Ho avuto la lieta sorpresa di scoprire Michele Giardina nella sua veste di giornalista-scrittore nel 2009, quando ha presentato il suo libro La risacca a Brooklyn, in occasione dei festeggiamenti per il 90° anniversario della fondazione della Society of the Citizens of Pozzallo.

Michele Giardina
Ci siamo lasciati ragazzi a Pozzallo (Ragusa) e ci siamo incontrati anni dopo a New York. Da allora abbiamo intensificato i rapporti di amicizia, riscoprendo interessi comuni ed il piacere di riprendere, condividendolo, un dialogo umano e sociale aperto, leale, costruttivo.
Ho letto di recente il suo nuovo libro Vuoti d’aria, il cui contenuto mi ha toccato profondamente, affascinandomi. Così lo chiamo al telefono per congratularmi e porgli qualche domanda. Ho pensato che questo nostro colloquio potesse interessare i lettori de La VOCE di New York.
Come e quando è nata l’idea del libro?
Mi capita spesso di riflettere sul passato, di rivedere come in un film personaggi che fanno parte del mio personalissimo bagaglio di ricordi. L’idea del libro è nata nel momento in cui, attraverso un percorso retrospettivo di memoria visiva, ho sentito forte il desiderio di narrare tali ricordi, scrivendo storia e storie di personaggi “minori”, “eroi senza medaglia”, che hanno però il merito straordinario di proporre, al di là del loro vissuto, profonde e significative riflessioni sulle dissonanze della vita. Non a caso il grande Gabriel Garcia Marquez era solito ripetere che uno scrittore deve raccontare quello che è rimasto impresso nella sua memoria. Più che di idea del libro, parlerei della sua origine. Che è nata sicuramente dall’intimo bisogno di dialogare con il mondo, partendo dalla Sicilia, da Perla di Mare (Pozzallo), meraviglioso lembo di terra mediterranea della provincia di Ragusa, che odora di sale e di mare e che diventa il centro di un racconto autobiografico, nel quale, da città di emigranti, si trasforma in città di migranti e di accoglienza. Protagonista del romanzo è Tony Speranza (l’autore), che vive a “Perla di Mare” (la sua Pozzallo), “di cui conosce pietre, strade, quartieri, luoghi. Rubini di memoria, rilucenti di personaggi, piccoli, grandi, semplici passionali, naif. Che ha conosciuto. Che conosce. Attori dell’umana vicenda”.
Perché “Vuoti d’aria”?
Per mettere l’accento sulle ferite dell’esistenza. Il protagonista del romanzo, Tony Speranza (alter ego dell’autore), all’età di otto anni, accompagnato dal suo papà, prova il suo primo “vuoto d’aria” su una lancitedda volante della giostra del paese. Nel non facile percorso di vita, come succede a tutti i comuni mortali, Tony attraversa il dolore, si confronta con la propria fragilità, riuscendo alla fine con la parola che può gridare, denunciare, piangere ed anche ironizzare, a raggiungere un suo equilibrio interiore. Ed è questo il momento in cui, con la fede ed il sogno dell’infinito, tra cielo e mare, riesce a debellare i cosiddetti “vuoti d’aria”. In questo percorso parla dei falsi invalidi, delle case chiuse, di prostituzione romantica, di errori umani, di emigrazione, dei migranti in arrivo dai Paesi dell’Africa sub sahariana, dei Centri di accoglienza, di ipocrisie umane e istituzionali, di incompetenza, supponenza, prevaricazione. Ad un certo punto, quando si sente stanco, se non amareggiato, preferisce rifugiarsi in un fantastico colloquio personale con il cielo e con il mare. In questo viaggio incontra il padre, il chirurgo che lo ha operato, Sal Giunta, suo fraterno amico che ha fatto la guerra in Vietnam, Luca, un ragazzo morto per overdose, Andrea e Consuelo, due giovani vittime di un pauroso incidente stradale. Il suo narrare, fortemente ispirato, si sviluppa attraverso uno spontaneo dribbling letterario con il quale, probabilmente, riesce a saltare schemi e catalogazioni varie.
Qual è il messaggio trainante della tua opera letteraria?
Sicuramente la parte autobiografica del libro. Che è confessione autentica, pathos interiore, testamento olografo dell’io. “Notaio” della mia esistenza, racconto, denunciandole, alcune storture della società, senza rinunciare alla speranza, che rappresenta una guida preziosa per il difficile viaggio della vita. La scrittura per me è confessione. Il mio modo di scrivere, come riconosciuto dalla critica, sfugge a schemi precostituiti. Seguendo essenzialmente il filo logico del cuore e della mente, spero comunque di donare al lettore l’equilibrio interiore conquistato nel periglioso cammino esistenziale.
C’è un filo conduttore con le tue opere precedenti?
Ho esordito nel 2003 con Cronache e riflessioni di un giornalista di provincia, edito da Itinerarium – Modica, cui sono seguiti i romanzi La risacca nel 2009 (Premio Sicilia per la Narrativa), Mare Forza 7 nel 2010 (Premio nazionale “Gianfranco Merli), Un uomo di borgata nel 2011 (Premio nazionale per la letteratura “Più a Sud di Tunisi), editi da Prova d’Autore – Catania, fino al presente Vuoti d’aria.
Cronache e riflessioni di un giornalista di provincia è una antologia di 83 articoli a mia firma, pubblicati dal quotidiano “La Sicilia” di Catania dal 1979 al 1990. La risacca è un racconto, Mare Forza 7, un saggio, Un uomo di borgata, un romanzo. In tutti questi mie lavori letterari, guardo il mondo, osservo i luoghi dove sono vissuto, racconto la vita. Il filo conduttore? L’uomo nella sua sacralità, il cielo e il mare nella loro immensità, la natura nella sua incomparabile bellezza.
Per quanto riguarda Vuoti d’aria, molti addetti ai lavori si chiedono se catalogare il libro come romanzo, racconto, saggio, finzione, reportage narrativo o letterario. Divertito, dopo avere letto critiche e commenti, per la verità tutti positivi, mi sono detto: "Si vede che il volo senza ali ha funzionato”.

La spiaggia di Pozzallo
La società di oggi predilige costruire barriere in tutti i settori della vita sociale e culturale. Quando invece, come diceva l’illustre pozzallese Giorgio La Pira, il sindaco santo, la società dovrebbe impegnarsi di più a costruire ponti, per unire i popoli in un abbraccio universale. Prendiamo ad esempio il mondo della informazione. Ci siamo inventati il cronista, il giornalista pubblicista e professionista, l’opinionista, il freelance, il blogger. Ottenendo, almeno in Italia, il triste e beffardo risultato di creare una vasta area di giornalisti precari da una parte ed una mini casta dall’altra, ivi compresi i “maghi” del piccolo schermo. Scrivere un libro è comunque un’altra storia.
Qual è il denominatore comune dei personaggi?
L’umanità. Mi è stato facile entrare nel cuore e nella mente dei miei personaggi, che ho conosciuto personalmente, che ho incontrato, che mi hanno donato forti emozioni, che hanno segnato il mio carattere, che mi hanno facilitato il compito di raccontarli, raccontandomi, convinto come sono che ognuno di noi sia prezioso anello di congiunzione di una catena umana fatta di uomini, speciali e uguali, testimoni oculari di un percorso di vita di cui tutti, nessuno escluso, siamo anche protagonisti. Dice Victor Hugo ne I Miserabili: “La vita, la sventura, l’isolamento, la povertà, sono campi di battaglia che hanno i loro eroi oscuri a volte più grandi degli eroi illustri”.
Quali ritieni siano i passaggi trainanti per il lettore?
“Ho letto il tuo libro tutto d’un fiato”. Questo il complimento più bello.
“Ho riletto il tuo libro – mi ha scritto una lettrice residente a Milano – e rispetto alla prima volta, quando, spinta dal crescente interesse del romanzo mi sono lasciata andare ad una lettura non superficiale, ma certamente galoppante, questa volta ho trovato tempo e spazio per sintonizzarmi, pagina per pagina, con un testo letterario avvincente, impreziosito da grandi valori umani e dalla tua coinvolgente spiritualità. Grazie”.
Ho già indicato fra i passaggi trainanti la parte autobiografica. Credo però che, al di là di alcuni brani impreziositi da prosa particolare, alla fine risulti importante tutta la struttura del testo, in quanto ancorata a fatti realmente accaduti, alla descrizione pittorica dei luoghi, alla “poesia” dei dialoghi diretti tra i protagonisti del romanzo, rappresentati nella loro sanguigna umanità.
Perché il lettore dovrebbe essere interessato a fatti, episodi e luoghi lontani di un paese lontano?
Faulkner, chiedo venia per il nobile accostamento, sconfiggendo il tempo ed i confini dei continenti, fece della realtà contingente di un villaggio dell’Alabama, uno dei simboli per ricamare vita, passione e virtù dell’uomo, che diventa immortale anche se nel corso della sua esistenza non è stato mai omaggiato con nastrini, attestati o medaglie. Tony Speranza, Lina Speranza, Memo Nocera, il chirurgo, Sal Giunta, Luca, Andrea e Consuelo, il padre di Tony Speranza, Giovanni Carandola, sono cittadini del mondo. Il mio Vuoti d’aria, partendo da Pozzallo, città natale di Giorgio La Pira, è racconto universale. “L’autore – scrivo nella parte finale del libro – prima di congedarsi, confessa ai suoi due o tre affezionati lettori di avere sognato ad occhi aperti di chiamarsi Tony Speranza, nato a Perla di Mare, che è città splendida, come la sua Pozzallo. Scusandosi per l’amichevole inganno letterario, li saluta amabilmente, chiedendo e chiedendosi: “Eroi? Chi sono? E come hanno fatto per entrare nella lista della storia? …
*Frank V. Susino, lettore de La VOCE di New York, nato a Pozzallo (RG), risiede da tanti anni a Brooklyn ed è Consulente di Technologia Informatica (IT Consultant) moc.onuj @onuocnarf