Nel cuore di Venezia sopravvive un mestiere che è un’arte antichissima, battiloro è chiamato colui che batte a mano la foglia oro, sottile come quasi null’altro in natura, utilizzata principalmente a scopo decorativo, ma non solo, come vedremo, un mestiere che c’era già nel 1300 nella più orientale delle Repubbliche Marinare, portato qui da Bisanzio, sicché nel 1700 c’erano a Venezia trecento battiloro, esisteva anche una scuola del Battiloro e Tiraoro che è a San Stae, la Scoletta dei Tiraoro e Battioro, i tiraoro fabbricavano fili d’oro per la manifattura tessile, per l’abbigliamento e per l’oreficeria.
Sabrina Berta prosegue l’attività che fu di suo padre Mario, battiloro, con una società a nome collettivo che tratta ori, argenti puri e legati in foglia battuti a mano, suo marito Marino Menegazzo svolge il lavoro che è stato di suo padre, battitore, la sua giovane figlia Eleonora si occupa di tutto ciò che è l’aspetto amministrativo dell’attività, accogliendo innovazioni e miglioramenti, vivendo la tradizione come un incentivo ad intercettare nuove opportunità, in un mondo che di strada ne ha fatta parecchia dai tempi in cui Venezia era la Serenissima. Siamo nel palazzo che fu del Tiziano, dimora e atelier per l’immortale di “La Fuga in Egitto”, tornato dopo duecentocinquanta anni temporaneamente a Venezia nelle Gallerie dell’Accademia dall’Ermitage di San Pietroburgo.
La società del Battiloro è stata fondata nel 1926 dalla famiglia Rivani, racconta Eleonora, erano cugini del nonno che nel ’69 la rilevò, dopo un disastroso incidente, da quel momento l’ha portata avanti fino alla sua uscita nell’ottantanove. In Italia sono gli unici ad essere artigiani nel vero senso della parola perché tutta la lavorazione è fatta a mano, al massimo utilizziamo tre macchine che sono del 1926 e una macchina che è degli anni Sessanta, per cui tutta la lavorazione è rimasta uguale all’epoca di mio nonno, dice Eleonora, la terza generazione della famiglia Berta-Menegazzo. Questi artigiani sono gli ultimi a Venezia e gli unici in Europa a svolgere il mestiere di battiloro artigianalmente, ossia battendo a mano la foglia oro, ci sono degli altri battiloro altrove, però utilizzano le macchine, quindi fanno la battitura meccanica.
I locali del laboratorio sono rimasti gli stessi, si parte dalla fusione, si inserisce un lingottino all’interno di un crogiolo, che è un vaso particolare, lo si mette dentro un forno a 1800°, in questo fornetto e in questo vaso l’oro diventa liquido, successivamente viene versato su una staffa di metallo e lo si lascia raffreddare. In tal modo il lingotto viene purificato, noi utilizziamo, afferma Eleonora, ventiquattro carati all’inizio, poi facciamo anche altre leghe, quindi in percentuali diverse mettiamo rame, argento o altri metalli. Successivamente il nuovo lingottino viene passato attraverso il laminatoio degli anni Sessanta, divenendo una lamina sottile e lunghissima che verrà fatta passare, per un tempo brevissimo e intenso, attraverso il fuoco, elemento in grado di rendere l’oro più morbido e lavorabile. In un altro locale del laboratorio avviene il trattamento delle carte: con una zampa di lepre essiccata, acquistata nei ristoranti di cacciagione, si procede alla pulizia del pergamino, carte verdi particolari dove viene introdotto l’oro, con del bicarbonato di calcio, vengono introdotti piccoli pezzettini della lamina che è stata trattata poco tempo prima e si dà avvio alla battitura a macchina, l’unica battitura meccanica di tutta la lavorazione, per circa venti minuti.
Eleonora mostra il maglio del ’26, a batterlo è suo padre, il “maestro” Marino Menegazzo, il mestiere di battiloro è prevalentemente maschile perché tirare su martelli, utilizzarli, sono pesanti, ci vuole un contraccolpo, per noi donne è difficile, ammette. Le tappe del lavoro a questo punto prevedono il taglio della lamina d’oro in quattro pezzetti, ogni quarto viene introdotto in carte particolari verniciate, acquistate in Germania perché in Italia non c’è più nessuno che le fa, poi c’è di nuovo una battitura, a mano stavolta, del maestro Menegazzo con martelli che vanno dai tre agli otto chili, secondo il tipo di spessore che si deve fare e del tipo di foglia che il cliente richiede. Successivamente la foglia viene poi tagliata e confezionata in libretti di seta che contengono venticinque foglie, negli anni questa tecnica è rimasta inalterata, anche il numero delle foglie è sempre lo stesso, le dimensioni possono variare, nove per nove, dieci per dieci, quattro per otto.
I filoni aziendali relativi alla vendita sono tre: la decorazione artistica, che può essere richiesta da mosaicisti, vetrai, restauratori, doratori, iconografi, calligrafi, pittori, scultori; la decorazione alimentare, con l’oro a ventiquattro carati che può essere posizionato sopra le pietanze, come attesta la certificazione emessa in Germania dalla società LGA, a tal proposito, Eleonora cita il risotto di Gualtiero Marchesi, ma anche bevande perché producono sia foglie che pagliuzze; infine l’utilizzo delle foglie oro in ambito cosmetico, una innovazione introdotta non più di tre anni fa, per volontà di Sabrina Berta. L’oro introdotto sulle pietanze va mangiato, conferma la nostra interlocutrice, non fa male a ventiquattro carati, è inodore e insapore, talmente sottile, 1,2 micron, anallergico e antibatterico; in farmacia si trova l’oro colloidale che va assunto insieme ad altre due leghe, il rame e l’argento, a fini curativi, mentre riguardo l’uso estetico la società Mario Berta Battiloro ha creato un kit con un cofanetto che contiene cinque bustine ciascuna con dieci foglie, ogni bustina realizza un trattamento cosmetico, ma si è ancora in fase di decollo. Vi sono applicazioni di laminati anche per tatuaggi, per decorare le unghie, per il “make up”, si tratta proprio della foglia che viene venduta per creare “body painting”, oppure per un trucco scenico particolare.
Tornando a parlare della lavorazione in laboratorio, apprendiamo che questa nel sestriere di Cannaregio è una scuola, le ragazze vengono senza sapere come funziona il lavoro, come si fa, e imparano, perciò è una scuola professionale, che né la Regione, né la Confartigianato sostengono finanziariamente, nonostante sia completamente gratuita, si fa un mese di prova, se funziona e a loro piace questo lavoro restano e viene fatto il contratto, altrimenti scelgono un altro mestiere. Certo è un lavoro di attenzione, di fatica, una signora è qui da quasi quaranta anni, altre ragazze da dieci, diciotto, venti anni, abbiamo anche avuto momenti difficili, dice Eleonora, segnati da cassa integrazione, ora paiono superati e, se il lavoro continuerà, avremo bisogno di un ragazzo apprendista battiloro, che abbia voglia di imparare questo mestiere e di portarlo avanti. Le foglie oro prodotte vengono esportate in tutto il mondo, anche in Medio Oriente, ma soprattutto in Europa, l’impiego che offre maggiore visibilità è il mosaico, la Mario Berta Battiloro fornisce l’oro a Lucio Orsoni, il mosaicista veneziano conosciuto ovunque. Il lingotto iniziale viene acquistato sempre sulla base di richieste, può essere pochi grammi oppure qualche etto, il fornitore è il Banco Metalli a Vicenza, non le banche, né i giacimenti che non offrono la certificazione dei ventiquattro carati, come dire la purezza, poi qui in laboratorio viene rifondato per purificarlo di nuovo. Da Sabrina Berta apprendiamo di una manifestazione imminente, alle Zattere per promuovere la città sostenibile e l’iniziativa di far rientrare la gondola nel patrimonio tutelato dall’Unesco, dopo che vi è rientrato il merletto di Burano. L’associazione El Felze ha organizzato l’iniziativa, al suo interno sono presenti i lavoratori impegnati in tutti i mestieri che contribuiscono alla costruzione della gondola: “fravo, intagiador, baretera, remer, battioro”. Un altro nobile e giustamente ambizioso progetto riguarda la costruzione di un nuovo Bucintoro, la barca più lussuosa che Venezia aveva, utilizzata quando i regnati di altri paesi arrivavano, era la galea di stato dei dogi di Venezia, lunga circa sedici metri, tutta dorata, sia internamente che esternamente, poi quando è arrivato Napoleone ha bruciato l’ultimo Bucintoro. I veneziani avevano rifatto il progetto, chiedendo agli austriaci se li aiutavano a ricostruirla, ma non ci sono mai riusciti, ogni remo deve essere governato da tre uomini, i remi sono quarantadue. Sabrina Berta considera il fatto assai positivo di un possibile lavoro per tanta gente a Venezia, se il Bucintoro verrà ricostruito, sperando che la commessa sia data alla gran parte degli artigiani di qui, con il cantiere messo su all’Arsenale e le visite guidate in loco per promuovere un autofinanziamento dell’opera che chiaramente avrà un costo molto elevato.
Il sindaco Orsoni è il presidente del comitato promotore dell’iniziativa, questo lascia ben sperare, è tutto pronto, basta iniziare, il progetto è basato sul disegno originale del 1700. Si è detto che bisognerebbe aggiungere al Bucintoro un piccolo motore, perché la Marina non permette che venga messa in acqua una barca che non ha un motore, poi non è detto che si riescano a trovare tutte le persone necessarie per governare i remi, centoventisei come in passato, quando a bordo vi erano, tra ospiti e rematori, centoquaranta persone. Noi veneziani, sostiene Sabrina, abbiamo sempre avuto il desiderio di ricostruire il Bucintoro, emblema di bellezza e nobiltà, testimonianza del passato glorioso di questa città unica nel mondo, e di questo simbolo meraviglioso non resta nulla, se non qualche pezzo e un Bucintoro un po’ più piccolo in Piemonte, di proprietà dei Savoia.