Deve essere anche un po’ “colpa” dell’Italia. Giovedì 16 febbraio, alla New York University, si è svolto un incontro tra alcuni candidati per la circoscrizione Nord e Centro America e i giornalisti corrispondenti italiani, in vista delle elezioni. E i candidati che hanno partecipato (otto, da cinque liste diverse), nelle risposte che hanno dato (Qui il video), sono stati generalmente d’accordo su tutto ciò che riguarda i problemi dei cittadini italiani all’estero. Le frizioni, piuttosto, seppur brevi e ben contenute da chi ha moderato le risposte, sono paradossalmente arrivate su altri temi, lontani dalla circoscrizione americana: dall’amministrazione di Virginia Raggi a Roma ai presunti rapporti del PD romano di ieri con Mafia Capitale, dalla candidatura mancata alle Olimpiadi fino alle responsabilità sul Rosatellum (pensato da PD e Lega, ma per il quale mancavano i voti dopo il no di FI e M5S) e sul Rosatellum Bis. Una legge elettorale, questa, che continua a non piacere a nessuno, ma che in Parlamento è stata votata da PD, Forza Italia, Lega Nord, Alternativa Popolar e Alleanza Liberalpopolare. Se quindi le frizioni tra alcuni candidati sono giunte soprattutto riguardo la scena “romana”, intesa sia come centro istituzionale che come città, il resto del dibattito si è svolto in modo costruttivo e pacato.
Ma andiamo con ordine. Alla “tribuna elettorale” organizzata da Flavio Pompetti e Andrea Fiano e in diretta Facebook sulla pagina de La Voce di New York, hanno partecipato appunto in otto: Leonardo Metalli (MAIE), Fiorenzo Borghi (M5S), Giovanni Faleg (PD), Francesco Galtieri (+Europa), Matteo Gazzini (Lega), Luca Palazzotto (+Europa), Pierluigi Roi (LeU) e Isabella di Valbranca (PD). L’atmosfera è sembrata, fin dall’inizio, quella amichevole di un tipico circolo politico di paese, diviso magari dagli ideali di base ma unito dai problemi del presente, che si riunisce per parlare di criticità che sono sotto gli occhi di tutti.
Del resto, e lo hanno ribadito a turno gli otto candidati in vari momenti del dibattito, i punti in sospeso da risolvere sono quelli di sempre, per gli italiani all’estero e per le modalità con cui poterne votare i rappresentanti. Dalle procedure lunghe e tortuose che caratterizzano la vita dei consolati italiani in America, spesso non per responsabilità di chi in quei consolati ci lavora, ma per un mix fatto di assenza di fondi e troppa burocrazia. Alle modalità con cui è pensata la circoscrizione stessa, che pone all’interno di uno stesso sistema territori diversi tra loro, come Panama e Toronto, New York e Santo Domingo, Los Angeles e Montreal, Quebec City e Città del Messico. Dalle modalità con cui si vota per corrispondenza (quella scheda elettorale cartacea che arriva per posta, che sembra fare più di un occhiolino a potenziali brogli e per la quale servirebbe una rivoluzione informatica e digitale su cui tutti si sono detti d’accordo), al tema storico dell’astensionismo. Nel 2013, appena il 27% degli italiani all’estero di questa circoscrizione (su una media del 32%) decise di apporre la propria X sulla scheda e di votare. E le prospettive per il 2018 non sembrano essere più rosee.

Leonardo Metalli ha fatto capire che proprio per tutti questi motivi è nato il MAIE, e lo ha ribadito nel primo giro di interventi con cui i candidati si sono presentati: “Il nostro movimento non è controllato da Roma. Nasce e vive attraverso gli italiani all’estero, lontano dai partiti, e secondo me è quello che rappresenta di più la loro essenza”. Giovanni Faleg, invece, ha evidenziato come ci sia bisogno di “ricostruire il legame di fiducia con i territori, bisogna ripartire da un nuovo patto sociale e dalle strette di mano con le persone, ed è questo che il circolo di Washington del PD sta facendo grazie al lavoro di persone straordinarie”. Galtieri, poi, ha sottolineato come “ci sia bisogno di recuperare più adesione, anche in questa ripartizione, specie in un periodo storico in cui la fiducia verso la politica è così bassa: e per farlo si deve partire dall’idea di un’Italia più forte nel processo di integrazione europea, un’idea su cui si poggiano le basi della nascita di +Europa”. E se Matteo Gazzini, nel precisare che lui è della Lega e non di Forza Italia, ha detto di essere entrato in politica “due mesi fa”, perché “mi sono voluto mettere a disposizione” con l’obiettivo di “vincere, il centrodestra è quasi al 40% e mi hanno detto: ‘Matteo, una tua candidatura può essere determinante. Noi ti sosteniamo. Vinci’”, Palazzotto ha invece seguito le orme del collega Galtieri di +Europa sui toni: “Crediamo negli Stati Uniti d’Europa per rilanciare l’Italia nel mondo e gli italiani nel mondo”. Poi una frase polemica verso le istituzioni che non hanno messo i candidati della circoscrizione nelle condizioni di fare politica nel modo adeguato: “Serve più coscienza civica per dare visibilità ai candidati, ora non è così. I paletti della par condicio sono diventati un bavaglio. Basti vedere quante procedure ci vogliono per organizzare qualcosa a Washington…”. Pierluigi Roi, di Liberi e Uguali, ha invece sottolineato che la necessità dovrebbe proprio essere quella di “essere tutti uguali, come l’articolo 3 della nostra Costituzione insegna, anche se oggi non lo siamo. E basti vedere quale sia la condizione di noi italiani all’estero, di serie b. Il Rosatellum ha messo i chiodi alla bara, permettendo anche a chi non vive qui di candidarsi in questa circoscrizione”. Mentre Isabella di Valbranca ha rivendicato i risultati delle riforme del governo Renzi, “che ha portato a termine molti iter che purtroppo non si conoscono. Il tribunale delle imprese, ad esempio, che viene incontro sui tempi delle procedure a quelle aziende che hanno dei processi civili in corso. Il lavoro sul Jobs Act, che va proseguito e completato. Gli investimenti sulla digitalizzazione”. Mentre sullo “ius soli temperato, sullo ius culturae, auspico si possa proseguire su quello che non è stato finito, perché con gli emendamenti Calderoli si era aperto uno spiraglio che dobbiamo mantenere aperto”.
Il dibattito è stato lungo e variegato. Nelle due ore di botte e risposta sono stati toccati più temi, a cavallo tra Italia e America. In primis, un problema cronico da sempre irrisolto: la tessera sanitaria, di cui gli italiani all’estero diventano sprovvisti nel momento in cui si iscrivono all’AIRE: “Un fatto assurdo, perché è assurdo che gli italiani che tornino dall’America non siano coperti dal sistema sanitario nazionale: non è mai stato fatto un passo in avanti dai partiti, in decenni, su questo” ha detto Leonardo Metalli del MAIE. In secondo luogo, si è parlato del tema dell’immigrazione e del ruolo delle frontiere, sul quale sono emerse, in risposta a una domanda particolare, due sensibilità diverse da parte di due interlocutori. Da una parte Gazzeini: “Prima gli italiani, sempre: poi se sono avanzati denaro e posti di lavoro, aiuteremo gli altri” ha detto l’esponente della Lega, precisando: “Se ci sono delle dogane, e ci sono in tutto il mondo, anche nel Canada in cui Trudeau dice di voler accogliere tutti, perché dobbiamo accettare solo noi chiunque?”. “Il problema è a monte – ha invece precisato Palazzotto di +Europa, dall’altra parte. Dobbiamo saper convivere con i nostri vicini e avere un ruolo nello stabilizzare la regione di cui facciamo parte. I movimenti delle persone sono conseguenza di una destabilizzazione che non permette più loro di rimanere lì”. Ma anche il ruolo della cultura italiana e della sua accessibilità è stato un argomento di cui si è parlato a più riprese: “Noi siamo abituati a pensare a persone che vivono magari a New York o a Montreal. Ma io ho incontrato persone al di fuori dei grandi centri urbani che si sentono completamente tagliati fuori, perché come legame hanno solo un canale televisivo: non si dà la possibilità alle persone di informarsi sulla vita politica italiana” ha detto Pierluigi Roi di LeU, che ha proposto di proporre gratuitamente quantomeno anche “Rai Radio”.
Noi de La Voce di New York abbiamo provato a chiedere ai candidati se l’elezione di Donald Trump abbia insegnato loro qualcosa. Il presidente USA ha saputo intercettare la vasta fetta di statunitensi delusi dalla politica tradizionale, dalle strutture federali esistenti, dal sistema pro-establishment che vedeva in Hillary Clinton una naturale continuità. Come comportarsi di fronte a un elettorato, come quello degli italiani all’estero, che si reca alle urne così poco?
“Noi ce l’abbiamo nella ragione sociale, questo punto: vogliamo intercettare il voto degli italiani all’estero, quelli che appunto si sentono delusi – ha ribadito Metalli del MAIE. Questo anche se le istituzioni facciano da specchio riflettente e non sembrano molto interessate alla nostra lezione”. “Il Movimento 5 Stelle fa quello per professione, da almeno dieci anni: cerca di convincere chi non vota e di intercettare proprio chi è stanco di un sistema che non funziona e ha gli stessi problemi da anni” ha detto Borghi. “Secondo me però noi viviamo un’altra realtà. Un cittadino italiano all’estero si sente abbandonato due volte: perché si è trasferito qua e perché dopo vent’anni o più, non ha raggiunto quelle vittorie che avrebbe voluto raggiungere. Il risultato è la disillusione anche nei confronti dei candidati di oggi perché non molto si è mosso” ha evidenziato Pierluigi Roi. Mentre Isabella di Valbranca ha evidenziato: “La realtà è che siamo pochi. Siamo in 18, su 900. E proprio perché siamo così pochi, una volta in Parlamento, dobbiamo trovare il modo di compattarci, di metterci insieme per farci valere. Altrimenti le nostre proposte cadranno”. Mentre Faleg, sempre PD, ha sottolineato la necessità di “cambiare il nostro rapporto con i cittadini”, senza “cavalcare la disillusione che è ciclica”, quando “cercando di rigenerare entusiasmo sui temi dove si può voltare pagina”. Mentre Francesco Galtieri per +Europa ha sottolineato come serva “tenere legato il filo della partecipazione” extra-istituzionale con quello della “responsabilità all’interno del contesto parlamentare. Molta dell’astensione è legato alla politica del ghe pensi mi, dove i leader hanno fatto la lista della spesa facendo credere e promettendo, ma senza mantenere le promesse”. “Il mondo radicale”, ha concluso, “si è sempre mosso su entrambi questi fronti”.
La serata si è chiusa con una riflessione collettiva sui possibili scenari post-voto. Gazzini che ha confermato che la Lega starà “all’opposizione” nel caso in cui Forza Italia farà alleanze con altri diversi dal centrodestra. Metalli (MAIE) ha detto che il suo movimento voterà dispositivo per dispositivo, e sui temi che riguardano gli italiani all’estero. Borghi (M5S) ha detto che per lui i 5 stelle non si alleeranno con “nessuno” e andranno “da soli”. Roi (LeU) ha detto che i conti si faranno il 5 marzo e prima è impossibile fare ragionamenti complicati. Mentre i rappresentanti di +Europa (Galtieri e Palazzotto) e PD (Valbranca e Faleg), due partiti apparentati nei collegi uninominali ma presentatisi con liste diverse all’estero, hanno promesso: no alleanze con frange xenofobe e dalle idee estreme nell’area del centrodestra.
Il voto per corrispondenza è in corso. E lo sarà fino al 27 febbraio. La parola, ora, va agli elettori. Sperando che decidano di votare.