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May 11, 2013
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La “Pasticca Connection” Canada-Sicilia finisce nel sangue

Leopoldo GarganobyLeopoldo Gargano
Nella foto dei carabinieri, il ritrovamento dei corpi dei mafiosi della famiglia canadese dei Rizzuto nelle campagne di Casteldaccia

Nella foto dei carabinieri, il ritrovamento dei corpi dei mafiosi della famiglia canadese dei Rizzuto nelle campagne di Casteldaccia

Time: 4 mins read

 

Un pentito pizzaiolo a New York, due cadaveri, e un Rolex d’oro. E un intrigo di alta mafia siculo-canadese. E' finita malissimo all'uomo della pasticca connection, il trafficante spagnolo Juan Ramon Fernandez Paz, detto Joe Bravo, istruttore di arti marziali e capodecina del clan canadese dei Rizzuto, originari del paesino di Siculiana, provincia di Agrigento. E'stato trovato cadavere mercoledì sera nelle campagne di Bagheria, il corpo completamente carbonizzato e crivellato dai proiettili. Accanto a lui, l'amico portoghese Fernando Pimentel, un altro armadio a due ante, picchiatore professionista, che ha ricevuto lo stesso trattamento.

A fare ritrovare i corpi, un nuovo pentito di mafia, Giuseppe Carbone, di Casteldaccia, per diversi anni pizzaiolo a New York, poi rientrato a Bagheria.

Temeva di finire all’ergastolo. Aveva paura che un «Rolex d’oro» appartenuto al boss crivellato di piombo lo incastrasse per sempre. E così, seppure accusato solo di spaccio di droga, ha finito per confessare un duplice omicidio, indicando i presunti responsabili e il luogo dove erano nascosti i cadaveri.. Carbone, 43 anni, è il soldato della cosca di Bagheria che ha svelato l’intrigo di mafia siculo-canadese, indicando il luogo dove erano nascosti i cadaveri di «Joe Bravo» e di Pimentel. Un pentimento lampo il suo, ha deciso di vuotare il sacco subito, mercoledì mattina all’alba è stato arrestato nella retata contro il mandamento di Bagheria. Un altro degli arrestati doveva essere Fernandez Paz, ma i carabinieri non l'avevano trovato. Era già morto. Carbone già dentro l’auto che lo portava in cella, ha fatto la sua scelta..

 Il neo collaboratore, appena arrivato in carcere, ha chiesto di parlare con i magistrati ed ha raccontato gli orrori della cosca, ad iniziare dalla duplice esecuzione avvenuta lo scorso 9 aprile. Lui non era quello che sembrava, uno spacciatore di piccolo calibro, che piazzava bustine per conto dei pezzi grossi. Faceva parte del gruppo di fuoco del mandamento, chiamato a svolgere una missione pericolosa per conto dei «cugini canadesi», doveva eliminare un tipo tostissimo come «Joe Bravo», trafficante internazionale di droga, un armadio a due ante e istruttore di arti marziali. Un violento, sospettato di avere massacrato di botte la sua ex fidanzata ballerina. Ha anche spiegato il movente. Fernandez Paz, in Sicilia dallo scorso giugno, aveva scelto di non prendere posizione nella guerra che ha diviso il clan Rizzuto. Lui era stato affiliato alla cosca proprio da Vito Rizzuto, il capo, poi quando è scattata la faida, avrebbe optato per una posizione attendista. Non stava con Rizzuto, Nè con  il suo nemico, il boss di origine francese Raynald Desjardin. Un affronto per Vito Rizzuto, che nella faida ha già perso il padre, Nicola e il figlio Nick, sepolto in una bara d'oro. Dopo essere stato espulso dal Canada lo scorso anno, in virtù dei suoi numerosi precedenti penali e di una condanna a 10 anni, Fernandez Paz era arrivato a Bagheria, ospite di alcuni personaggi che riteneva amici. Con loro aveva iniziato anche un florido traffico di pasticche di ossicodone, un potente oppiaceo, prescrivibile in Italia per alleviare il dolore di alcune particolari malattie. In Canada invece le pillole vengono spacciate a migliaia di giovani tossicodipendenti, a 5 dollari a pasticca.

Per fare fuori un tipo tosto come Fernandez Paz ci voleva un piano preparato con cura, al quale il pentito ha partecipato in prima persona. A ordirlo, sostiene il collaboratore , i fratelli Pietro e Salvatore Scaduto, di Bagheria che avevano ospitato Fernandez Paz, non appena arrivato dal Canada. Entrambi negli anni Ottanta si erano rifugiati oltreoceano, avevano solidi agganci con quell’ambiente e quando «Joe Bravo» è arrivato, si è subito messo in contatto con loro. Li avrebbe frequentati a lungo nel suo soggiorno bagherese e quando lo hanno convocato per un appuntamento assieme al portoghese, lui si è fidato. Per attirarlo nel tranello gli hanno detto che dovevano parlare di affari e di droga.

Carbone è stato molto preciso, ha indicato il fondo isolato dove sono arrivate le vittime e le modalità dell’agguato. I sicari hanno esploso una trentina di colpi, sapevano di avere a che fare con due personaggi pericolosi e non hanno certo lesinato il piombo. Poi i corpi sono stati seppelliti dentro la discarica e le armi nascoste nei paraggi. Era il 9 aprile e da allora nessuno più ebbe notizie di «Joe Bravo» e del compare Pimentel. Le microspie all’improvviso erano diventate mute, lo spagnolo non passeggiava più in corso Umberto a Bagheria, come era solito fare, con quell’aria spavalda e decisa ripresa tante volte dalle telecamere nascoste dei carabinieri. Gli investigatori pensavano che fosse partito, intuendo che a suo carico c’erano indagini in corso. Qualcuno aveva anche avanzato l’ipotesi che fosse stato eliminato, ma non c’erano prove, nessun riscontro concreto.

Che sono arrivati mercoledì mattina, quando Carbone ha deciso di parlare. Ma perché ha confessato un delitto gravissimo che nessuno gli imputava? Per un Rolex d’oro che gli è stato trovato. Gli investigatori lo hanno subito notato, sapevano che quel prezioso orologio era identico a quello indossato più volte da Fernandez Paz, pedinato e osservato per settimane dai carabinieri. Come mai lo aveva lui? Dove lo aveva preso? Ha capito che aveva commesso una leggerezza imperdonabile che poteva costargli l’ergastolo. Non ha retto la pressione e le domande sempre più stringenti ed ha scelto di collaborare. Nel giro di poche ore ha indicato la discarica dove erano seppellite le due vittime, i nomi degli altri assassini e il nascondiglio delle pistole utilizzate per l’agguato.

Sono scattati così i fermi dei fratelli Scaduto, ma le indagini non sono certo concluse. I due fermati sono indicati come gli esecutori materiali, resta da chiarire chi abbia dato l’ordine di morte. Se il movente del delitto è in Canada, nella lotta intestina alla cosca dei Rizzuto, non si sa chi a Bagheria abbia ricevuto l’incarico, per poi smistarlo ai sicari. Non sono chiari soprattutto i ruoli svolti da Giacinto Di Salvo e Sergio Rosario Flamia, ritenuti i capimafia di Bagheria. Il via libera è venuto da loro, oppure da un gruppo contrapposto? Se fosse vera questa seconda ipotesi, allora i due cadaveri costituirebbero un chiaro segnale di guerra dentro la cosca. Di sicuro Fernandez Paz e Pimentel sono arrivati dal Canada a Bagheria per morire.

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Leopoldo Gargano

Leopoldo Gargano

Laurea in filosofia, per 33 anni cronista di nera e giudiziaria a Palermo. Poi ha trovato finalmente il modo di cambiare lavoro

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