Definirlo, come l’hanno definito, “boia delle carceri” è riduttivo; e anche quel soprannome, “o’ animale”, non descrive a sufficienza la ferocia e la spietatezza di cui è stato capace. Pensate: Pasquale Barra uccide il re delle bische clandestine milanesi Francis Turatello con una quarantina di coltellate; poi, per spregio ne addenta e sventra l’intestino. Delitto con movente ancora oggi, a più di trent'anni, misterioso; ma doveva essere cosa grave lo "sgarro" consumato da Turatello, e con complicità potenti. Grave per le modalità, atroci: un qualcosa di barbaro che doveva essere di monito, compreso da chi doveva capire, che l' "errore" commesso da Turatello in quel modo sarebbe stato pagato. Con complicità elevate perché Barra obbedisce a un ordine che viene da fuori del carcere in cui si trova, quello di massima sicurezza di Badu e Carros in Sardegna; una complicità che assicura un'arma, e sa garantire omertà. Al di là dell'assassino materiale non si va, non si è andati.
Barra non per nulla per anni è stato uno dei luogotenenti di Raffaele Cutolo, capo di quella Nuova Camorra Organizzata, che negli anni Ottanta si contrappone agli altri clan, in una ferocissima guerra che provoca centinaia di morti. Nel 1983, con ben 67 omicidi alle spalle, indossa i panni del “pentito”. Vuole garantirsi, probabilmente una protezione, dopo aver ucciso tanta gente teme che possa scatenarsi una micidiale vendetta; è probabile che sia rimasto senza protettori, forse il sodalizio con Cutolo è già in crisi; e vuole anche lui vendicarsi di qualcuno. Lo interrogano diciassette volte, e fornisce un’interminabile lista di presunti affiliati alla camorra; solo al diciottesimo interrogatorio, il 19 aprile, si ricorda di Enzo Tortora; lo definisce “cumpariello”, affiliato alla camorra, spacciatore di droga. Ed è strano che abbia impiegato tanto tempo a ricordarsi che tra i boss che vanno e vengono ad Ottaviano c'è anche il "signor Portobello", che viene affiliato con regolare rito, e ritira cocaina chili per spacciarla nel suo ambiente…
Ad ogni modo viene creduto; e vengono creduti, sulla parola, anche Giovanni Pandico, camorrista schizofrenico sedicente braccio destro di Cutolo; e Gianni Melluso, nel suo ambiente noto come “cha-cha”, per le panzane che racconta. Nasce così il cosiddetto “venerdì nero della camorra”, che in realtà sara' il " venerdì nero della giustizia". Contro Tortora non ci sono prove, Barra e gli altri sedicenti pentiti raccontano una quantità incredibile di menzogne, e non si cercano i riscontri. Si scopre, ma dopo, che approfittando nella sua posizione di pentito Barra tenta perfino estorsioni: in sostanza minaccia di inserire nell’elenco di complici della camorra chi non paga il pizzo, perché, dice, “io sono attendibile”.
Detenuto nel carcere di Ferrara, Barra, ormai dimenticato, scontava i meritati ergastoli a cui era stato condannato per la quantità di crimini commessi e di cui, in realtà, non si era mai pentito. Per le menzogne su Tortora non ha mai pagato, mai processato, mai condannato. Come gli altri falsi pentiti. I magistrati che hanno arrestato e accusato Tortora senza prove non hanno pagato. Hanno anzi fatto tutti carriera. Perché tutto ciò è accaduto? Tra qualche giorno – è un appuntamento- la risposta a questa domanda. Sono fatti lontani, ma conoscere quello che è accaduto "ieri" aiuta a comprendere l'"oggi", e per un migliore "domani". Perché esiste un dovere della memoria, del sapere, del ricordare.