Siamo tutti gay. Siamo tutti morti. Non dateci anestetici né vibratori. Non dateci tonsille nuove, o foruncoli, cortecce, tigli. Non diteci che le macchie di sangue si lavano, prima o poi; ché vanno via, ché non possono portare via la vita dentro la quale abbia vissuto, il seme dentro cui abbiamo nuotato. Se siamo arrivati primi, noi, piccoli spermatozoi, se abbiamo vinto e lottato, lo abbiamo fatto in nome della libertà. E della vita.
Questo lo sa bene Simone: il giovane, il fiore, l'angelo, il reietto, l'incompreso, il mago. Il ragazzo che si è suicidato a Roma giorni fa lanciandosi dall'undicesimo piano di un palazzo, dopo aver gridato/sussurrato la rabbia, la repulsione per l'omofobia di cui era stato vittima. Forse. Certo. Forse. Sì. No. Probabilmente. Si vive da clandestini comunque. E fa schifo, fa.
Simone, lo scampato. Simone, il diverso. Simone, il misericordioso. Simone non c'è più. Un altro disagio che grida e soccombe, perché da solo. Resta una bara bianca, resta il portento di lacrime e applausi, ai funerali, nella Capitale. Resta una stanza vuota. Resta un padre. Un uomo. Che, ad un certo punto, non legge più una Bibbia, ma ha in mano un Catalogo di ali spezzate. Suo figlio era «perseguitato ed insultato da tutti». Tutti, noi tutti, noi tutti gay. Tutti.
«Chi è bersaglio della società ha bisogno di avere fiducia in se stesso e saper chiedere aiuto», ha detto il papà di Simone. Davanti a lui, la gente che respira. Il mondo curioso. Il mondo sconcertato. Il mondo che sogna di togliere dolore al mondo. La rabbia giovane, nella chiesa di San Giustino nel quartiere Alessandrino, alla periferia est, diventa una tribù di "altri", prima lontanissimi, ora vicinissimi. Siamo tutti gay, dentro quella chiesa. Il prete, nella sua omelia, è gay. Noi, con l'odore di caffè sotto i baffi, siamo gay. L'accettazione, la madre di un ventunenne, le lettere, il bambino che non si salvò perché «Perseguitato e insultato da tutti, e per questo decide di andare via. L’anatroccolo si sente inferiore, sconfitto, ma conserva la sua identità». Il bambino che non si salvò… Ha salvato molti altri anatroccoli, cadendo volendo cadere, morendo con la voglia di morire. «Sentirsi diverso non è bello per nessuno, per fortuna ci sono persone tolleranti. Mi dicevi ‘vado per la mia strada e sono fiero di me. E quando uscivi eri fuori a combattere contro le cattiverie e le contraddizioni delle persone. La tua famiglia ha accettato tutte le tue scelte, anche l'omosessualità. Avevi quasi realizzato il tuo sogno di infermiere. Io ogni giorno ti vengo a trovare dove ti sei lasciato cadere e chi pensa che eri un ragazzo fragile, si sbaglia». Adesso restano un padre, una madre, un'altra figlia, un altro angelo, una bara bianca. E restiamo noi. Non voglio più vedervi a nessun funerale. Non voglio vedervi più. Non voglio più l'omofobia.