Pollice verso per tutti e cinque i referendum promossi dal Partito Radicale e dalla Lega di Matteo Salvini. Gli italiani hanno detto “No” a chi ha chiesto e voluto la consultazione popolare. Lo hanno fatto disertando le urne e dicendo con questo gesto che quei cinque referendum non toccano problemi di interesse generale o mettono in discussione valori universali. È successo già molte volte negli ultimi 20 anni e si è ripetuto anche in questa occasione, abbinata a un turno elettorale amministrativo che coinvolgeva oltre 20 milioni di elettori che sono andati a votare per il sindaco, ma hanno rifiutato di prendere le schede elettorali referendarie.
La sconfitta piena di coloro che hanno chiesto di porre cinque questioni legate ai problemi della giustizia a referendum è sintetizzata nel 20% di italiani che ha deciso di esprimersi. Una percentuale ben lontana dal quorum necessario (metà degli aventi diritto al voto più uno) a rendere valido il voto e che racconta il fallimento politico di chi ha provato a forzare la mano chiamando gli italiani alle urne invece di seguire la faticosa, travagliata, impegnativa via parlamentare alle riforme.
Perché mai gli elettori avrebbero dovuto appassionarsi al dibattito se gli avvocati debbano o meno avere diritto di giudicare la carriera dei magistrati? Non è questione squisitamente di pertinenza del Parlamento e delle commissioni apposite? E perché mai gli italiani avrebbero dovuto considerare tema da scontro referendario il numero di firme che un magistrato deve raccogliere per presentare la propria candidatura al Consiglio superiore della magistratura? O il quesito per vietare le porte girevoli ai magistrati in tema di carriera? E quello che avrebbe impedito (se approvato) di ordinare l’arresto di un imputato in presenza del pericolo che commetta ancora il reato sul quale si sta indagando? Davvero, di fronte a questi quesiti, viene da pensare che deputati e senatori non abbiano coscienza del lavoro che sono stati chiamati a fare o che comunque non siano in grado di capire priorità e necessità dei problemi della giustizia.
Il quinto quesito bocciato dalla mancanza di quorum è poi squisitamente legato all’interesse di quella che viene definita La Casta. Dopo una lunga battaglia, era stata approvata nel 2012 la legge Severino, che prevedeva la non candidabilità, l’ineleggibilità e la decadenza automatica dalla carica per membri del governo, parlamentari, consiglieri regionali, sindaci e amministratori locali in caso di condanna per reati gravi. Per quella legge Silvio Berlusconi fu costretto a lasciare lo scranno di senatore.

Ma per quale motivo chi ha una funzione pubblica non dovrebbe farsi da parte. Un qualsiasi cittadino che va incontro a una condanna per reati gravi ha immediatamente problemi sul luogo di lavoro se è un dipendente, di impatto sui propri affari e società se è un libero professionista. Il rappresentante pubblico, stando ai promotori del referendum, dovrebbe essere lasciato tranquillamente al suo posto.
Chiusa questa parentesi referendaria con la misera affluenza alle urne, resta la questione politica dell’uso di questo formidabile strumento di consultazione popolare. Che funzionano davvero quando valori o interessi sono generali, toccano tutti in modo diretto e non appartengono ad élite o spezzoni minoritari della società.
Ha funzionato quando il dibattito era sullo strumento del divorzio o dell’aborto. Ha funzionato quando c’è stata la battaglia politica sulla scala mobile con gli elettori che hanno affollato i seggi elettorali. Ha funzionato in tempi recenti quando agli italiani è stato posto il quesito su quale dovesse essere l’uso di un bene pubblico qual è l’acqua (il risultato è stato poi largamente boicottato dalle scelte della politica). Ha funzionato perfino quando nel 2016 si svolse il referendum con cui Matteo Renzi voleva cambiare la costituzione a colpi di “Sì” o “No”: in quell’occasione i cittadini dissero no a quel modo improprio di cambiare la legge fondamentale dello stato.
La responsabilità di quella che era una sconfitta annunciata è tutta nella strana e inusuale alleanza radicali leghisti con il supporto abbastanza evidente di Berlusconi e Renzi. Salvini, inoltre, ha messo a disposizione del progetto referendario le regioni a trazione leghista, salvo poi sganciarsi e rimanere silente quando ha capito che il progetto era destinato alla sconfitta.
Adesso che questo brutto capitolo è alle spalle, sarà interessante vedere come i protagonisti di questa storia si comporteranno in Parlamento quando le questioni giustizia, a cominciare dalle problematiche evidenziate dai quesiti referendari, saranno al centro della discussione politico legislativa.
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