Alla lotta al razzismo “stop and frisk”, al battage “politically correct” ribaltato, con protagonista la drag legend Lady Bunny, alla carta d’identità per tutti, si aggiunge un nuovo plauso interstellare – nella marcia verso i diritti – per il sindaco di New York, Bill de Blasio, che ha scelto di boicottare la convenzionale St. Patrick's Day Parade (festa di San Patrizio) e ha le sua ragioni per dire di no. La “route” di San Patrizio esclude chiunque imbracci o sia portatore sano di “simboli” a contenuto gay. Meglio disertare la parata e aderire alla versione gay-friendly di St. Pat's For All Parade (che si è tenuta domenica, con il sindaco alla testa del corteo). Un messaggio di tolleranza che gioca a campana col manifesto elettorale "Transition NYC". E l'intersogno politico che spalanca le porte della città a Bill de Blasio – primo democratico dopo quasi vent'anni e il quarto italoamericano a guidare resina e torri della Grande Mela – trova nella lotta ai cacciatori-di-streghe una transizione potente, à la Godard (“Essere antisemiti significa essere anti mediterranei”). Transition; transizione, tra Reaganismo post-New Deal e Clintonismo (la né conservatrice né liberale "terza via", come la definirà Barack Obama nel suo libro The Audacity of Hope, parlando di deadlock ideologico – pag. 34).
“Questa è una parata che celebra l’inclusione… Questo è il senso della città. Ciò che ha reso la città forte,” ha fatto sapere de Blasio, convinto che, partendo dal buon esempio, il messaggio gonfierà le vele, risvegliando le coscienze degli indifferenti. Perché di discriminazione si tratta. De Blasio aveva già marciato alla parata in qualità di public advocate. Il suo predecessore, Michael Bloomberg, per 12 anni si è mosso (tentennando) a favore dei diritti dei gay ma non si era mai schierato contro il costume ed il dogma della tradizionale kermesse. Legali irlandesi (la festa di origine cristiana è in onore di San Patrizio, patrono dell’Irlanda) avevano raggiunto le aule dei tribunali negli anni Novanta pur di guadagnarsi un posto (e una voce) nella tradizionale Manhattan parade, ma i giudici risposero che gli organizzatori della parata godevano del Primo emendamento della Costituzione degli Stati Uniti, che garantisce la terzietà della legge rispetto al culto della religione e il suo libero esercizio. Da allora, gli attivisti gay hanno protestato contro la marcia, una marcia cominciata nel 1792. Dal 1792 ad oggi non è cambiato nulla (Papa Francesco è un rivoluzionario con le lancette ai polsi, a confronto). Se il capo della polizia dell'amministrazione de Blasio, William Bratton – metà americano, metà irlandese – ha dichiarato la sua intenzione di prendere parte alla classica parata, a Boston, un gruppo di omosessuali che si batte contro le discriminazioni si è fatto avanti energizzando l’azione di un gruppo di militari (veterani di guerra) gay: dovrebbero marciare alla parata che si svolgerà a Boston; ora spetta agli organizzatori e al sindaco, Martin Walsh, stabilire se e in che modo. Ci sarà una negoziazione. Quindi, probabilmente, niente arcobaleni niente cartelloni niente esibizionismi. Intanto de Blasio chiama a raccolta i suoi cittadini e li invita a prendere parte alla parata alternativa. O a più parate alternative, se necessario. Non ci sono mai abbastanza gay pride per la lotta all'uguaglianza e all'inclusione.
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