E finalmente la vidi: Delphi, uno strapiombo appeso al cielo da quelle colonne che vi sparivano. Nessuna nuvola turbava la sua luce: tutto era pesantemente azzurro, bianco, verde. Un verde cupo, arso da troppo Sole. Ah, qui era troppo? Ed io che ero dovuta venire qui a cercarlo! Ma forse Apollo era capace di essere troppo soltanto per gli altri … moltitudini che lo pregavano, l’adoravano e a cui offriva la sicurezza della presenza.
La gelosia mi acceca, pensai. Questa luce che lui offre è unicamente una sua manifestazione, ma lui non si svela. Se così non fosse, Dioniso non avrebbe facilmente preso il suo posto. Gli bastò guidare a casaccio stuoli di donne adoranti inebriate del suo vino. Non c’é rosso, non c’è sangue in Apollo: ecco perché…
“Ah, Apollo, sono ritornata per sapere se ciò che abbiamo vissuto non sia stato un mio sogno”.
Apollo
Sento la sua voce e non posso farmi sentire da lei. Tutto quello che ho nel cuore non può udirlo: non ho mai saputo parlarle, comunicarle il mio amore. Mi invoca disperatamente, alla fine è tornata, e il cielo sa quanto l’abbia attesa immobile, troppo immobile come queste mie labbra ora incapaci di risponderle. Marmoree. Forse sono divenuto una statua. Il tangibile è lontano, inavvicinabile. Mentre Dioniso va e tocca, oscurandomi con la sua ombra.

Delphi con il tempio di Apollo al centro: com’era
Frasi di una storia scritta molto tempo fa, la storia di un uomo e una donna che una volta erano dei. Dovevo tornare a Delphi, che non avevo mai visto, benché la mia anima vi fosse vissuta. Perché Delphi, ben prima di essere il centro oracolare e politico della Grecia, era stato il santuario della Dea, la Madre Terra. Da lei si veniva a chiedere consigli, guarigione, conforto. Poi arrivò lui, il biondo dio del Nord, e la illuminò di sole. Avrebbero regnato insieme, pensò la Dea. Ma Apollo non voleva essere il compagno della Dea, voleva essere il Dio. Si impossessò del chasma e del pneuma, la voragine tellurica e il soffio vitale, la luce divina che illuminava la via interiore agli uomini. Erano le doti della Dea che lui amava, non amava lei. Uccise l’energia amorosa con cui Phitò aveva cercato di avvolgerlo. Era solo una dragonessa malvagia, disse Apollo. La Dea scomparve. Il dio del Sole la sostituì con l’effige di un delfino e si purificò alla fonte Castalia, dopodiché fece scrivere sul frontone del suo tempio: “Niente in eccesso” e “Conosci te stesso”. Fu l’inizio della coscienza etica.

Onphalos: l’ombelico del mondo
Si raccontava che Apollo di tanto in tanto portasse alla perdizione qualche ninfa. Ma tutto sommato era misurato, beveva solo acqua e vaticinava da dio. Delphi, la sua città, era il centro del mondo, come testimoniava l’onphalos, la pietra conica trovata proprio lì dalle aquile inviate da Zeus. Da tutto il Mediterraneo le delegazioni di diverse città venivano a sentire i responsi di Apollo e, per accrescerne la benevolenza, intorno al suo tempio edificavano i “tesori”, tempietti che erano degli autentici forzieri contenenti ricchezze inimmaginabili al giorno d’oggi. Gli antichi principi di modestia, umiltà e misura cominciarono a vacillare. E come se non bastasse l’oro, Apollo permise pure che il dio Dioniso celebrasse riti orgiastici facendo scorrere vino. Delphi cominciò a diventare ambita terra di conquista, ma per fatti pressoché prodigiosi riuscì sempre a salvarsi sino a che nell’83 a.C. un popolo barbaro della Tracia diede fuoco al tempio di Apollo e spense il fuoco sacro che aveva arso ininterrottamente per secoli. Tuttavia fu solo nel IV secolo d.C. che venne vietato il culto oracolare da un editto dell’imperatore Teodosio. Quello che Apollo ci ha lasciato è il suo tempio etico, perché ha ispirato tutta la filosofia morale da Socrate in poi.
Dal Nord non scendono più Apolli. La Grecia è in deflazione ma la Germania non se la passa meglio. Mercoledì scorso la vignetta di Giannelli sul Corriere della Sera raffigurava un Renzi-Topo Gigio che pronunciava sornione: “Agosto, Merkel mia non ti conosco”. Pochi hanno letto l’intricato ed esilarante racconto scritto da Achille Campanile nel 1930, Agosto, moglie mia non ti conosco, dove un gruppo di villeggianti aspetta ogni mattina al varco l’albergatore per riempirlo di botte perché gli serve dei pessimi pasti, ma allo stabilimento balneare non si mangia meglio dato che la direzione dispone solo di un polpo e fa cucinare sempre quello.
C’è da dire che i villeggianti erano già esasperati essendo stati costretti a queste vacanze a causa del naufragio della nave da crociera sulla quale si trovavano. Come se non bastasse, il capitano aveva fornito per sbaglio ai passeggeri delle cinture di castità, anziché di salvataggio, le cui chiavi erano finite in fondo al mare. E non si trovava un palombaro che sapesse fare il suo mestiere, però ce n’era uno bravissimo a portare sulle spalle le allegre bagnanti di Miami…
Se provassimo a sostituire in nomi dei personaggi del libro di Campanile con quelli delle cronache politiche, come facevo alle medie con i ben più seri episodi dell’Iliade che diventavano immediatamente faceti, ci sarebbe non solo da spanciarsi dalle risate ma comprenderemmo immediatamente di quale spessore siano i nostri governanti. Considerato pure che l’unico che si vergognava di esser chiamato con il suo vero nome era il cameriere dell’albergo…
L’autunno è alle porte e l’estate quasi non c’è stata, noi ci siamo imbarbariti e confusi con i barbari, tutti bevono vino e sanno tenere lo stelo del bicchiere con i polpastrelli neanche fossero imperatori romani, tutti sputano sentenze come fossero oracoli, le navi non affondate sono aggirate dai pirati, la Merkel è dimagrita ma non esce dalla cintura di castità… Forse perché il fuoco interiore di Apollo arde ormai in pochi cuori e uomini e donne non sanno più ritornare all’amore.