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May 1, 2015
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I droni di Hezbollah, i fantastiliardi cinesi e il latte malvagio

James HansenbyJames Hansen
Time: 3 mins read

Hezbollah ha i droni — Secondo gli analisti dell’inglese IHS Jane’s, una stimata azienda che raccoglie notizie sugli armamenti, nuove foto satellitari della libanese Valle della Bekaa—una zona controllata dai miliziani sciiti di Hezbollah (il “Partito di Allah”)—dimostrerebbero chiaramente che il gruppo dispone di moderni droni militari, mini-aerei senza pilota capaci di colpire bersagli molto distanti.

Hezbollah, secondo i punti di vista, o è una pericolosa formazione terroristica (la visione Usa) o sostanzialmente un movimento sociale che a tempo perso appoggia in maniera un tantino pesante l’indipendenza del popolo palestinese (l’opinione di buona parte della sinistra europea).

Ad ogni modo, le foto in questione mostrano la recente costruzione di una piccola pista d’atterraggio in una zona brulla e impervia della Valle. La precisa destinazione ad uso dei droni è confermata dalle dimensioni in miniatura—è larga solo venti metri—nonché la posizione molto isolata. Per gli analisti, il drone più probabilmente indicato per l’utilizzo della base è l’Ababil-3, di fabbricazione iraniana.

Nella versione dell’arma fornita da Teheran a Hezbollah, senza un sistema di guida satellitare, la portata è limitata a circa 100 km, una caratteristica che—insieme con la presenza della pista vicino al confine con la Siria—suggerisce che gli Ababil verranno utilizzati per la difesa di posizioni controllate dalle truppe del Presidente siriano, Bashar al-Assad, appoggiato nella guerra civile in corso dal Partito di Allah. Dal sito attuale, i droni islamici non possono raggiungere bersagli in Israele né in Occidente.  Meno male.

 

Troppi zeri per Shanghai — La fiammata di avidità che ha colpito la Cina recentemente arricchita ha portato la Shanghai Stock Exchange a diventare la più grande borsa del mondo per valore delle azioni scambiate, superando perfino la New York Stock Exchange. Secondo quanto riportato dall’agenzia Reuters però, l’inattesa esplosione del turnover ha superato la capacità del software che gestisce gli scambi di riferire i volumi record agli operatori, questo per via dei troppi zeri.

Lunedì, 20 aprile, l’Exchange cinese ha superato per la prima volta nella sua storia il volume giornaliero di un trilione di yuan (US$161,28 miliardi), ma il dato non poteva essere trasmesso sui terminali perché il software gestionale in uso—un pacchetto noto come SHOWROOM2003—non contemplava la necessità di trattare un valore così alto. E’ prevista l’installazione di un aggiornamento.

 

Il latte della malvagità — Secondo gli attivisti del Rashtriya Swayamsevak Sangh (RSS)—la potentissima formazione nazionalista indù da cui proviene l’attuale Primo Ministro dell’India, Narendra Modi—il consumo di latte munto da vacche sacre sì, ma insufficientemente “indiane”, è la causa della delinquenza giovanile che dilaga nel Paese. Un importante leader del RSS, Shankar Lal, spiega che solo le “virtuose” vacche di pura razza indiana sono capaci di dare quel buon latte indù che aumenta la produttività di chi lo beve, “senza generare pensieri malvagi”. In contrasto, il latte dei bovini contaminati dalla discendenza dalle “demoniache” mucche di razza Jersey—introdotte dagli inglesi in epoca imperiale per migliorare la produzione indiana—spinge i giovani che lo consumano verso una vita del crimine. Infatti, secondo Lal, non sono per niente “mucche”—per quanto possano somigliare—bensì “un tipo di bestia che fa venire i pensieri impuri e porta verso le cattive azioni”.

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James Hansen

James Hansen

Americano della West Coast, vivo in Italia da molti anni. Sono arrivato, giovane, nel servizio diplomatico USA come vice console a Napoli. Lì ho capito che “da grande” non volevo fare l’ambasciatore. Sono passato al giornalismo come corrispondente dell’International Herald Tribune e del Daily Telegraph, in seguito spostandomi “dall’altra parte della scrivania” come capoufficio stampa di Olivetti, di Fininvest e infine di Telecom Italia. Da tempo mi occupo di “diplomazia privata”, accompagnando grandi aziende italiane nelle loro avventure internazionali. È la diplomazia che mi immaginavo da ragazzo, con obiettivi più o meno chiari e i mezzi e l’autonomia per perseguirli. An American from the West Coast, I have been living in Italy for many years. I got here young, with the diplomatic service as the US vice consul in Naples. There I realized that, as a grown up, I didn't want to be an ambassador. I turned to journalism as a correspondent for the International Herald Tribune and the Daily Telegraph, and later on, I moved to the “other side of the desk” as chief of press for Olivetti, Fininvest and finally Telecom Italia. I deal with "private diplomacy", backing up large Italian companies in their international adventures. It's the diplomacy as I imagined it when I was young, with more or less clear goals and the means and autonomy to pursue them.

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