Il primo nome degli imputati che appare al maxiprocesso, quello in cui Giovanni Falcone e Paolo Borsellino misero la mafia alla sbarra, è quello di Abate Giovanni. Ebbene, sono cresciuto a casa sua, dei suoi genitori e di suo fratello Giuseppe, assassinato da Cosa Nostra: così come ho conosciuto i fratelli Michele e Salvatore Greco, rispettivamente “Papa” e “Senatore”. Quindi quando si parla di mafia ante corleonesi, credo di capirne un’anticchia (un po’).
Poi, divenuto adulto, ho affrontato a viso aperto Cosa Nostra e se oggi, 19 luglio 2017, scrivo che alcuni uomini delle istituzioni e della “Palermo bene”, dovrebbero andare in pellegrinaggio per omaggiare Santa Rosalia, per loro esistenza in vita, sarebbe cosa buona e giusta.
Prima di ricordare un Galantuomo Siciliano, giova rimarcare che la mia città natia, Palermo non è mafiosa. Sento il dovere di affermare, da palermitano doc, che la stragrande dei miei concittadini sono persone oneste, e che da anni e anni subiscono la violenza mafiosa. Spesso, per distinguere gli uomini amo dire che essi si distinguono per le loro azioni e le parole che pronunciano. E mutuando il pensiero di Pirandello, affermo che sovente si incontrano tante maschere e pochi volti: aggiungo anche tanti quaquaraquà.
Ho avuto la fortuna, dopo aver conosciuto da ragazzo tanti mafiosi, di conoscere tantissimi uomini che col loro sangue hanno scritto la storia alla lotta a Cosa Nostra: magistrati, carabinieri, miei colleghi della Polizia. Venticinque anni fa esattamente il venerdì 17 luglio 1992, dopo una mattinata trascorsa ad interrogare Gaspare Mutolo, nel salutarci strinsi la mano non a un uomo, ma all’Uomo Paolo Borsellino. “Pippo ci vediamo lunedì o martedì se vado in Germania!”. Le ultime parole che sentii pronunciargli: poi il buio e le tenebre che ancora oggi ammantano la verità sulla strage di via D’Amelio.
Purtroppo, non la conosciamo, e non sappiamo nemmeno nulla sul furto dell’Agenda rossa. Strano Paese il nostro, specialmente quando qualcuno afferma che le stragi del 92/93, siano scaturite solo dalla mente bacata di Totò Riina. Ma per favore!
Il magistrato Paolo Borsellino, rappresentava per me la continuazione dell’opera svolta dal dottor Giovanni Falcone. Riponevo in Borsellino, dopo la strage di Capaci, tutte le mie speranze nel combattere con atti concreti Cosa Nostra. L’opportunità che avemmo, nell’interrogare il collaboratore Gaspare Mutolo, ci faceva sperare di dare un colpo mortale alla Piovra. Il dottor Paolo Borsellino, aveva pianificato in modo certosino, tutti gli interrogatori di Mutolo. Ma il tritolo in via D’Amelio affossò i nostri sogni: i nostri progetti.
Chi era il dottor Paolo Borsellino? Un Galantuomo Siciliano, che questo imbelle Stato non meritava di avere alle sue dipendenze. E’ inutile girarci attorno e diciamolo a gran voce, lo Stato lasciò soli sia Falcone che Borsellino: le stragi di Capaci e di via D’Amelio, potevano essere evitate. Posso dimostrarlo. Chi trasse benefici dalle stragi 92/93? Paolo Borsellino, un Uomo fermato col tritolo: Un Uomo, che in vita avrebbe di certo mandato a rotoli gli interessi non solo di Cosa Nostra.
Ho tanta rabbia, ho tanta amarezza in corpo, nonostante siano passati 5 lustri. Non riesco a dimenticare i volti dei migliori figli di questo ingrato Paese, morti per tener fede a un giuramento di fedeltà: perdonatemi non posso! Paolo Borsellino è vivo dentro la mia mente oltre che nel cuore. Mi spiace dottor Borsellino che oggi non è più con noi; fumerei volentieri anche se ho smesso da anni, un’altra sigaretta insieme come quelle fumate nella piccola stanzetta della DIA di Roma.