Può un’Isola ricca di storia, di cultura e di mille risorse naturali ed economiche diventare povera? Vista dal di fuori sembra impossibile. Ma per capire quello che sta succedendo in Sicilia negli ultimi sette-otto anni, beh, bisogna viverci, bisogna respirarne l’aria, osservando la decadenza che avanza a grandi passi dalle grandi città come Palermo, Catania e Messina fino ai piccoli centri.
Se si vuole capire veramente il dramma della Sicilia di oggi bisogna partire dalla sanità pubblica. E’ lì che la crisi, nel silenzio generale, sfocia nella rabbia della gente, nelle file chilometriche dei Pronto soccorso, negli ospedali pubblici dimezzati, nei reparti chiusi, nella mancanza di posti letto, tra i malati abbandonati dove capita. Certo, anche a Napoli, anche a Roma “Striscia la notizia” documenta i casi di ospedali dove i pazienti ristagnano per due-tre giorni. Ma in Sicilia lo sfascio della sanità pubblica è ormai sistemico, generale.
In questi giorni si parla della riorganizzazione della rete ospedaliera. Volete sapere, cari lettori in America, in che cosa consisterebbe questa riorganizzazione? Nella riduzione ulteriore di posti letto! Una pillola amara che viene accompagnata con la promessa che, in cambio, verranno incrementati i posti letto di lungo degenza. Va da sé che la prima parte di questa riorganizzazione – ovvero il taglio di altri posti letto – verrà realizzato subito, mentre i posti letto di lunga degenza arriveranno dopo (leggere alle calende greche).
Ma, al di là di questa promessa che, in buona parte, non verrà mantenuta, non sfugge agli occhi di chi ‘mastica’ un po’ di sanità che mettere sullo stesso piano i posti letto in emergenza con i posti letto di lungo degenza è solo un modo scorretto di organizzare un servizio pubblico. L’ennesima trovata per prendere in giro i cittadini. Le due tipologie di ricovero non sono uguali. Anzi. Il paziente che deve essere ricoverato in lungo degenza non è un malato acuto. Non è in emergenza. E’ importante che passi dieci, venti, trenta giorni in un ospedale per completare un ciclo di cure. Ed è giusto che ciò avvenga. Ma non a spese dei malati gravi!
Il paziente in emergenza, infatti, va ricoverato e basta. Se colpito da infarto, da ictus o da altre patologie gravi deve entrare in ospedale ed essere assistito. Ridurre ulteriormente i posti letto – come sta facendo l’attuale governo regionale di Rosario Crocetta e dell’assessore alla Salute, Lucia Borsellino – significa soltanto lasciare oltre 5 milioni di siciliani più gli immigrati (che non sono pochi) con un servizio sanitario pubblico sempre più carente: e significa, soprattutto, scaricare sui medici e sugli infermieri dei Pronto soccorso la gestione di malati gravi che andrebbero invece ricoverati d’urgenza nei reparti specializzati!
Nei primi anni ’80 del secolo passato chi iniziava da svolgere l’attività di giornalista veniva mandato, non a caso, nei Pronto soccorso. Almeno in Sicilia era così. E’ stato così per chi scrive, che ha iniziato a Palermo andando in giro tra i viali dell’ospedale ‘Civico’ o di Villa Sofia. O nella guardia medica di Mondello, in estate. “Vai lì, vedi quello che succede e racconta”, ci diceva il caposervizio. In genere, si raccontavano incidenti mortali, feriti gravissimi, medici che facevano l’impossibile per strappare alla morte uomini e donne di tutte le età. Talvolta, alle quattro del mattino c’era la disperazione dei parenti per il congiunto che era deceduto. Altre volte la gioia per lo scampato pericolo di un ragazzo caduto con la moto o di un anziano che si era sentito male la notte.
Siamo tornati, trentacinque anni dopo, in giro per i Pronto soccorso della Sicilia. Per scoprire che, ad Enna, c’è un solo medico per paziente. E per scoprire che, in quasi tutti i Pronto soccorso la gente, stanca di aspettare, chiama la Polizia. Gli uomini e le donne in divisa arrivano e vanno a chiedere ai medici che succede. Eh già, perché se i pazienti ristagnano nei Pronto soccorso bisogna capire che cosa fanno i medici. Per poi scoprire, amaramente, che i medici fanno i medici e che gli infermieri fanno gli infermieri. E che di più non possono fare. Perché se arriva un paziente grave e non c’è dove smistarlo, perché nei reparti mancano i posti letto, beh, gli piaccia o no, il malato se lo debbono tenere. E se si devono tenere il malato grave che non si può ricoverare perché mancano i posti letto, beh, lo devono seguire e curare. Ma se lo seguono e lo curano non si possono occupare degli altri pazienti che aspettano fuori dalla porta. E’ un fatto logico. Un medico – anche se di Pronto soccorso – di solito ha una testa e due mani. Non si può sdoppiare.
Per eliminare le file nei Pronto soccorso della Sicilia bisognerebbe, in primo luogo, aumentare il numero dei medici e degli infermieri. Ma questo non si fa. E bisognerebbe aumentare il numero di posti letto negli ospedali pubblici, soprattutto in alcuni reparti: invece è stato fatto e si continua a fare l’esatto contrario.
Alla fine, quando arrivano gli uomini della Polizia, chiamati dalla gente che aspetta ore ed ore, agli stessi poliziotti non resta che constatare che il problema è a monte e non a valle: che le vittime di questo sistema organizzativo sbagliato, oltre ai pazienti, sono anche i medici e gli infermieri, posti sotto continuo stress. Insomma scopriamo che il problema non è nemmeno, in molti casi, di chi amministra gli ospedali pubblici – che in Sicilia sono Aziende ospedaliere autonome – ma della politica che taglia i fondi a questo settore.
Così dai problemi dei Pronto soccorso risaliamo alla politica siciliana. Ma la Sicilia che taglia i fondi alla sanità subisce i tagli da parte del governo nazionale. Un governo nazionale che, negli ultimi due anni – parliamo del governo Letta e del governo Renzi – ha tolto alla Sicilia circa 5 miliardi di euro. Probabilmente Letta e Renzi hanno trattato la Sicilia peggio di come hanno trattato altre Regioni italiane. Probabilmente hanno esagerato con i tagli. Ma i tagli sono imposti all’Italia dall’Unione europea dell’euro, che ha trasformato il debito pubblico dell’Italia in debito delle famiglie e delle imprese.
In Sicilia c’è un modo per dire che, alla fine, si torna sempre al punto di partenza: Gira, firria e bota… Insomma: gira e rigira e si torna al punto di partenza: l’euro e l’Unione europea. Nella sanità siciliana ci saranno degli sprechi nella spesa per i farmaci, ci saranno sprechi nelle forniture: ma con un sistema che, ogni anno, toglie risorse – e l’Europa dell’euro sta facendo solo questo: togliere risorse in cambio del nulla – non si può che andare a sbattere: non si può che diventare ogni giorno più poveri: non si può – nel caso della sanità – che prendere atto che la sanità pubblica siciliana diventerà ogni giorno peggiore. E’ questa l’Europa sognata negli anni ’50 del secolo passato da Altiero Spinelli e da Gaetano Martino? Non ci risulta. Una cosa che ci risulta, invece – partendo dalla sanità pubblica sempre più allo sfascio – è che la Sicilia, dentro l’attuale Unione europea va sempre più giù, più giù, più giù…