Aveva sedici anni quando preparò la sua prima valigia. Poco più che un bambino. In quel piccolo bagaglio c’erano tutti i suoi sogni, la sua voglia di scappare. Le sue ambizioni. Quelle di un ragazzino irrequieto, curioso e desideroso di scoprire il mondo. Franco sapeva che qualcosa sarebbe successo. «Ho sempre avuto la sensazione che sarei riuscito ad afferrare i miei sogni; è difficile da spiegare, ma dentro di me l’ho sempre saputo» racconta oggi, mentre passeggia sul lungomare di Minori, la cittadina in cui è nato. Bella da togliere il fiato. «Torno spesso qui. In questo posto ci sono le mie radici, la storia della mia famiglia, dei miei genitori Giuseppe e Giovanna». Due infaticabili lavoratori. «Devo a loro il mio successo. Mia madre ha sempre creduto in me. Sapeva che sarei dovuto andare via da Minori, sapeva che l’avrei lasciata presto. Eppure mi ha sempre sostenuto, mi ha incoraggiato, ha accompagnato col suo amore ogni mio traguardo. Con la dolcezza e la forza di cui solo le madri sono capaci». Classe 1961, Nuschese è l’archetipo del self made man. «Il paese mi stava stretto. Avevo voglia di girare il mondo, di scoprire i paesi da cui venivano i turisti che ogni estate affollavano le strade di Minori, di imparare la lingua delle ragazzine straniere con cui flirtavo. Ho osato inseguire i miei sogni». Prima Londra, poi Las Vegas e finalmente Washington.
Oggi Franco Nuschese è uno dei più noti uomini d’affari di Washington DC, presidente del Georgetown Entertainment Group. Nel 2003 il magazine GQ lo ha incluso nella top 20 degli uomini più potenti di Washington. I suoi interessi sono molteplici. Dall’intrattenimento, alla gastronomia, alla produzione e alla distribuzione di raffinati vini italiani con Capital Wines Il suo gioiellino, però, è Cafe Milano, un r i s t o r a n t e nel cuore di G e o r g e -town, esclusivo quartiere della capitale. Ritrovo di celebrità, politici, diplomatici, b u s i n e s – sman. Tutti fanno a gara per un tavolo.
Da Tiger Woods a M i c h e l l e Obama, da Sharon Stone a Quincy Jones. Tra gli ospiti anche il presidente Napolitano. E il Papa, che nel 2008 celebrò il suo compleanno all’Ambasciata vaticana con un pranzo organizzato proprio dal suo staff. Il successo, la fama non hanno cambiato però la sua essenza di uomo. Guarda il mare di Minori mentre riflette sulla sua storia, sul suo percorso: «La vita mi ha dato tanto. Ora mi sento in dovere di restituire quel che ho ricevuto». Un imperativo morale che gli americani definiscono “Giving Back”. Nuschese sostiene associazioni umanitarie, programmi dedicati alla diffusione della cultura italiana. Franco è nel consiglio di amministrazione dell’Istituto di Virologia dell’Università del Maryland, diretto dal professor Robert Gallo scopritore del virus HIV; sempre in questo ambito, coordina le relazioni internazionali della Robert C. Gallo Foundation per la ricerca sull’AIDS. Ma non solo. È nel consiglio di amministrazione della Washington National Opera, della Corcoran Gallery of Art, dell’Afghanistan World Foundation e dell’American Academy of Hospitality Sciences.
Franco non ha mai voluto recidere il legame con la sua terra. «Mio padre Peppino è venuto a Washington nel 2006, con il sindaco e una delegazione, quando sono stato premiato da Bill Clinton con l’Award for Excellence in Business della fondazione Sons of Italy». Nel 2010 è stato insignito del titolo di Commendatore della Repubblica Italiana, onorificenza
motivata dal suo impegno alla diffusione di un’immagine positiva e vivace degli Italiani in America e nel mondo.
Ogni volta che i suoi affari internazionali lo lasciano libero, torna qui a respirare il profumo del mare: «Minori è un luogo così intimo per me». Lo sguardo si perde all’orizzonte. «Quando ero piccolo avevo un amico speciale. Era un vecchio e solitario pescatore. Personaggio hemingwayano. Ogni mattina all’alba prendeva il largo con la sua barca. Aveva le mani callose, il volto raggrinzito dal sole. Parlava poco, ma ho imparato molto da lui. Dalla sua tenacia, dal coraggio che aveva mentre a muso duro affrontava la miseria, le avversità. La solitudine Anche questa era Minori. «Quando sono al mio paese, mi piace andare al bar di sempre. Prendo il caffè, faccio una partita a scopa. Cose semplici e belle. Autentiche».
Perché nella vita non bisogna mai prendersi troppo sul serio, neanche quando dall’altro capo del telefono c’è il presidente degli Stati Uniti.
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