È il 28 ottobre quando l’agenzia ANSA riporta l’ennesima vicenda legata alla teoria gender. In provincia di Massa Carrara una bambina è stata ritirata dalla scuola elementare che frequentava e ha cambiato istituto. La motivazione: le maestre le leggevano “favole gender”. La madre ha affermato che nella scuola venivano messi in dubbio, attraverso l’ausilio di favole, i principi cardini di cosa è uomo e cosa è donna. Andando più indietro, si arriva ad un altro episodio eclatante che risale all’8 luglio 2015. Ci spostiamo sulla laguna, a Venezia. La Serenissima diventa teatro di un clima da Inquisizione. Il sindaco Brugnaro indica 49 libri che non devono essere presenti nelle scuole perché promotori della teoria gender. Sui social impazzano le proteste contro la censura.
Al centro del dibattito c'è la scuola, luogo privilegiato per la diffusione di quelle che secondo alcuni sarebbero “teorie pericolose”. Il ministro dell’Istruzione Giannini e la riforma della Buona Scuola sono al centro delle polemiche: si accusa il nuovo testo di legge di aprire le scuole italiane a un’ideologia che, superando le tradizionali differenze di genere, rischierebbe di introdurre concetti diseducativi e di sottomettere l’istruzione delle nuove generazioni a ideologie sovversive, se non immorali.
Di fatto, il testo della Buona Scuola prevede che nelle scuole si combattano stereotipi e discriminazioni legati al sesso e al genere. Si punta infatti alla promozione nelle scuole di un’educazione volta alla formazione di una cultura che rispetti la parità tra i sessi e che sia capace di prevenire “la violenza di genere e di tutte le discriminazioni”. Che la scuola debba e possa concorrere alla formazione di nuove generazioni migliori delle precedenti, mettendo l’accento sui grandi temi della contemporaneità e insegnando ai giovani i principi cardine del vivere in una comunità, sembrerebbe coerente con gli obiettivi di una scuola pubblica di un paese democratico. Eterogeneità e uguaglianza, due principi che sembrano opposti e non lo sono, dovrebbero essere inscindibili. La scuola dovrebbe educare alle differenze e alle uguaglianze come a due facce della stessa medaglia. Giannini lo ha ribadito a Genova, in occasione del Festival della Scienza, affermando che la scuola deve “dare sensibilità ai ragazzi contro ogni forma di discriminazione e sulla parità di genere, che non ha nulla a che fare con la teoria gender, che è una costruzione che appartiene ad altro”.
È un documento che risale a quindici anni fa a denunciare l’ideologia gender. Il testo in questione è Famiglia, matrimonio e unioni di fatto del Pontificio Consiglio per la Famiglia, in cui si legge: “l’essere uomo o donna non sarebbe determinato fondamentalmente dal sesso, bensì dalla cultura. Tale ideologia [gender] attacca le fondamenta della famiglia e delle relazioni interpersonali”. E ancora: “nella società i generi maschile e femminile sarebbero esclusivamente il prodotto di fattori sociali, senza alcuna relazione con la dimensione sessuale della persona. In questo modo, ogni azione sessuale sarebbe giustificabile, inclusa l’omosessualità, e spetterebbe alla società cambiare per fare posto, oltre a quello maschile e femminile, ad altri generi nella configurazione della vita sociale”.
Il rischio di un approccio di questo tipo è, tra l'altro, di veder confusa l’ideologia gender con gli studi di genere che, a differenza della prima, sono ben più concreti e significativi. Questi ultimi, infatti, si prefiggono attraverso un’analisi culturale interdisciplinare e multiculturale di analizzare e decostruire stereotipi culturali e comportamentali basati sull’appartenenza al mondo maschile e femminile.
Confusione terminologica, strumentalizzazioni e una generosa dose di paura, non favoriscono un sereno dibattito sul tema. Gender significa genere e gli studi di genere non sono identificabili con la teoria gender. Negli anni, lotte, studi e pensatori hanno reso possibile la riflessione sui ruoli di genere, sull’essere uomo o donna nella società e su tutti gli stereotipi prodotti da essa. Ma la paura è una questione spinosa. Molti hanno paura che i propri figli possano essere traviati. E alla base di questa paura c'è la persistente concezione che l’omosessualità, ad esempio, possa essere qualcosa di indotto – magari proprio nelle scuole – e non di insito, naturale ad un essere umano. Omosessuali si diventa, non lo si è, insomma.