Età indefinita tra i cinquanta e i sessanta, capelli scuri con un gran ciuffo bianco, magra, vestito demodé. Indossava larghi pantaloni con la pence color crema stile anni ’30, tenuti stretti da una sottile cinturina di coccodrillo, una camicia bianca dal collo morbido, Tod’s ai piedi. Intorno al collo sfoggiava una collanina colorata, di tipo etnico. Mrs. Pauline Bissey era un incrocio tra la Crudelia Demon de La Carica dei 101 e la mitica attrice Katherine Hepburn.
Aveva prenotato una suite per una settimana intera ed era arrivata da sola, con un elegante trolley Alviero Martini, quelli dal prezzo proibitivo con le carte geografiche stampate sopra.
Il primo errore l’aveva commesso entrando con una sigaretta in bocca, accesa immediatamente dopo essere scesa dal taxi.
“Scusi, signora, ma all’interno del nostro hotel non è permesso fumare” le aveva subito detto la giovane receptionist Laura, guadagnandosi immediatamente un feroce sguardo d’odio.
Il secondo errore, subito dopo.
“Fatemi portare i bagagli in camera. Io vado al bar” aveva detto, subito rincalzata nuovamente da Laura.
“Purtroppo il nostro è un hotel tre stelle. Non abbiamo il facchino”.
“Mi sta forse dicendo che il bagaglio nella suite dovrò portarmelo su da sola?”
“Purtroppo è così, signora. Mi dispiace”.
Il tempo di passare al bar e scolarsi un paio di whisky lisci ed era già sparita all’interno dell’ascensore, verso il top floor.
Mrs. Bissey era una psicoanalista di San Francisco, allieva del celebre psichiatra cileno Claudio Narajo, già docente di meditazione al Nyingma Institute di Berkeley, di religioni comparate al Californian Institute of Asian Studies e di psicologia umanistica alla University of California di Santa Cruz.
Lei finora non aveva insegnato niente, ma partecipava regolarmente a qualunque attività il professore svolgesse in giro per il mondo.
Era venuta in Italia per partecipare al workshop che si sarebbe tenuto a Milano la settimana successiva, in cui il suo mentore avrebbe presentato ai colleghi italiani il cosiddetto programma SAT da lui recentemente elaborato.
“Il workshop consisterà in un intreccio di teoria ed esercizi volti ad una migliore comprensione di sé e del proprio stile di comunicazione, attraverso attività di lavoro in diadi e sottogruppi. I partecipanti avranno occasione di sperimentare una migliore comprensione di se stessi e una prima conoscenza della Psicologia degli Enneatipi”, spiegò lei stessa alla curiosa signora Giulia, proprietaria dell’hotel, quel pomeriggio, davanti all’ennesimo bicchiere di whisky.
“Molto interessante. Ma che chi sono gli Enneatipi?”, domandò sconcertata la donna italiana, facendo sprofondare Mrs. Bissey nelle pene più profonde.
“Credevo che lei fosse preparata su questi temi, signora” disse, piuttosto seccata.
“Si, ma gli Enneatipi…”, balbettò la povera donna che si sentiva ormai in preda ad un’ignoranza abissale.
“I nove tipi di personalità, signora, questi sono gli Enneatipi. L’idealista, l’altruista, l’organizzatore, l’artista, il pensatore, il collaboratore fidato, l’ottimista, il capo, il mediatore”.
“Ah, quelli Enneatipi. Ora ricordo…”, cercò di bluffare in modo poco convincente la signora Giulia.
Nei giorni seguenti Mrs. Bissey attraversò la città di Roma come un caterpillar, in modo totalmente devastante per chiunque la incontrasse. Fu capace di litigare praticamente con tutti, compresi due enormi guardiani di controllo dei Musei Vaticani perché voleva assolutamente toccare con mano “La Deposizione”, il celebre dipinto di Caravaggio conservato nella Pinacoteca Vaticana.
“Non capite niente. L’artista trasmette la sua anima attraverso la tela. E io devo assolutamente toccare la sua anima!”, insisteva, mentre la trascinavano via.
Al Ristorante “La Scala” di via S.Isidoro pretese di insegnare al proprietario Angelo come si cucinava una vera “pasta alla carbonara”, secondo gli insegnamenti appresi da un certo Michelino, suo vecchio boyfriend italiano conosciuto a Berkeley negli anni settanta. L’apice delle sue performance la raggiunse però una sera al cinema Nuovo Olimpia di via in Lucina dove proiettavano “Il grande Gatsby” in edizione originale, con i sottotitoli in italiano. Convinta che una frase pronunciata dal grande Di Caprio fosse stata tradotta male, inveì con il proiezionista e con la cassiera, cercando in tutti i modi di estorcere loro il nome ed il numero di telefono della ditta che aveva creato i sottotitoli sbagliati.
Nessuno in città rimpianse Mrs. Bissey, quando alla fine della settimana salì finalmente sul treno Frecciarossa per Milano.
Molti provarono invece un forte sentimento di solidarietà per i colleghi meneghini che, da lì a qualche ora, avrebbero provato sensazioni più tragiche e sconvolgenti dell’uragano recentemente abbattutosi sull’Oklahoma.