Il dibattito sull’eliminazione di quella curiosa anomalia italiana rappresentata dal bicameralismo perfetto ha assunto toni surreali. La cosa che colpisce di più è che ad avversare la riforma sia una parte della sinistra. Stupisce perché, chi conosce appena un po’ la storia dei parlamentarismi sa che, dalla Rivoluzione francese in poi, la sinistra è sempre stata dalla parte del monocameralismo. E’ stata invece la destra (nell’800, il secolo delle monarchie costituzionali, la destra monarchica, più avanti la destra repubblicano-parlamentare) a volere il bicameralismo, ovvero una seconda camera con funzioni di rallentamento del processo legislativo, e quindi di conservazione. Fu così anche in Italia in seno alla Costituente: a volere la seconda camera erano la Democrazia cristiana e lo schieramento laico-liberale. Non si trovò l’accordo su cosa questa seconda camera dovesse fare: gli esempi nella storia erano la rappresentazione di ceti o classi sociali particolari (la Camera dei Lords, poi diventata in Inghilterra di fatto una sorta di “camera dei saggi”), la rappresentazione delle categorie professionali (delle “corporazioni”, quindi in odor di fascismo), e la rappresentazione territoriale (camera delle regioni o Land, come nel modello tedesco).
Il compromesso finale fu il peggiore possibile: un Senato-fotocopia della Camera (a parte il numero dei senatori e l’età minima per votarli). Inizialmente, erano pur previste alcune altre differenziazioni, come la durata in carica (6 anni per il Senato, 5 per la Camera); poi col tempo e la prassi di fatto sparirono, e il bicameralismo perfetto si resse in Italia grazie da un lato al un sistema elettorale omogeneo per le due Camere, di tipo proporzionale, e dall’altro ad contesto politico congelato, nel quale le crisi di governo erano sempre extraparlamentari e l’alternanza era a priori esclusa (nella stagione della Guerra fredda, era impensabile che un partito che si autodefiniva comunista potesse aspirare a prendere il potere).
Oggi le cose sono cambiate e non c’è chi non veda come il bicameralismo perfetto, oltre ad essere l’eredità di un passato che guardava con diffidenza ai parlamenti eletti dal popolo, pone problemi seri nel rapporto fra Camere e Governo, soprattutto nell’ottica di un sistema che si è avviato verso il maggioritario: basti pensare al secondo governo Prodi, che disponeva di una maggioranza accettabile alla Camera ma che al Senato era appeso al crine di cavallo dei senatori a vita. Questa è una delle ragioni per cui in quasi tutti i sistemi bicamerali oggi esistenti al mondo l’esecutivo risponde solo ad una camera, la camera “bassa”, mentre l’altra ha funzioni diverse, e non vota la fiducia al Governo (o al presidente nei sistemi presidenziali).
Ma tutto questo si trova facilmente in qualsiasi libro di diritto costituzionale. Io credo che la ragione per cui una parte della sinistra in Italia oggi avversa la riforma Renzi sia di natura antropologica e non abbia nulla a che fare con il merito. In Italia c’è una sinistra, anche parlamentare, che semplicemente odia il potere. Questa sinistra non ha mai concepito la politica per ciò che è, competizione per il potere, appunto, e quindi gestione del potere stesso (ovviamente regolata e bilanciata). Di conseguenza non può capacitarsi che vi sia qualcuno, a sinistra, che al potere ci arriva e lo vuole gestire, anziché arroccarsi fieramente all’opposizione e invocare il “ben altro”. Non a caso quali sono le critiche di fondo che oggi questa sinistra muove a Renzi, quando tutte le altre evidentemente risultano inefficaci? Di essere autoritario, di voler attentare alla democrazia. Insomma, l’esercizio del potere (un potere peraltro legittimano dal consenso elettorale più ampio di cui la sinistra in Italia abbia mai goduto, anche se in una elezione europea) scambiato per autoritarismo, per i prodromi di una dittatura. Perché il potere è “il male”, qualsiasi cosa faccia. Anche una riforma che si pone nel solco della più pura tradizione di sinistra.
Post scriptum: io la capisco l’avversione per il potere. Questa avversione ha prodotto cose magnifiche, cose che amiamo (ne dico una: il punk). Aggiungo solo: chi odia il potere deve fare arte, non fare politica. La politica è un’altra cosa, è questa cosa qui, è il meno peggio, è l’arte di mediare, e quando si può di riformare degli istituti superati fin dalla loro nascita, come il bicameralismo perfetto in Italia. Ha poco di assoluto, di eroico, di utopico. Quello, è il terreno dell’arte, un altro campo da gioco.