C’è qualcosa di straordinariamente laico e anti-clericale negli ultimi messaggi di Papa Francesco. O almeno così appaiono ai non credenti o a quanti alla fede non pensano. Noi non diamo peso alle acute osservazioni dei presunti interpreti ufficiali del “nuovo pensiero vaticano”. Certo, dopo il gesto insieme “rivoluzionario e pavido” di Benedetto XVII che, con le sue dimissioni, ha promosso l’umanizzazione del ruolo del vicario di Cristo, molte delle parole di Francesco sono state lette nell’ottica della “rottura leggera” o della “innovazione nella continuità”. Formule vuote quando sono usate per negare il senso dei sostantivi che usano.
Oggi c’è poi chi esagera, cercando addirittura di ridimensionare le ultime parole di Bergoglio sull’omosessualità: “Chi sono io per giudicare un omosessuale che cerca dio”. Nulla di nuovo – si è detto – perchè il catechismo della chiesa cattolica (articolo 2358) parla di “accogliere uomini e donne con tendenze omesessuali con rispetto, compassione e delicatezza”. Non prendeteci in giro. Praticata da sempre come tabù inconfessabili nelle segrete stanze della Roma papalina, l’omossesualità è stata più recentemente bollata come “contro-natura” da Papa Ratzinger. Una scomunica informale che ribadiva l’invisibilità, l’emarginazione dalla comunità cattolica (e l’umiliazione!) di milioni di fedeli.
Nella politica culturale vaticana degli ultimi decenni, l’ossessione bigotta per l’omosessualità è poi stata una cifra costante e fastidiosa. Parlando della presunta lobby gay in Vaticano, Papa Francesco ha fatto una precisazione che ha addirittura svelato l’omofobia latente di giornalisti, editorialisti e saputelli di cose vaticane. Occorre distinguere tra essere gay e creare lobbies, ha detto. Quasi a precisare che Dio è tra i gay e non tra i lobbisti, che con ricatti e favori, ascendono la piramide d’autorità del clero di Roma o di altre opache istituzioni create dall’uomo. Francesco ci ha implicitamente ricordato che non è la dimensione delle preferenze sessuali a renderle lobby, ma le attività che praticano, il modo in cui operano. Danneggiano la comunità dei fedeli. In altre parole, di lobby ce ne saranno sempre, e saranno gay, eterosessuali, bisessuali, etc.
Nondimeno, da Papa Francesco non possiamo certo aspettarci aperture su temi come la libera interruzione di gravidanza o il sacerdozio femminile, questioni sulle quali la Chiesa – ci ha ricordato Bergoglio – si è già pronunciata irrevocabilmente. Certo, quel suo riferimento costante alla grazia e santità della Madonna, intesa come centralità della donna nel messaggio cristiano, ci fa un po’ sperare. Ma solo un po’. Giacchè la donna di oggi, col suo carico di conoscenze, capacità, aspirazioni e diritti che ha o che giustamente rivendica, ci appare troppo diversa dall’inconografia conservatrice del culto mariano. Rotture ben più nette saranno necessarie alla Chiesa per sincronizzarsi, su questo punto, alla realtà di oggi.
Nondimeno, ad attrarre il mondo laico, agnostico ed ateo è un messaggio che cerca un po’ alla volta di precisarsi come distinto e alternativo rispetto alla disciplina di Ratzinger. Qualcosa di diverso dal controllo dei dogmi e delle dottrine. Dalla messa recitata in latino, voltando le spalle ai fedeli. Dall’ermellino rosso di Benedetto XVII e dalla sua fede fredda, troppo lucida e razionale. Reazionaria e senza passione. “Andate nelle tante periferie del mondo” è il suggerimento sommesso di Papa Francesco. Con tono evangelico e pastorale, diretto e propositivo. E “con spirito missionario”, parlate agli ultimi, ai dimenticati, agli sfigati. A quelli esclusi dal processo internazionale di accumulazione delle ricchezza. A chi sale su una barca per la ricerca dell’altra riva come l’ultima folle possibilità di fuga dalla povertà e dalla miseria. A quelli che sbarcano a Lampedusa. Quello che ci piace di Francesco è la proposta di liberazione della chiesa dal clericalismo. Da un modo di diffondere la parola di dio come fede annunciata allo specchio e mera routine burocratica. Mutilata da lobby, consorterie e oligarchie corrotte. Una proposta di fede sussurata all’aperto, magari nella musica di Rio de Janeiro, o tra campine e favelas sudice e maleodoranti. Una fede che torni cioè a proporre la buona novella di Gesù di Nazareth. Il più grande rivoluzionario della storia dell’umanità.