Chi salirà sul colle del Quirinale dopo Sergio Mattarella? I giochi per la successione sono ormai aperti, manca poco più di un mese alla convocazione di Camera e Senato in seduta comune con l’aggiunta dei delegati regionali; in tutto mille e 8 voti da infilare segretamente nell’urna dalla quale poi uscirà il nome del nuovo Presidente della Repubblica.
Mosse e contro mosse, proposte e contro proposte vengono sussurrate o apertamente messe sul tavolo nelle trattative tra i partiti. Molti leader politici aspirano a ricoprire il ruolo del king maker capace di spostare su un solo nome la maggioranza dei votanti. Ma per adesso la partita Quirinale è aperta, non esiste un nome in grado di coagulare la maggioranza dei grandi elettori.
Silvio Berlusconi, l’inventore di Forza Italia, l’imprenditore diventato politico che è riuscito per due volte a essere a capo del governo italiano, ha lanciato la sua candidatura al Quirinale. Lo ha fatto attraverso i suoi sodali e i suoi giornali e le sue televisioni, che lo presentano come l’uomo in grado di essere il garante della Costituzione, l’arbitro del gioco politico per i prossimi 7 anni. Ma la sua storia non lo ha mai visto vestire questi panni e in più sarebbe ben strano che un condannato in via definitiva per frode fiscale (quattro anni) possa essere Presidente della Repubblica.

Berlusconi sa perfettamente di non aver alcuna chance durante le prime tre votazioni, dove sono necessari i due terzi dei voti (673 schede con il suo nome), ma sogna di aggregare 505 grandi elettori a partire dalla quarta votazione. Ipotizza di avere compattamente dalla sua parte il centro destra e ha bisogno di una cinquantina di voti in più. Così, come ha già fatto in altre occasioni quando era presidente del consiglio e rischiava di finire in minoranza, ha sguinzagliato i suoi fedelissimi con il compito di trovare a ogni costo i voti mancanti.
Il nome più speso per la successione a Mattarella è quello di Mario Draghi, oggi presidente del consiglio di un governo molto ampio (tutti i partiti di centro destra e di centro sinistra, con all’opposizione solo la destra di Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni). Draghi, per la sua storia e il suo curriculum, incontrerebbe davvero poche opposizioni. Ma è la situazione che si potrebbe creare a far nascere dubbi e interrogativi sul che cosa accadrebbe una volta eletto.
Mario Draghi, che non ha mai detto una sola parola sulla questione Quirinale, è stato scelto da Mattarella per guidare il governo ricevendo una missione precisa: portare fuori l’Italia dalla pandemia di Covid e gestire fino al 2023 gli oltre 190 miliardi di euro assegnati al nostro Paese dall’Unione europea per il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Salire al Quirinale dopo neanche un anno di governo creerebbe molti problemi. A cominciare dalla scelta del successore di Draghi, per finire alla tenuta del governo di fronte a partiti che si sono messi insieme solo perché era Draghi a guidarlo.

Nella partita politica che precede la convocazione del Parlamento in seduta comune, sono spuntati i nomi che già altre volte sono stati lanciati come possibili presidenti della Repubblica. A cominciare da Giuliano Amato, una vita in politica con i socialisti, ministro, presidente del consiglio e oggi numero 2 della Corte Costituzionale e possibile nuovo capo della Consulta. Sette anni fa il suo nome fu proposto dal centro destra, ma alla fine Matteo Renzi, a quel tempo alla testa del Partito democratico, riuscì a coagulare la maggioranza dei voti sul nome di Mattarella.

Oggi Amato è di nuovo tra i papabili e rientra nelle discussioni che Renzi, non più leader del Pd ma del più piccolo partito di Italia Viva, conduce in incontri a porte chiuse nella speranza di essere ancora una volta il direttore d’orchestra delle elezioni per scegliere il prossimo presidente. Dai conciliaboli degli ultimi giorni di incontri, è spuntato un altro possibile concorrente: Pierferdinando Casini, una vita con la Democrazia Cristiana e poi, dopo lo scioglimento di quel partito sempre in bilico tra destra e sinistra, ancora in Parlamento grazie al Pd che gli ha regalato un seggio a Bologna.

Ovviamente, in questa fase preliminare della partita per il Quirinale, la questione gender è subito venuta a galla, con l’affermazione che è ormai tempo che anche una donna possa aspirare alla prima carica della Repubblica. Il nome più gettonato è quello della giurista Marta Cartabia, oggi ministro della Giustizia. Cattolica, molto vicina a Comunione e Liberazione, è stata la prima e unica donna a presiedere la Corte Costituzionale. Quali chance abbia di arrivare al Quirinale è difficile dirlo, proprio perché nessun partito politico si è dichiarato ufficialmente a favore di un nome o dell’altro. Ma il gioco del candidato donna sicuramente conterà molto nella fase finale della partita per il Quirinale.

In questo momento indicare un candidato ufficiale, significa bruciarlo. Ma quel che pesa di più in questa fase è la confusione e la mancanza di prospettive in tutti i partiti politici presenti in Parlamento. Ad aumentare la confusione ci sono i problemi di ciascuno partito. Quanto sarà in grado il segretario del Pd Enrico Letta di guidare il suo partito in modo compatto, quando i gruppi parlamentari risentono ancora fortemente delle scelte fatte da Matteo Renzi nelle precedenti elezioni?

E quanto il capo dei 5 Stelle Giuseppe Conte sarà capace di arrivare al voto senza perdere per strada pezzi del Movimento, già disgregato da espulsioni e addii e in caduta verticale di consensi. Anche in Forza Italia, all’apparenza compatta per Berlusconi, potrebbero esserci defezioni al momento del voto. Così come nella Lega dove la frattura interna rischia di esplodere nel segreto dell’urna. A complicare un quadro già confuso il numero elevato di parlamentari che hanno cambiato casacca anche più di una volta in questa legislatura e che vogliono affermare i piccoli partiti di cui fanno parte come decisivi per la elezione del presidente della Repubblica.

ANSA/ UFFICIO STAMPA/ MARIACHIARA RICCIUTI
Ecco perché, per aggirare un problema che nessun leader sembra in grado di risolvere, è cresciuta l’idea di votare Sergio Mattarella per un secondo mandato. Semmai per un tempo limitato, fino alla conclusione del Piano di ripresa e di resilienza. Come già è stato fatto con chi ha preceduto Mattarella al Quirinale, il senatore a vita Giorgio Napolitano.
Un atto del genere sarebbe la dichiarazione aperta di incapacità a fare politica, a guidare un processo istituzionale che punta a scegliere un uomo di provato equilibrio ed esperienza nelle istituzioni, che si dimostri al di sopra delle parti. Questa idea è stata di fatto cancellata dallo stesso Mattarella, presidente sicuramente apprezzato dalla maggioranza degli italiano per come ha gestito la carica più alta del Paese. Nelle ultime settimane, più volte e sempre in modo elegante, ha fatto capire che il suo mandato finisce alla mezzanotte del 2 febbraio 2022. Neanche gli applausi e le grida “bis, bis” che hanno salutato il suo arrivo per la prima del teatro della Scala gli hanno fatto cambiare idea.