi vai, perché vai, da dove vieni…

La cambiano la nostra vita: siam zeppi di norme che ti frugano per ogni dove, monitorano i tuoi movimenti di banca, attento a non avere un filo di barba che non sia quella “regolamentare”; e anche tu, che una volta ti chiedevi: ma con quei caffettani si sta davvero più comodi? Ora quando ne vedi uno, pensi: “Chissà…”; poi, magari ti vergogni, ma intanto l’hai pensato, hanno creato le condizioni per fartelo pensare.

La cambiano eccome, la nostra vita: è normale vedere in ogni luogo che ha l’aria di “obiettivo sensibile” ragazzi in assetto di guerra con in braccio armi automatiche come un tempo se ne vedevano nei film di “Rambo” o in Irak? Cambia la vita, se si può essere sospettati di terrorismo se affitti un furgone, e se si installano jersey per strade e piazze. E ci si limita agli episodi più “visibili”. Ci sono poi le misure più radicali: quelle occulte, che è bene ci siano senza percepirle. La vita è cambiata, cambia, cambierà.

“Noi non abbiamo paura”, s’usa dire dopo ogni attentato, ogni strage terroristica.   Perché non devo avere paura? Per noi, per i nostri cari, perché si deve negare che si teme di essere uccisi, vittime di questo fanatismo che ha sì un metodo, pur se colpisce in modo cieco? Diciamo che ci si sforza di “governarla”, la paura; che si vuole evitare di cadere nelle “trappole” di questi tagliagole che vorrebbero renderci come loro; che si vuole conservare la soglia minima della decenza giuridica, delle regole salutari dello stato di diritto. Riconoscere di avere paura non è segno di debolezza; al contrario, diventa una forza: è consapevolezza del pericolo, dei rischi; dei nostri limiti. La paura non negata consente di vincerla, e individuare antidoti e contravveleni. Ma la paura è un diritto, a volte perfino un dovere.

Questi manovali del terrore sono docili strumenti nelle mani di cinici burattinai che perseguono interessi molto terreni e concreti; altro che il Paradiso-latte-miele, e spose vergini a disposizione. Ci sono articolate filiere che procurano denaro, armi, tecnologia, e garantiscono addestramento militare e ideologico. I “servizi” già oggi agiscono come giganteschi aspirapolveri: “bevono” una quantità di dati grezzi, e alla fine se ne ubriacano: non sanno come gestirli.

Dei terroristi si sa tutto sempre cinque minuti dopo, mai cinque minuti prima. L’osservazione è di Zbigniew Brzezinski, consigliere per la sicurezza nazionale sotto la presidenza di Jimmy Carter, all’indomani degli attentati alle Twin Towers e al Pentagono: “Il 10 settembre 2001 non sapevamo nulla di questi attentatori. Il 12 settembre tutto”. Traduzione: le informazioni c’erano. Il problema era saperle “leggere”. Raccogliere una mole di dati e di “notizie” e non saperle usare per tempo: è il problema di tutte le intelligence. Le cose non sembrano essere cambiate molto. Vien da chiedersi, per esempio, cosa se ne fa mai la National Agency Security americana della possibilità (e della capacità) di poter “pescare” nel cyberspazio l’equivalente di almeno 600 milioni di file cabinets ogni giorno, se poi i dati non li si sa connettere e mettere a frutto; e si parla della sola NSA…

I terroristi possono fallire nove volte e riuscire la decima. E così vincono. Chi i terroristi li contrasta e lo combatte può riuscire nella sua azione di prevenzione e repressione nove volte e fallire la decima, e così perde. E voi mi dite che non hanno cambiato, che non cambiano la nostra vita?

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Valter Vecellio

Valter Vecellio

Nato a Tripoli di Libia, di cui ho vago ricordo e nessun rimpianto, da sempre ho voluto cercare storie e sono stato fortunato: da quarant'anni mi pagano per incontrare persone, ascoltarle, raccontare quello che vedo e imparo. Doppiamente fortunato: in Rai (sono vice-caporedattore Tg2) e sui giornali, ho sempre detto e scritto quello che volevo dire e scrivere. Di molte cose sono orgoglioso: l'amicizia con Leonardo Sciascia, l'esser radicale da quando avevo i calzoni corti e aver qualche merito nella conquista di molti diritti civili; di amare il cinema al punto da sorbirmi indigeribili "polpettoni"; delle mie collezioni di fumetti; di aver diretto il settimanale satirico Il Male e per questo esser finito in galera... Avrò scritto diecimila articoli, una decina di libri, un migliaio di servizi TV. Non ne rinnego nessuno e ancora non mi sono stancato. Ve l'ho detto: sono fortunato.

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