Decine di film e telefilm come il classico “Perry Mason”, l’avvocato che ne sa una più del diavolo e salva sempre il suo cliente, ci hanno fatto credere – più propriamente si dovrebbe dire sognare – in una giustizia rapida, efficiente, dove le udienze si succedono una dietro l’altra… Chiunque abbia avuto a che fare con i tribunali italiani sa che la realtà è ben diversa.
Quando si aprono gli Anni Giudiziari, le relazioni dei Procuratori Generali denunciano sempre gli stessi problemi, le stesse doglianze: anno dopo anno si denuncia la lunghezza dei processi, l’incredibile numero di procedimenti prescritti, la scarsità di mezzi e personale…
Per la Corte dei diritti dell’Uomo di Strasburgo l’Italia è una sorta di sorvegliato speciale: a causa delle ripetute violazioni accertate nel solo 2012 il nostro paese dovrà pagare la bellezza di 120 milioni di euro di indennizzi, la cifra più alta mai sborsata da uno dei 47 stati membri del Consiglio d’Europa.
Il nostro Paese è nel mirino per quella che viene definita “l’irragionevole durata dei processi”, che riguarda oltre la metà dei ben 14.500 ricorsi pendenti. Per dare un’idea: un processo civile in Italia dura tre volte di più che in Germania, e il 70 per cento degli altri paesi. Dal Commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa Nils Muisnieks, un lettone di formazione anglosassone, giungono parole severe: “Solo un cambiamento radicale della cultura giudiziaria può accelerare i tempi dei tribunali italiani.
Processi lunghi che scoraggiano il cittadino, e minano il rapporto di fiducia con la giustizia. Pensate che la durata media di un processo penale è di otto anni e tre mesi, il doppio del tempo che serviva nel 2010. Ma il 17 per cento dei casi può richiedere anche più di 15 anni. Ancora peggio quello che accade in ambito civile dove il 20 per cento dei procedimenti si protrae dai 16 ai 20 anni. E’ caso davvero di dire: Giustizia lumaca. Soprattutto se si fa il confronto con quello che accade in altri paesi. In Italia, solo per il primo grado un contenzioso civile chiede 492 giorni, 289 giorni in Spagna, 279 giorni in Francia, 184 giorni in Germania. In secondo grado la media sale a 1.267 giorni, oltre 3 anni. Pesante anche la situazione presso le corti d’Appello: il settore penale registra un costante aumento della durata dei procedimenti, con 998 giorni: 194 in più dal 2008 e ben 213 dal 2006. E volete sapere, in media naturalmente, a quanto ammontano i giorni di attesa della sentenza per far rispettare un contratto? Se vivete in Francia bastano 390 giorni. In Germania dovete attendere 4 giorni di più. In Regno Unito impiegano 399 giorni. In Italia?, Beh, in Italia ne occorrono almeno 1.210.
La giustizia lumaca costa alle imprese qualcosa come circa 2 miliardi e 300 milioni l’anno. Il costo medio sopportato dalle imprese italiane è di circa il 30 per cento del valore, contro il 19 per cento della media OCSE.
Proviamo a quantificarli, i costi della mancata giustizia civile. Se per le procedure di fallimento avessimo la durata che hanno in Germania, durata che è inferiore di un terzo rispetto che l’Italia. Potremmo risparmiare 1,2 miliardi l’anno. Se in generale i tempi della giustizia civile si riducesse almeno dell’1 per cento, noi potremmo ottenere un decimo di punto di PIL, 1,6 miliardi. Con queste condizioni di sostanziale incertezza del diritto nella proprietà e nella possibilità di potersi vedere riconosciuti i propri diritti, in un simile contesto, fare “impresa” è sempre più difficile. Una situazione che da una parte disincentiva l’investitore straniero a venire in Italia; e, al contrario, incentiva l’imprenditore italiano ad andare all’estero. D’altra parete, se un investitore può scegliere tra Italia, Francia, Germania e Inghilterra, dove non solo la giustizia civile è molto più efficiente, perché si dovrebbe venire in Italia? E infatti il risultato è che noi abbiamo una distanza rispetto a paesi come Spagna e Germania, del 50 per cento in termini di afflusso di investimenti.
Non solo. I detenuti in custodia cautelare nelle carceri italiane sono circa 68mila. Il 42 per cento è in attesa di giudizio definitivo, sconta una pena prima della condanna. La metà di questo 42 per cento verrà dichiarata innocente. C’è chi sconta ingiustamente, c’è chi non sconterà mai: ogni anno circa 165mila fascicoli vanno in prescrizione, di fatto un’amnistia strisciante e quotidiana. Un colpevole che non pagherà mai la sua colpa, un cittadino che ha subito un torto che non sarà mai risarcito. Per lo Stato il tutto si traduce in uno spreco di circa 84 milioni di euro l’anno, calcolando prudentemente che ogni processo che va in fumo costi 520 euro…
Nola, la città di Giordano Bruno, una trentina di chilometri da Napoli. Tribunale di frontiera, e non solo perché è terra di camorra radicata, in questo territorio operavano Raffaele Cutolo, ma anche Carmine Alfieri. Competenza di questo tribunale, per esempio, grandi realtà industriali come la Fiat di Pomigliano, l’Alenia, l’Interporto. Il tribunale in realtà sono due: nel senso che alla vecchia sede di Palazzo degli Orsini se n’è aggiunta una seconda, più nuova, che però dista un paio di chilometri dalla prima. Così ogni giorno è un via vai…la sede nuova è una specie di forno: grazie a enormi pannelli di plexiglass l’estate è una sauna; in compenso d’inverno si gela. In qualche aula piove, tempo fa uno di questi pannelli si è staccato, fortuna che non era giorno di udienza e non ha provocato danni…
Non si parla del tribunale di Nola per caso. Quello di Nola, infatti, è un tribunale emblematico. La conferma viene dal presidente Lucio Aschettino, responsabile della locale sezione dell’Associazione Nazionale dei magistrati. Conferma l’esattezza di un dato incredibile: il 99 per cento dei processi, tra il primo e il secondo grado, finisce prescritto. Per dare dei numeri: il carico di lavoro, nel penale, è di circa 7mila processi. Il 99 per cento, diventa carta straccia…E’ il risultato di una realtà congestionata, per la scarsità di mezzi e di personale. Mancano anche i magistrati, ma non è neppure quello il principale problema. Il problema vero è che a Nola mancano le strutture e il personale amministrativo in grado di assistere un numero di magistrati maggiore; non sono in grado neppure di coprire i magistrati in servizio attualmente. Una giustizia lenta di fatto non è una giustizia. Se una controversia deve attendere tre-quattro-cinque-sei anni o più, prima di essere risolta, la giustizia va a farsi benedire.
Come molti altri palazzi di Giustizia, quello di Nola è sommerso da un mare di carta, fascicoli, incartamenti, si trovano ovunque, nel caos più indescrivibile. Ci spiegano che in parte dovrebbero finire all’Archivio di Stato, ma anche l’Archivio di Stato ha problemi di spazio, così queste carte, questi fascicoli, questi incartamenti, restano nei vari tribunali. Qui a Nola non sanno più dove metterle, queste carte; così un’aula di udienza è stata trasformata in stanza di archivio…
Insomma: processi interminabili, udienze che si trascinano, anche per questioni che francamente non si capisce per quale motivo debbano scomodare una corte di giustizia. D’accordo: “La legge è legge”, per dirla con un vecchio film con Totò e Fernandel, storia paradossale che ha per protagonista un doganiere francese figlio di italiani, nato in Italia, registrato erroneamente in Francia, e che non ha dunque diritto ad esercitare la professione e si trova a non essere più francese ma neppure italiano… Ma accade che si esca dalla commedia e che questa si trasformi in realtà, e superi ogni fantasia. Nessuna generalizzazione, che spesso la Corte di Cassazione affronta e risolve questioni delicate e spinose. Ma accade anche che si debba occupare di panni stesi: il problema dei panni stesi ad asciugare, che hanno provocato una vera e propria guerra condominiale. Alla fine si è stabilito che i panni lavati possono essere stesi ed esposti, a patto che preventivamente siano ben strizzati in casa perché non sgocciolino. Per arrivarci c’è stato bisogno di un processo in primo e secondo grado, infine della Cassazione.
Sempre la Cassazione si è occupata di stabilire la competenza sollevata da danni provocati da cinghiali selvatici; dell’abbaiare notturno di cani, e sempre a proposito di cani, ha stabilito che chi prende in custodia un cane si deve far carico di curarlo anche psicologicamente. E in Cassazione, dopo due gradi di giudizio, è approdato il caso di un agricoltore colpevole di aver fatto la linguaccia a un vicino. Nella smorfia è ravvisabile, nientemeno, che “l’idoneità a incidere sul decoro e sull’onore della vittima”.
La storia di Tiziana e Oliviero, una coppia come tante, non strappa alcun sorriso. Lui è preda di uno scatto di follia criminale. uccide la ragazza senza apparente motivo;la soffoca, poi cerca un modo per farla franca, dà fuoco all’appartamento, per simulare una fatalità e cancellare le prove. Il piano non regge, presto emerge la verità; lui stesso ammette il delitto. Accusato di omicidio volontario, è libero. Tutto secondo legge: sono scaduti i termini della carcerazione preventiva, in un anno non si è neppure riusciti a fissare la prima udienza. Per lui c’è solo l’obbligo di dimora, e il divieto di uscire la sera. In tribunale si sono perfino scordati di fissare l’udienza preliminare. Di storie come queste, purtroppo, se ne possono raccontare a decine…
Per esempio: Ruvo del Monte, paese arroccato nel potentino. Un giorno i carabinieri bussano all’abitazione di due fratelli. Scorgono una pistola appesa in bella vista su un caminetto. In questi casi si procede d’ufficio: detenzione d’arma illegale. “E’ un giocattolo!”, protestano i due. Niente da fare, scatta la denuncia. Il fascicolo passa in procura. “E’ un giocattolo!”, si sgolano i due fratelli. Rinvio a giudizio. La giustizia segue il suo corso, fino a quando l’avvocato chiede una perizia. Davanti al magistrato il perito apre la busta con l’arma, e scoppia in una fragorosa risata: è davvero una pistola giocattolo, chiunque ne può comperare una simile per pochi euro anche via internet. Questa storia è andata avanti sei anni. Per stabilire che un giocattolo è un giocattolo. Un episodio simile era accaduto anni prima. Posto di blocco, controllo di patente e libretto. Nel portabagagli una pistola. E’ di mio figlio, un giocattolo, spiega la donna. Niente da fare, prima in caserma, poi in carcere. Senza che nessuno le presti ascolto.
Chiudiamola qui, per ora; ci si ritornerà. Ma intanto: Italia culla del diritto, si diceva un tempo. Oggi ne è diventata la bara.