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March 18, 2012
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PRIMO PIANO/ Disagi e nuove povertà

Paola MillibyPaola Milli
Nella foto, Dominique Lapierre con Andrea Riccardi

Nella foto, Dominique Lapierre con Andrea Riccardi

Time: 7 mins read

Quel che accomuna due personalità così diverse, due storie che per nulla si somigliano, è l’impegno sociale e umanitario per debellare la piaga della povertà nei Sud del mondo, come entrambi amano ricordare a chiunque li avvicini e provi a farli parlare di ciò che sta loro a cuore: primariamente e da lungo tempo, l’impegno sociale sul campo a favore di chi è troppo povero per avere voce.

Dominique Lapierre, fondatore di “Action pour les enfants des lèpreux de Calcutta”, ha un passato di reporter di successo, inviato di Paris Match, scrittore di best sellers, nato in Francia nel ’31, da trent’anni si dedica a progetti di aiuto ai poveri dell’India, e di altre latitudini, la sua storia straordinaria è un monito a tutto l’Occidente ricco affinché si attivi a favore dei diseredati.

Andrea Riccardi, sessantadue anni, uno dei ministri del governo Monti, che con lui ha inaugurato un nuovo ministero, seppure senza portafoglio, quello dell’Integrazione e Cooperazione Internazionale, professore universitario di storia contemporanea, molto stimato in ambito religioso, nel ’68 ha fondato la Comunità di S. Egidio, realtà diffusa in settantatré Paesi del mondo, dall’Africa all’America Latina. Riccardi, prima di confrontarsi con Lapierre, tiene a precisare che la luna di miele dopo cento giorni di governo, è divenuta un solido rapporto, il clima in Consiglio dei Ministri è un clima costruttivo, lui, che non ha mai creduto che fare il ministro possa cambiare il mondo, ma può evitare che il mondo peggiori o sprofondi, ha accettato questa esperienza per dare il suo contributo in un momento drammatico, in cui l’Italia ha rischiato una crisi irreversibile che avrebbe travolto l’euro e l’Europa.

Sulla questione dell’Ici, ora chiamata Imu, Riccardi dichiara di condividere la scelta del governo di far pagare questa tassa anche per la porzione di attività commerciale che riguardi attività umanitarie e religiose, ciò non riguarda solo la Chiesa, ma tutto il no-profit, il Presidente Monti è stato chiaro su questo aspetto, l’ha detto in Parlamento, ora si tratta di stabilire i diversi tipi di istituzioni soggette al pagamento Ici, bisogna capire cosa è sociale, una scuola che investe, se guadagna, nell’autopromozione in cui gli insegnanti sono insegnanti secondo le regole dello Stato, sono ammessi i punteggi, sono ammessi i disabili, può essere considerata un’opera sociale, e noi non abbiamo nessuna intenzione, dichiara il ministro, in un momento in cui i poveri diventano più poveri, bellissimi colpire le opere di carattere sociale.

In un recente Consiglio dei Ministri, rammenta Riccardi, è caduta, finalmente, un’addizionale dello 0,2% di tasse sulle rimesse dei Paesi extracomunitari, che sono le rimesse degli immigrati, mi era parsa una forma di penalizzazione di quello che è il più grosso aiuto allo sviluppo di tutto il mondo, dato dal denaro che gli immigrati mandano nei loro Paesi, questo è forse l’aiuto allo sviluppo meglio speso!

La crisi economica colpisce duramente anche le opere di assistenza, Dominique Lapierre racconta di non ricevere nessun tipo di aiuto dalle istituzioni governative degli Stati o internazionali per la sua attività e di riservare tutti i diritti d’autore dei suoi libri e le donazioni dei lettori a Calcutta, nel Delta del Gange e nelle zone rurali molto povere, cercando di cambiare un po’ la vita di tanti esseri costretti nell’abbandono e nel degrado, in una zona che non esiste nelle mappe di geografia dell’India ufficiale, cinquantaquattro isole con un milione di persone che non hanno nessun aiuto medico sociale, dove ogni anno circa duecento contadini vengono sbranati dalle tigri mentre si recano nella foresta per prendere un miele salvifico.

In quel posto infernale lui e sua moglie hanno potuto attivare quattro battelli-ospedale, fermi nel porto di Calcutta, mettendo in piedi una cardiologia, una piccola sala operatoria, un laboratorio con quattro infermieri e due medici, in quella regione del Delta del Gange afflitta da cicloni e catastrofi naturali, ma un battello ospedale con quattro infermieri e due medici costa centomila euro l’anno, occorre vendere molti libri per far fronte a queste spese. La guerra, ricorda il ministro Riccardi, è la madre di tutte le povertà perché veramente genera la povertà, è questa una scoperta che si porta dentro tutta la vita, gli aiuti, la cooperazione, la forza di volon bità di molti divengono inutili se c’è il blocco della guerra, lui lo ha sperimentato in Mozambico, dove la Comunità di S. Egidio si fece, in quegli anni Novanta di conflitto interminabile, promotrice di pace, avviando i negoziati, durati due anni e mezzo, tra la guerriglia e il governo, pace poi siglata a Roma, nella sede di S. Egidio, alla presenza del governo italiano.

Quest’azione ha vinto il muro dell’impossibile, ognuno di noi ha la sua misura di solidarietà, c’è una parte di ognuno di noi che in una qualche misura deve essere donata e se uno intraprende questa via di gratuità anche piccola, possono avvenire delle cose grandi, insospettabili.

Oggi, ammettono entrambi, Riccardi e Lapierre, ci sono difficoltà nel reperire i fondi, i tagli sono trasversali, ma la generosità concreta della gente non è calata, cioè le persone che donano un’ora, due ore, questo non è calato perché dare qualcosa di gratuito agli altri non è solo un dovere, è una gioia.

Impossibile ascoltare questi messaggi evangelici senza che prepotentemente il pensiero torni all’attuale governo, cosiddetto dei banchieri, con le dichiarazioni dei redditi dei ministri e del Presidente Monti, recentemente rese pubbliche, in cui Riccardi appare il fanalino di coda, con il reddito più basso, una figuraccia, dice lui scherzando. Il problema non è essere ricchi, ma avari, sentenzia, evocando la bellissi ma frase di Lapierre, tratta dal suo pluripremiato libro «La città della gioia»: “Tutto ciò che non è donato è perduto”, una frase nata nella bidonville di Calcutta, una sola fontana d’acqua per cinquemila persone, aspettativa di vita non superiore ai quaranta anni, eppure un luogo dove la gente non ha perso la speranza ed esperimenta la gioia, come ricorda Dominique, la povera gente di Calcutta che trae da se stessa la capacità di rimanere in piedi, di lottare contro tutte le avversità, di ringraziare Dio per il più piccolo beneficio.

Lapierre apre la borsa dei ricordi e porta alla luce quella mattina nella bidonville della città della gioia in cui poté ascoltare il rumore di gente che veniva suonando trombette ed era come un’orchestra che passava per la strada; lui domandò ai suoi amici che festa fosse, quale Dio celebrassero e la risposta lo commosse fino alle lacrime: celebravano l’arrivo della primavera, in un luogo dove non c’è un albero, non un fiore, non un uccello, non una farfalla, la gente aveva il coraggio di celebrare un avvenimento del quale mai può vedere le manifestazioni!

Che cosa può dire Lapierre della piccola straordinaria donna con il sari bianco ornato di blu che ha conosciuto a Calcutta, di cui parla e che mostra nell’ultimo libro “Gli ultimi saranno i primi”, Madre Teresa che quando era nelle bidonvilles era come un’onda d’amore che si dipanava dolcemente, la gente accorreva con i propri bambini, lei diceva ai più poveri del mondo di credere, di continuare a lottare perché non erano soli. Dominique Lapierre e sua moglie hanno servito pasti in molti centri fondati da Madre Teresa a Roma, a New York, nel Bronx, abbiamo visto in questi luoghi, talvolta, una povertà più grande della povertà di Calcutta perché c’è una differenza tra povertà e miseria: miseria è quando un povero ha perso la speranza, a New York, nel Bronx abbiamo visto gente che realmente aveva perso tutto, la relazione, il legame con la propria cultura, con la propria lingua, religione, non aveva più niente; a Calcutta la cosa straordinaria è la gioia che ritroviamo nelle bidonvilles, ma è un errore voler glorificare la povertà che è sempre un insulto alla dignità dell’uomo; Madre Teresa ci ha insegnato a lottare con un senso e una consapevolezza in più, che non è assistenza, è dare speranza.

La saggezza ebraica dice che chi salva un uomo salva il mondo, chi salva un uomo cambia il mondo, a tal proposito Lapierre ha una narrazione importante nel cuore e vuole parteciparla, così racconta di Ashutosh un diciottenne indiano che ha conseguito il diploma universitario di ingegnere meccanico e felice glielo ha mostrato presso il centro dei bambini lebbrosi di Calcutta, dieci anni fa questo ragazzo era in una colonia delle bidonvilles con la lebbra, la tubercolosi, le affezioni intestinali, la pancia gonfia di vermi, lo abbiamo curato, gli abbiamo dato una possibilità attraverso la scuola, è molto intelligente, lo hanno preso all’università. Un giorno quando arriverò al cospetto del Signore ed egli mi domanderà che cosa ho fatto sulla Terra, io vorrei rispondere solamente: “Abbiamo salvato Ashutosh che potrà avere un’occupazione e comprare un pezzo di terreno per costruire una casa”. E’ una vittoria sulla povertà anche solo aver salvato Ashutosh.

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Paola Milli

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