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April 30, 2015
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L’antimafia da Luciano Liggio all’euro

Giulio AmbrosettibyGiulio Ambrosetti
Storie di una Sicilia indecifrabile, dove ammazzati per bontà o crudeltà si mischiano
Time: 5 mins read

Si racconta che un giorno un giudice – presidente di sezione – chiese a Luciano Liggio, già allora capo indiscusso della mafia corleonese: “Liggio, secondo lei la mafia esiste?”. La risposta del boss non si fece attendere: “Presidente, se esiste l’antimafia…”. La frase, oltre che ironica, lasciava intendere altro. Cosa? Liggio faceva riferimento agli anni ’60 e ’70 del secolo passato. Quando l’antimafia veniva strumentalizzata – soprattutto dal Pci, ma non soltanto – per finalità che avevano poco o punto a che spartire con la lotta alla mafia. Insomma, già allora tutto quello che era stato costruito attorno all’antimafia era ridondante e, soprattutto, non serviva, spesso, a combattere la mafia, ma veniva utilizzato dai politici per sbarazzarsi dei propri avversari. O quanto meno per provarci.

Da allora di anni ne sono passati tanti. Ma la situazione, lungi dal migliorare, è peggiorata. Cos’è, oggi, infatti, l’antimafia? A Roma, oggi, c’è una commissione parlamentare nazionale antimafia presieduta dalla parlamentare di centrosinistra Rosy Bindi. Persona per bene, per carità: ma cosa c’entra l’esperienza politica della Bindi con l’antimafia e con la mafia? In Sicilia c’è una commissione antimafia istituita dal Parlamento dell’Isola. La presiede un galantuomo, Nello Musumeci, deputato del centrodestra siciliano. Tale commissione lavora su tanti fronti. Ma la sensazione è che né a Roma, né a Palermo siano chiari gli obiettivi. Per un motivo semplice: perché oggi non è affatto chiaro il ruolo della mafia in Italia, in Europa e nel mondo.

Oggi, più di ieri, la mafia è internazionalizzata, oltre che essere ramificata in tutto il territorio italiano. Ogni tanto qualche giornale scopre che nel Centro Nord Italia opera una criminalità organizzata di origine siciliana o calabrese. Certo, non c’è più lo stupore di una volta. Ma, in ogni caso, ci si dimentica che già nei primi anni ’70 del secolo passato lo scrittore siciliano Leonardo Sciascia scriveva di una mafia che si andava radicando fuori dalla Sicilia, risalendo lo Stivale. L’autore de Il giorno della civetta, citando Piero Gobetti e Guido Dorso,  parlava della “linea della palma”. Considerazioni analoghe le scriveva, sempre nei primi anni ’70, il giornalista e scrittore Pietro Zullino, autore di un libro per certi versi eccezionale – Guida a misteri e ai piaceri di Palermo – libro unico, soprattutto perché anticipatore di tanti scenari che sarebbero venuti fuori con maggiore chiarezza alla fine degli anni ’70 e nei primi anni ’80.

E oggi? Bruxelles e Strasburgo hanno chiesto e ottenuto l’inserimento dei proventi delle attività criminali nel calcolo del Pil (Prodotto interno lordo) dei Paesi dell’Unione europea. Prendendola con un po’ di ironia, potremmo affermare che si tratta di un ‘riconoscimento’ a chi con ‘fatica’ svolge un’attività ‘difficile’. Ora, ironia a parte, i cosiddetti ‘eurocrati’ (un tempo si chiamavano ‘europeisti’), che sono quasi tutti massoni, vanno capiti: l’attuale Unione europea è fatta per lo più di banche, di uomini della finanza e di soldi. E non c’è da stupirsi se questi personaggi si siano posti la seguente domanda: si possono rifiutare organizzazioni, pur se criminali, che alla fine ‘fatturano’ tanti soldi? Dopo essersi posti la domanda, si sono dati una risposta: “Certo che no!”. Così a Bruxelles e a Strasburgo hanno stabilito che per far crescere il Pil tutto fa brodo!

Del resto, nell’Europa dell’euro e della Bce il denaro è tutto è vale molto più della morale, delle tradizioni legate al popolarismo dei cattolici e del credo socialista. Via, provate a immaginare la signora Merkel che predica Sturzo, De Gasperi e Dossetti: non vi viene da ridere? E che dire dei ‘socialisti’ europei che sono d’accordo sulle penalizzazioni alla Grecia che non paga i debiti, pur sapendo che, così facendo, condanneranno migliaia di greci a non avere i soldi per curarsi? Dopo il socialismo utopistico e il socialismo scientifico, il socialismo ridicolo…

I mafiosi – ragionano gli ‘eurocrati’, un tempo ‘europeisti’ – saranno anche criminali (cosa piuttosto normale nel mondo della finanza…), lucreranno anche sulla prostituzione, sul commercio dell’amianto (che nell’Unione europea – come ha ricordato il nostro Alessandro Mauceri in questo articolo – non è affatto illegale, ma al massimo mortale), guadagneranno una barca di soldi con la droga, tiè, ammazzeranno quando c’è da ammazzare, ma – vivaddio! – sono pur sempre un’industria fiorente e, nel calcolo del Pil, con un pizzico di ipocrisia (forse con qualcosa in più di un pizzico, ma una volta che popolarismo e socialismo sono diventati scendiletto che importanza ha?) possono diventare una delle pietre angolari dell’Unione europea ‘finanziarizzata’…

E’ inutile che ci giriamo attorno, si saranno detti tra Bruxelles e Strasburgo: se il denaro prodotto in un modo o nell’altro dai mafiosi entra nel calcolo del Pil – facendo lievitare il Prodotto interno lordo  – beh, il loro sarà un ruolo ‘importante’. La storia dell’euro è legata al rapporto tra deficit e Pil. Certo, oggi si scopre che tale rapporto è una fesseria. Però dal 2002 ad oggi, nell’Unione europea, il 3 per cento nel rapporto deficit-Pil è stato il riferimento massimo. Per uscire dalla crisi – ci hanno ripetuto in tutte le salse –   bisogna a tutti i costi incrementare il numeratore, cioè la produttività, cioè il Pil.

Ancora non l’ha affermato nessuno, ma non ci sarebbe da stupirsi se, tra qualche tempo, qualcuno formulerà il seguente quesito: visto che le imprese italiane chiudono e che l’unica impresa che ‘tira’ veramente è legata alle varie mafie, e visto che le mafie, ‘lavorando sodo’, fanno aumentare il Pil, che senso ha tenere in piedi le antimafie? Volendo – anche se in modo un po’ più esteso – è un ragionamento simile a quello che si sussurrava nella Sicilia di fine anni ’80, quando si finanziavano opere pubbliche inutili e dannose per l’ambiente, spesso gestite direttamente dai ‘tavolini’ della mafia. Quando qualcuno faceva notare che lo spettacolo non era proprio edificante, politici e sindacalisti rispondevano in coro: “Però l’operai travagghianu!” (traduzione per i non siciliani: “Però gli operai lavorano!”). Insomma, alla fine la mafia dava lavoro e pane e, quindi, anche se nessuno lo diceva con chiarezza, benvenuta mafia…  

Tra l’altro, se un giorno, nel nome del Pil, si dovesse optare per una ‘sanatoria’ mafiosa, questa potrebbe portare una ventata di verità, di chiarezza e, perché no?, di ‘serenità’ al Belpaese. Pensiamo con quanta ‘fatica’ i governi italiani, la Presidenza della Repubblica degli anni passati, gli ex ministri hanno dovuto nascondere i ruoli che hanno esercitato nei rapporti con la mafia. Ricordiamoci dello sforzo titanico fatto dalle nostre istituzioni per nascondere e per fare sparire le telefonate tra ex ministri e Quirinale.

Il ‘fondamentalismo’ antimafioso ha costretto persino un ex ministro a dire – o forse, chissà, a ribadire – agli uomini del Quirinale: “Ragazzi, qui se ‘sti magistrati del processo sulla trattativa tra Stato e mafia acchiappano me, beh, io mi tiro dietro tutti voi ad uno ad uno…”.  

Foto tratta da vesuviolive.it

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Giulio Ambrosetti

Giulio Ambrosetti

Sono nato a Palermo, ma mi considero agrigentino. Mio nonno paterno, che adoravo, era nato ad Agrigento. Ho vissuto a Sciacca, la cittadina dei miei genitori. Ho cominciato a scrivere nei giornali nel 1978. Faccio il cronista. Scrivo tutto quello che vedo, che capisco, o m’illudo di capire. Sono cresciuto al quotidiano L’Ora di Palermo, dove sono rimasto fino alla chiusura. L’Ora mi ha lasciato nell’anima il gusto per la libertà che mal si concilia con la Sicilia. Ho scritto per anni dalla Sicilia per America Oggi e adesso per La Voce di New York in totale libertà.

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