“Non si era mai vista una cosa del genere”. A riassumere quello che sta accadendo in queste ore al confine meridionale degli Stati Uniti bastano le parole di Enrique Lucero, responsabile degli affari migratori della città messicana di Tijuana.
Lunghissime code di migranti si sono accampate alla frontiera tra Messico e USA in trepida attesa per l’imminente fine del cosiddetto Title 42, in scadenza l’11 maggio. Dalla mezzanotte di giovedì, la politica migratoria statunitense tornerà infatti ad essere più “tollerante” rispetto alle norme draconiane che hanno contraddistinto l’ultimo triennio, innescando timori di un vero e proprio esodo di persone alla disperata ricerca del sogno americano.
Le autorità di Washington prevedono che saranno più di 10.000 gli ingressi al giorno dalla frontiera meridionale – il doppio rispetto ai circa 5.000 di marzo. Quella in fieri potrebbe perciò passare alla storia come una delle più imponenti migrazioni nel continente americano, quantomeno nell’epoca contemporanea.
Per far fronte all’emergenza, la Casa Bianca ha dispiegato altri 1.500 soldati di supporto alla polizia di frontiera e ha stretto un accordo con il Messico che prevede la deportazione a sud del confine dei clandestini provenienti da Venezuela, Haiti, Cuba e Nicaragua (Governi con cui Washington non è in buoni rapporti, e che rendono perciò difficile il rimpatrio dei loro concittadini).
L’obiettivo è però soprattutto quello di “filtrare” i migranti nei Paesi di transito, prima che arrivino fisicamente al confine statunitense. Da giovedì, i richiedenti asilo adulti dovranno infatti utilizzare un’app per fissare un incontro con i funzionari statunitensi al confine oppure richiedere asilo in un’altra nazione prima di arrivare negli USA – pena il divieto d’ingresso nel Paese e, per chi venisse sorpreso, l’immediata deportazione.
Negli scorsi giorni, inoltre, il Dipartimento per la Sicurezza Nazionale ha predisposto un piano che prevede la costruzione di un maggior numero di centri di accoglienza lungo il confine per facilitare l’ingresso legale nel Paese.

Ma che cos’è il Titolo 42, e perché scadrà proprio questa settimana?
La misura deriva dal Public Health Act del 1944, un atto legislativo che conferisce alle autorità statunitensi poteri emergenziali extra per far fronte alle minacce alla salute pubblica.
All’inizio del periodo pandemico, nel marzo 2020, l’amministrazione Trump ha fatto ricorso al Titolo 42 per espellere rapidamente gli immigrati arrivati alla frontiera terrestre degli Stati Uniti – compresi quelli che chiedevano asilo per motivi umanitari. Secondo i dati della US Customs and Border Protection, negli ultimi tre anni i respingimenti alla frontiera avrebbero sfiorato quota 3 milioni (2,8 per l’esattezza).
Nemmeno con l’arrivo di Biden alla Casa Bianca la musica è cambiata. L’amministrazione dem ha infatti deciso di mantenere la politica del predecessore per più di un anno, mentre gli Stati Uniti si trovavano (e si trovano tutt’ora) ad affrontare un esodo migratorio senza precedenti – alimentato in maggioranza dai flussi provenienti dal “Triangolo del Nord” (El Salvador, Guatemala e Honduras), Colombia Cuba, Nicaragua e Venezuela.
In contrasto con il loro presidente, i democratici hanno più volte denunciato l’incostituzionalità del Titolo 42 – che di fatto nega il diritto di asilo sancito dalla Convenzione di Ginevra del 1951. Al contrario, molti repubblicani spingono affinché il Titolo 42 passi da misura emergenziale a politica ordinaria nella gestione dell’immigrazione.
La contestata misura arriverà a naturale scadenza proprio l’11 maggio, data in cui gli USA termineranno anche tutte le altre restrizioni e/o misure legate al contenimento pandemico – tra cui l’obbligo di vaccino per viaggiare nel Paese.

Da giovedì gli Stati Uniti potranno espellere solo gli immigrati le cui richieste di asilo vengano ritenute illegittime. In attesa della verifica, potranno perciò rimanere in territorio americano, e potenzialmente darsi alla clandestinità.
Nel tentativo di “accelerare” i colloqui di asilo, gli Stati Uniti hanno proposto nuove norme che prevedono la valutazione dei richiedenti entro 24 ore e la loro espulsione entro pochi giorni o settimane. E a chi attraverserà illegalmente il confine verrà vietato di tornare negli Stati Uniti per almeno cinque anni.
Ad essere preoccupati per quello che succederà tra qualche ora sono soprattutto città e Stati di confine. Già ora circa 2.300 migranti risiedono nei due centri di accoglienza a El Paso, avamposto meridionale del Texas che ha dichiarato giorni fa lo stato di emergenza. Lo stesso è successo a Brownsville, dove qualche giorno fa proprio sette migranti sono stati tragicamente investiti da un’auto in corsa. Le organizzazioni che si occupano di sistemare i migranti temono di non avere le risorse per assistere tutti se – o meglio quando – il loro numero aumenterà esponenzialmente.
Ma la crisi è avvertita anche molto più a nord. Eric Adams, sindaco di New York, ha più volte chiesto alla Casa Bianca di destinare fondi emergenziali alla Grande Mela. La città sull’Hudson deve far fronte a centinaia di migranti che ogni giorno arrivo nella Grande Mela a bordo di autobus polemicamente inviati dagli Stati di confine a guida repubblicana (tra cui proprio il Texas del governatore GOP Greg Abbott).
E anche qui, come al confine, le strutture di accoglienza sono al collasso. Venerdì City Hall ha ricevuto 30,5 milioni di dollari in aiuti umanitari dalla Federal Emergency Management Agency. Un misero decimo dei 350 milioni di dollari ritenuti sufficienti dalla Grande Mela per far fronte all’epocale emergenza.