Un French 75, a base di gin, champagne e succo di limone, per le ragazze che al bar cercano un cocktail fresco, ma ricercato; un Martini classico, invece, per l’uomo che non vuole perdere il suo stile, neanche dopo aver allentato il nodo della cravatta a fine serata. E per quei timidoni che hanno bisogno di sbottonarsi un po’, un calice di prosecco per iniziare “perché le bollicine arrivano velocemente al cervello, dandoti quel senso di sbronza leggera”. Si gioca ad abbinare drink e personalità con Cristina Bini, mixologist pluripremiata, di origine toscana, ma da anni a New York.
Dopo aver lavorato prima in Europa e poi nei migliori ristoranti di Manhattan, Cristina potrebbe scrivere un libro – anzi, ci sta già pensando – sulla psicologia dell’alcol. “Ha la capacità di inibire o disinibire le persone a seconda degli stati d’animo. Agisce sulla psiche e sul cuore”, ci spiega quando la raggiungiamo nel Village, da Mr. Capri, un nuovo ristorante italiano, dove è bar manager. “Giorno dopo giorno, o meglio notte dopo notte, per anni ho visto sedersi al bancone ogni tipo di essere umano. Ne ho studiato i caratteri e le reazioni. Ci sono studi dettagliati su questo tema. Ecco perché quando vedo qualcuno già molto iroso, gli consiglio di andarci piano con i drink. Non dimentichiamo che l’alcol è una droga legale, se vogliamo. Ci vuole molta responsabilità, che lo si serva o che lo si beva”.

È un mondo affascinante quello della mixology, termine forse troppo abusato negli ultimi tempi. Ormai si tende a far coincidere il mestiere di bartender con quello di mixologist. “Sono invece due professioni diverse. Il barista è un buon impiegato che sa applicare bene le regole del bar, conosce i drink tradizionali e li prepara alla perfezione. Chi fa mixology invece è uno studioso, una persona che parte dalle basi per sperimentare nuovi accostamenti”. Lei adora parlare di “liquid cuisine”, una frontiera moderna in cui “i sapori della cucina vengono riportati in un bicchiere con l’alcol”. Proprio per Mr. Capri, ad esempio, nel menu ha voluto inserire “Sirena”, cioè un martini con burro, pangrattato con la colatura di alici; una bruschetta liquida alcolica, insomma.
“Quando mi hanno presentato il progetto del ristorante, per settimane ho studiato le caratteristiche di Capri. Se i proprietari e gli ingegneri hanno cercato di ricreare lo stile dell’architettura dell’isola, io ho voluto portare i sapori di questo magnifico posto nel cuore del Village. Oltre ai drink storici internazionali, quindi, da noi le persone potranno assaporare un Cynar Negroni, con il Cynar infuso nell’origano. E poi abbiamo previsto un altro cocktail a base di succo di rucola. Da tempo ho abbandonato la frutta, la trovo noiosa; le cose inusuali fanno più parte della mia personalità”.

Ed è proprio grazie alla sua stravaganza e al culto per l’innovazione che il suo palmares oggi vanta molti premi. Come quello in Malesia, nel 2007, in occasione del World Champion Martini. Un concorso vinto grazie a un Martini Fusion, in cui venivano usati peperone rosso e zenzero. Se oggi può sembrare normale, non lo era all’epoca, quando ancora nessuno praticamente usava le verdure per i cocktail. L’utilizzo, invece, di sassi di mare e fiume, ha fatto entrare il suo nome nell’Annual Manual for Bartender 2011 del guru Gaz Regan. Tra i suoi grandi momenti di sperimentazione, non poteva mancare il “molecolare”, cioè la tecnica di cambiare colore e consistenza degli ingredienti, attraverso l’uso di vari composti. “Ricordo, su tutti, una sera da Ferragamo a Firenze, quando presentai un piatto di spaghetti, che in realtà erano fili di Negroni solidificato”.
Il drink con cui Cristina Bini si è spinta di più è sicuramente però quello con gli insetti. “Scorpioni, cavallette e formiche. Sembra assurdo, ma c’è un grande studio dietro”. Tante lodi da parte dei media americani, come il New York Times, ma anche qualche grana. “Sono stata accusata – ci spiega – di uso improprio degli insetti. Ho affrontato un processo e grazie a tutta la documentazione che ho presentato, sono riuscita a dimostrare che il mio lavoro era assolutamente legale”.
È teatrale nel suo modo di parlare e presentarsi ai clienti, anche quando si rivolge alla gente in inglese riesce a infilarci qualche espressione fiorentina. Controlla sempre il livello, ma ti fa sentire meno in colpa quando bevi, perché in fondo con lei ti sembra di sorseggiare una piccola opera d’arte, fatta di passione, studio, creatività. Le due once di alcol passano in secondo piano. Ogni drink ha una storia e Cristina la racconta ogni volta che ne serve un. La ripete ai clienti, ma anche ai radioascoltatori di Radio Firenze 54.3, con la sua striscia quotidiana “Drink and sweet”.

Se dietro il bancone, Cristina è la regina di Mr.Capri, le anime di questo ristorante sono due fratelli, Alessandro e Mario Passante, veterani della ristorazione newyorkese. Una vita intera nell’ospitalità. Sin da piccoli, quando a Capri con gli altri fratelli lavoravano nella trattoria di famiglia; la madre era la cuoca, il padre il fotografo della dolce vita locale. In questo angolo del Village, sull’ottava strada, Capri si respira ovunque. Nelle ricette regionali a base di pesce, nei quadri appesi al muro, nello stile ricercato, ma non pretenzioso. “Non ero sicuro di voler aprire qui – confessa Alessandro – Ricordavo che questa era la zona dei ciabattini. Poi mi sono accorto che il vibe era molto cambiato e che tanti locali avevano aperto nel frattempo. Mancava però un ristorante italiano. E così siamo arrivati noi”.
Mentre chiacchieriamo, qualche minuto prima dell’apertura al pubblico, Cristina sta preparando per Tommy, uno dei camerieri di Mr. Capri, la sua nuova invenzione: “il pescatore”, che però si può chiamare anche “la pescatrice”, a seconda di chi la ordini. È un drink simpatico, una variante dell’Aperol spritz, ottimo per l’aperitivo. È a base di Campari, St. Germain e prosecco. Come decorazione: una foglia di barbabietola, che rappresenta la canna da pesca, un filo di liquirizia, cioè la lenza, e un pesciolino ritagliato da un pezzetto di zenzero. “Per renderlo perfetto, ho usato tutte le conoscenze acquisite all’Accademia delle Belle Arti”, ci dice scherzando. È un cocktail dedicato alla ripresa del “flirt” newyorchese, di quell’arte dell’amoreggiamento bloccata ovunque a causa di due anni di pandemia. “La gente ha proprio voglia di riprendere a divertirsi, di praticare l’imbrocco, come diciamo noi in Toscana. A quante scene ho assistito nella mia vita…”. Non c’è miglior palco di un bancone del bar.

E a proposito di pandemia, il virus ha cambiato anche il modo di bere. “Per il momento, quello che ho notato – dice Cristina – è che ovviamente quella spinta all’innovazione, all’estremo, che ha sempre caratterizzato questa città, oggi lascia il passo a un desiderio di casa, di conosciuto. Le persone hanno voglia di coccole, di certezze. Noi mixologist sentiamo forte un ritorno alle origini. I clienti ci chiedono molto di più che in passato i drink classici, come il Martini o l’Old Fashioned. Questo non significa che non ci sia spazio per l’innovazione. New York è fatta di immigrati e culture diverse; è nella sua natura accogliere calorosamente chiunque abbia idee nuove”.