Alle sue spalle, l’enorme padiglione italiano (308 stand totali) domina la scena del Summer Fancy Food, una delle più importanti fiere alimentari del mondo. Francesco Lollobrigida, Ministro dell’Agricoltura e della Sovranità Alimentare, è a New York per lanciare la candidatura della cucina italiana all’UNESCO e per dare agli altri paesi un messaggio chiaro: quando si parla di cibo siamo una potenza mondiale e abbiamo i numeri per comportarci da leader.
Ministro Lollobrigida, il suo dicastero ha assunto la denominazione di “Ministero dell’agricoltura e della sovranità alimentare”. Qual è la sua proposta per tutelare il Made in Italy e combattere ciò che negli Stati Uniti viene definito “italian sounding”?
“La cosa principale è raccontare il Made in Italy. Se siamo in grado di garantire eccellenza e qualità, spiegare come le nostre produzioni siano legate al territorio e ad una tradizione ben definita, allora riusciamo a mettere nella condizione le nostre imprese di crescere, ma anche le persone che acquistano di trarne un beneficio. Se i consumatori, che sono in grado di scegliere sulla base della qualità, si indirizzano verso le nostre produzioni, questo diventa il miglior mezzo di contrasto all’Italian sounding. Poi, una volta raggiunto il risultato della conoscenza, sono necessari altri elementi di carattere normativo, che stiamo cercando di ottenere a livello internazionale con accordi bilaterali e multilaterali. Anche negli Stati Uniti vogliamo che i cittadini acquistino prodotti che siano coerenti con le loro aspettative e con etichettature che informino nel dettaglio. Noi non temiamo l’informazione, perché quando uno sa esattamente cosa sta acquistando, è disposto anche a pagare qualcosina in più”.
Come intende affrontare le sfide legate al cambiamento climatico (l’alluvione in Romagna e la siccità hanno pesantemente danneggiato la produzione locale) nell’agricoltura italiana e promuovere pratiche agricole resilienti?
“Vorrei agganciare alla domanda una considerazione rispetto alla campagna che è stata lanciata ieri, anche qui negli USA, e che ha permesso di raccogliere migliaia di euro da donare agli agricoltori più colpiti dagli effetti dell’alluvione. È ovvio che esistono mutamenti climatici: prescindendo dalle ragioni per le quali accadono, che siano causati da azioni umane oppure da cicli della storia, i cambiamenti ci sono e vanno affrontati per mettere in condizione l’uomo di manutenere il territorio e renderlo pronto agli eventi. È una questione che stiamo affrontando con una visione strategica, partendo dalla capacità di utilizzare al meglio l’acqua, che è un bene fondamentale. In Italia, oggi, si capta solo l’11% dell’acqua piovana e si disperde nella rete idrica il 40% di ciò che viene immesso. Credo vada rirpeso il filo della storia e rendersi conto di come l’agricoltura e l’allevamento non siano nemici dell’ambiente, ma siano anzi fondamentali per la sua manutenzione. Dove c’è agricoltura e dove c’è allevamento, l’ambiente sta meglio e gli eventi collaterali prodotti da fenomeni come quelli alluvionali fanno meno danni”.

Crede che l’Italia, negli anni, abbia peccato in qualcosa nelle strategie di marketing e promozione del marchio Made in Italy? Se sì, in cosa e cosa si sarebbe potuto fare di più?
“Non commento ciò che è stato fatto gli anni passati perché non lo trovo elegante. Ragioniamo di futuro: tutto quello che abbiamo deve essere una base di partenza e possiamo essere soddisfatti dei risultati ottenuti fino ad ora. Credo però che questo sia il primo gradino di una grande scalata per cercare di dare al mondo un incremento di benessere che passi per l’acquisto dei nostri prodotti e per la crescita delle nostre imprese, ma anche di benefici che vadano nell’ottica di una sicurezza alimentare garantita dal buon cibo. L’Italia è una superpotenza della qualità ed è per questo che possiamo essere, anche simbolicamente, la guida delle nazioni che vogliono fare riferimento a questo tipo di sviluppo. Una promozione di sistema sotto il marchio Italia, dove non si fanno azioni di contrasto tra i ministeri o le imprese, ma dove si lavora insieme per raccontare il paese nel suo complesso. Importante è anche la formazione, che passa attraverso il coinvolgimento degli studenti degli studi alberghieri o agrari negli eventi per prepararsi a raccontare ancora meglio quello che l’Italia ha da offrire”.
Quanta importanza ha, per il settore gastronomico italiano, un evento come il Summer Fancy Food e che vantaggio concreto hanno le piccole-medie aziende che, magari a fronte di un investimento economico, decidono di partecipare alla fiera newyorkese?
“Per una logica imprenditoriale, chi partecipa a eventi di questa natura e investe sa che può guadagnarci. Negli Stati Uniti c’è fame e sete di Italia, quindi venire qui e raccontare ciò che sappiamo fare permette di accrescere gli acquisti. Far assaggiare i nostri prodotti è un modo per attirare l’attenzione dei cittadini internazionale e per creare un interscambio con altri imprenditori, che magari conoscono alcune materie o alcune tecnologie italiane e le acquistano per migliorare quello che hanno. Proprio in questo senso, credo che l’Italia abbia le forze per poter essere una guida nel tendere le produzioni globali qualitativamente superiori. Noi Simao in grado di produrre un valore aggiunto capace di far crescere le nazioni più deboli e permettere di risolvere anche alcuni problemi di natura economica a livello globale. Un plauso anche ai nostri imprenditori: sono stati grandiosi in questi anni e hanno resistito anche quando non erano sostenuti dalla politica. Oggi c’è un governo unito che lavora in squadra per essere vicino a chi ha tenuto in piedi la nazione”.

Quali sono i bacini di sviluppo (anche distributivo) dei prodotti italiani negli USA oltre la East e la West Coast?
“Il grande interesse che c’è da parte di tutti gli operatori del settore ci fa sperare che il mercato si ampli in maniera notevole. I dati che emergono dagli Stati Uniti rispetto al benessere fisico della popolazione richiedono qualche modifica: io ho un grande rispetto per gli USA, che ci hanno aiutato a riconquistare la libertà e contribuiscono a mantenere un sistema democratico. Su una cosa, però, non hanno niente da insegnarci: il sistema alimentare. Non lo dico io, ma i dati che evidenziano un problema di sovrappeso e obesità (numeri cinque volte superiore a quelli italiani). L’Italia è inoltre la seconda popolazione più longeva al mondo e allora la riflessione è banale: se noi facciamo sapere che con il nostro modo di alimentarci si vive di più e si vive meglio, questo incentiverà i mercati anche dove fino ad oggi non hanno avuto la possibilità di conoscerci. Anche i nostri ristoratori, per poter fare ciò, devono essere messi in condizione di non avere la concorrenza sleale, dando la possibilità a chi ancora cucina con i criteri di qualità italiani di essere individuato come portatore di un benessere che i consumatori continuano a cercare”.