Ogni anno è più difficile.
Non solo perché la memoria del testimone, di mio padre, è sempre più labile. Ma perché il testimone, quello simbolico, sta passando a noi che di lui siamo figli. Tutti i figli. Di tutti i sopravvissuti, le vittime, i combattenti e i partigiani.
E non si tratta solo di ricordare, a dispetto dell’oblio e del negazionismo. Di rendere omaggio alle vittime, e di riflettere nuovamente sui carnefici e sulle connivenze. Ma anche di capire quale è la lezione che lo sterminio nazista ha per il mondo di oggi, per il nostro presente. E trasmetterla a chi non è più un o il sopravvissuto, e nemmeno figlio di quelli che dai campi di sterminio sono tornati. Ovvero a chi è nato davvero molti decenni dopo, e molte generazioni dopo la liberazione di Auschwitz, Bergen-Belsen e degli altri Campi.
E non è facile quando ci si mettono di mezzo le faziosità, le inesattezze, il fastidio per i “baracconi” di chi peraltro sarebbe anche figlio di partigiano. O di chi, a forza, vuole paragonare l’unicum della Shoah col presente, con la politica internazionale. O di chi scrive con successo della fiction letteraria ambientata nei Campi che nulla ha a che vedere con la Storia.
Anche perché, diciamolo con franchezza, a quelli come me non serve oggi per ricordare. A quello ci pensano tutti i giorni dell’anno e le vicende familiari. E’ alla base dell’educazione morale e civile che abbiamo ricevuto. Stiamo parlando di memoria condivisa nel senso più ampio del termine.
Ci sono quelli che non vanno alla cerimonia ufficiale prevista oggi ad Auschwitz perché vanno al funerale di un monarca*. Ci sono quelli che “non abbiamo bisogno di un giorno speciale per ricordare, perché ci pensiamo tutti i giorni”. Ci sono quelli che vogliono (giustamente) ricordare la deportazione e non solo la liberazione. Ci sono quelli (grazie!) del messaggio affettuoso, stile “ti penso”, mandato due giorni prima. Ci sono quelli che lamentano che sappiamo solo pensare e ricordare il passato. Ci sono quelli del “per te deve essere una giornata difficile”. Ci sono quelli che temono “un giorno di ricordi e 364 di oblio” o “l’eccesso di cerimonie quasi fosse un dovere”.
Verrebbe voglia di fermarsi e tacere.
Ma non è possibile.
Cito da Il grande viaggio (Einaudi 1964) di Jorge Semprun, ex deportato politico a Buchenwald e grande scrittore e politico francese di origine spagnola. La scena è quella di un dialogo fra una ragazza tedesca e un giovane sopravvissuto, in realtà Semprun.
“Le chiedo se ha sentito parlare dei campi di concentramento e lei mi guarda, attentamente. Prende una sigaretta e l’accende.
-Che ti succede? – dice in francese.
-Niente.
-Perché fai quelle domande?
-Per sapere – le dico.
-Per sapere che cosa?
-Tutto. E’ troppo facile non sapere – le dico.
Lei fuma e non dice niente.
– O far finta di non sapere.
Lei non dice niente.
-O dimenticare, è troppo facile dimenticare.”
Ieri nella tormenta di neve che ha colpito New York e bloccato la città, compresi trasporti pubblici e privati, sono uscito nel cuore della notte a sentire il silenzio incredibile e ho pensato al 27 gennaio di 70 anni fa. Era il clima adatto per riflettere…..
*Si tratta del presidente Obama, che rappresenta uno dei paesi che hanno liberato l’Europa e l’Italia dal nazifascismo, e al suo posto ha mandato il ministro del Tesoro.
Andrea Fiano, giornalista a New York, è figlio di Nedo Fiano, fiorentino di origine ebraica sopravvissuto ad Auschwitz. La famiglia di Nedo – padre, madre, fratello, cognata e nipotino – fu sterminata dai nazisti.