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June 6, 2015
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Mafia Capitale: a che serve quel nome?

Fabio CammalleribyFabio Cammalleri
Time: 4 mins read

Le parole, come si sa, sono importanti. E, nonostante ogni diffuso impegno per svilirle, tali restano. Consideriamo la parola mafia. Deve la sua importanza al sangue versato per imparare a conoscerla. Non esiste, è un formaggio, è un aggettivo qualificativo per designare qualità positive, è la morte. Dopo un pò si è capito. Una volta definito il suo significato, vale a dire, ciò di cui è segno, nasce il problema morale: è un bene, è un male? E’ un male, dato che è segno di morte. Sembra facile. E la morte è il maggiore dei mali e, se non il maggiore, fra i maggiori (anche per chi ne fa veicolo di trascendenza, una brutta morte -nel peccato, come si dice- è il maggior male: perchè diviene veicolo di dannazione eterna). Perciò siamo d’accordo che la Mafia, che usa la morte come il fabbro il martello o il falegname la pialla, è un gran male. 

Primo corollario: le parole sono importanti se e quando sono vere.

Ad un certo punto, tuttavia, i morti cominciarono a diminuire, e anzichè compiacersene, ad alcuni (sguardo sabaudo, quindi acuto per definizione) sembrò che la parola mafia avesse perso nerbo connotativo e se ne propose una moltiplicazione: se al singolare mostrava il fiato corto, al plurale avrebbe potuto riacquistare la primitiva vigoria. Si è cominciato a parlare di mafie: al plurale. Finchè, nell’Ottobre 2011, intervenendo ad un convegno intitolato “Mafie 2011: legalità e istituzioni”, la pm Ilda Boccassini chiese piuttosto polemicamente: “Perché mafie al plurale? Io ne conosco solo una, anche perché, come ricordava Falcone, se tutto è mafia, nulla è mafia”. Lungo questo solco nichilista pare si sia adagiata anche l’ultima Commissione Antimafia che, in realtà è una Commissione Antimafie, al plurale pure lei. La sua legge istitutiva così, testualmente, recita: “Legge 19 luglio 2013, n. 87: Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, anche straniere”.

Secondo corollario: la parola è un congegno delicato: basta poco, perché rischi di rompersi.

Mafia Capitale non è un nome al plurale: è una variante. Ma è ugualmente una deviazione dal significato certo, quel “solo una”, cui si riferiva il noto magistrato.

Negli ultimi mesi, a lungo ha campeggiato la riforma dei delitti di corruzione, la riforma è stata varata, le pene sono state inasprite; esiste pure un Autorità Anticorruzione; Francesco I certifica che “la corruzione spuzza”, il Presidente Mattarella esorta ad essere “severi conto corruzione e illegalità”; le indagini della Procura di Roma riguarderebbero pubblici ufficiali, titolari di cariche pubbliche elettive, amministratori. Insomma, non mancavano le norme, le cattedre o i pulpiti, né, come dire, la tendenza socialcivilistica. Nonzi: mafia è.

Terzo corollario: la  mafia non è più quella cosa che ebbe contatti con i comandi di Roosevelt e Churchill; che, solo nei cinquant’anni dall’operazione Husky (Luglio 1943) a Via Palestro (1993), ha ucciso, a mano, con nastri, funi, fil di ferro, con pistole, fucili con e senza canne mozze, Kalashnikov, bombe, a mano e radiocomandate, sindacalisti, poliziotti, carabinieri, magistrati, giornalisti; lasciando sul selciato almeno quattromila persone: quando non ne ha squartato i cadaveri (bambini compresi), interrandoli o sciogliendoli nell’acido o immergendoli tutti interi nel cemento armato; che, per tutta la Guerra Fredda, sarebbe stata persino pedina feroce, per quanto periferica, di un certo atlantismo oltranzista; movimentando (e spesso millantando) greggi elettorali; che avrebbe istituito sulle due sponde dell’oceano, per almeno trent’anni, il più vasto e ricco cartello nel reperimento, nella raffinazione, nella distribuzione di oppiacei di ogni specie, venendo a capo di traffici per varie migliaia di miliardi di vecchie di lire (o di milioni di dollari), agendo, a riciclaggio, come concorrente sleale e, spesso, fagocitatore, nel settore edile e derivati, e poi nel commercio. 

Niente da fare. E’ ora una cosa che può contemplare anche una cresta di un euro per immigrato, su rimborsi o altre provvidenze previste per fronteggiare umanitariamente il problema migratorio; che vanta basi logistiche en plein aire, presso un distributore di benzina; che risuona di spacconate da bar dello sport. E, si badi, mentre si mantiene a Palermo l’ipotesi che abbia potuto porsi, da pari a pari, con le Istituzioni della Repubblica, implicando ministri, vertici dell’amministrazione centrale, parlamentari, persino indirettamente due Presidenti della Repubblica. Dal Palazzo alla Colonnina.

A volte qualcuno, in vena di amenità, fa notare che l’art. 416 bis del Codice Penale reca la dizione “associazione di tipo mafioso” e non “associazione mafiosa”. Come dire: non una e basta, ma ognuna che assomigli all’archetipo. Sarebbe un girogiro tondo: l’archetipo non faceva (né fa) le creste da un euro. 

Allora l’unica domanda che resta da fare è: perché? La sgradevole impressione è che, questa fantomatica Mafia Capitale, non c’entri nulla col sottobosco di Roma: il quale, per inciso, essendo il sottobosco di una città Capitale di Stato, sarebbe popolato di sant’uomini, se questo fosse tutto; rispetto a quello che, ad esempio, vi è a Washington e Londra e che vi parte e vi arriva. Senza scomodare le guerre e l’illecita compravendita di armi indotta e accessoria, senza considerare il credit crunch, si potrebbero considerare i banalissimi omicidi e le implicazioni criminali delle complesse stratificazioni sociali (a Washington -vero New York Times che da lezioni?- nel 2008, circa 60.000 residenti erano ex detenuti), per trarne il timore che la scelta della Procura di Roma serva come il plurale della Commissione Antimafie: moltiplica le mostrine, annulla la verità.

  

 

 

 

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Fabio Cammalleri

Fabio Cammalleri

Il potere di giudicare e condannare una persona è, semplicemente, il potere. Niente può eguagliare la forza ambigua di un uomo che chiude in galera un altro uomo. E niente come questa forza tende ad esorbitare. Così, il potere sulla pena, nata parte di un tutto, si fa tutto. Per tutti. Da avvocato, negli anni, temo di aver capito che, per fronteggiare un simile disordine, in Italia non basti più la buona volontà: i penalisti, i garantisti, cioè, una parte. Forse bisognerebbe spogliarsi di ogni parzialità, rendendosi semplicemente uomini. Memore del fatto che Gesù e Socrate, imputati e giudicati rei, si compirono senza scrivere una riga, mi rivolgo alla pagina con cautela. Con me c’è Silvia e, con noi, Francesco e Armida, i nostri gemelli.

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