Il festival dell’ipocrisia mediatica. Giornali, radio e media. In un Paese in cui un pezzo di stato sembra aver trattato con la mafia, lo sdegno buonistico condanna con ipocrisia la chiacchierata che il capitano del Napoli Marek Hamsik ha fatto con Genny ‘a carogna prima dell’inizio della finale di Coppa Italia Napoli-Fiorentina dello scorso sabato 3 maggio. Genny ‘a carogna, un individuo chiaramente impresentabile. Lui e la sua maglietta violenta che inneggiava al condannato per l’uccisione del funzionario di polizia Filippo Raciti, morto in occasione della partita Catania-Palermo del febbraio 2007. Eppure, di fronte alle informazioni incontrollate che davano per morto il tifoso nel Napoli Ciro Esposito a causa di un colpo di pistola – presumibilmente sparato da un ex-ultrà romanista– una misura minimante razionale, di buon senso era quella di parlare e dialogare anche con il peggiore degli ultrà. Accertarsi che gli animi si calmassero e non cedessero alla rabbia in uno stadio popolato da 60mila persone sembrava fondamentale per garantire la sicurezza di tutti gli spettatori sia in caso di rinvio – con una complessa opera di evacuazione – che d’inizio della partita.
Genny la carogna non è stato, per una notte, il ministro degli interni come ha scritto provocatoriamente il Fatto Quotidiano. Era l’unico interlocutore possibile, più immediato, in una situazione che rischiava di degenerare ulteriormente nel caos. Difficile sceglierne uno diverso, magari con giacca e cravatta, capace di calmare gli animi o parlare con altri magari anche più esagitati dello stesso Genny. In Afghanistan parliamo con i talebani, in Iraq con gli elementi più radicali; in Italia, aldilà del caso discusso Stato-mafia, si è pensato di trattare con le Brigate Rosse. Per anni, sempre in Italia, si è trattato con gli autori di sequestri di persona. Ai tifosi diamo la tessera identificativa, li riconosciamo. La logica conseguenza è quella, in situazioni estreme, di parlarci quando è necessario.
Moltissimi sui giornali e le tv hanno si sono appassionati alla storia di Genny la carogna, la sua presunta origine camorrista, l’infiltrazione criminale nella tifoseria napoletana. Che il buon Saviano sembra quasi voler spacciare come una sua scoperta. Chi scrive, come tanti altri, lo sa bene, da quando, bambino, veniva portato allo Stadio San Paolo per vedere il Napoli di Maradona. Qualche altro giornale del Nord ha colto l’occasione per sparare a zero contro la città di Napoli ed i napoletani. Sinonimi di camorra. Un po' come fatto la settimana scorsa dal giornale inglese The Guardian in un pezzo assai approssimativo e qualunquista. Criminali, purtroppo, ci sono in tutte le curve degli stadi italiani, nel Sud e nel Nord del paese. A Roma come a Napoli. A Milano come a Palermo. Genny la carogna sta un po' in tutte curve. Può esasperare gli animi. Ma anche contribuire a calmarli. Nelle logiche tribali un po' perverse che purtroppo popolano il tifo ultras.
Rispetto ai fatti di sabato, pochissime sono state invece le riflessioni sul nuovo salto di follia del tifo calcistico. Il passaggio dalle risse tra tifosi all’uso delle armi. In una spirale che, non arrestata, rischia di condurre il fenomeno calcio ad una nuova deriva generazionale, dopo gli scontri tra “rossi e neri” degli anni ’70. Quel che serve oggi è piuttosto un’analisi complessiva del fallimento di oltre trent’anni di politiche di gestione e prevenzione della violenza negli stadi. E fuori dagli stadi. Esperti della sicurezza, sociologi, club di calcio, e si, ultras, tifoserie organizzate e non, famiglie che vorrebbero tornare negli stadi. Tutti seduti attorno ad un tavolo. Pensare a nuove leggi, analizzare meglio i successi di altre esperienze di contrasto al fenomeno della violenza associata al mondo del calcio. Per evitare situazioni spiacevoli e necessarie come quelle di sabato scorso. Quando si è costretti al parlare con il Genny ‘a carogna di turno per placare gli animi dei tifosi più esagitati.