Se ci fosse un manuale di politica destrutturante, con buona probabilità, riporterebbe nell’incipit le frasi di una celebre canzone italiana di Franco Battiato ovvero “La stagione dell’amore”.
Ecco che il Movimento 5 Stelle rappresenta, oggi, l’empirico risultato di come si sprechi il tempo in pregiudizi e paure, frutto dell’inadattabilità del proprio elettorato costitutivo, rispetto ai tempi che corrono.
Ci son volute due esperienze di Governo, con a capo Giuseppe Conte, per giungere alla definitiva snaturalizzazione genetico-politica da quando ci fu il primo VaffaDay.
C’è che il centro di gravità permanente (sempre in onore al maestro Franco Battiato) intorno al quale il grillismo è nato e cresciuto, per poi insinuarsi nelle stanze di Palazzo Chigi, è crollato: mai con Salvini, mai con Bibbiano, mai più con Renzi, mai con i poteri forti delle Banche (Draghi) e, dulcis in fundo, mai con Berlusconi. Eppure, il M5S con tutti ha governato.
Questi i fatti.
In meno di tre anni da quel fatidico 4 marzo 2018 in cui ci fu l’exploit del Movimento 5 Stelle, risultato il più suffragato e consistente in Parlamento quanto a numero di seggi attribuiti (grazie proprio al Rosatellum), il grillismo si è letteralmente adagiato sugli allori dei Cesari di Roma.
Un processo irreversibile di quel che in psicologia (come spiega Andreoli) è detto “desiderio mimetico” partorito dall’invidia: in pratica, con uno sforzo politico-interpretativo, è ciò che accaduto proprio con l’avvento del Movimento 5 Stelle mediante cui una certa fetta di elettorato italiano ha dato gestazione al voto di protesta che, in realtà, di protesta nulla aveva e continua ad avere (in scienza il processo che muove il sentimento d’invidia è proprio essere o avere ciò che l’invidiato è o ha).
Un mix che fa tornare alla mente un po’ l’episodio raccontato da Shakespeare nel 1594 con il racconto teatrale dello stupro da parte del principe Tarquinio nei confronti della gentildonna romana Lucrezia (potremmo pensare al gioco della democrazia).
Lucrezia, bella e virtuosa, alla fine si uccide per lavare la macchia intollerabile alla sua castità di moglie ed il drammatico evento sarà l’occasione (sfruttata poi dal marito Collatino e dal nobile Giunio Bruto) per far insorgere il popolo di Roma cacciando, per sempre, i Tarquini dalla città.
Ora, al di là del passaggio storico-letterario, c’è un fatto politico indiscutibile: la verginità politica del M5S non è andata persa a causa di una presunta violenza che la democrazia (con le sue regole condivise o meno) avrebbe commesso verso un elettorato autoproclamatosi puritano.

La verginità politica nelle dinamiche del compromesso obbligatorio (per come dettato dal gioco democratico), specie se supportato da una Costituzione che solca la strada perennemente al sistema proporzionale, non esiste e non può esistere: la nostra Carta costituzionale, infatti, vuole che le forze politiche creino quanta più sinergia possibile per legiferare (e non, quindi, l’ascesa di estemporanei apriscatole farso-rivoluzionari).
Esiste, invece, come nella vita reale, uno stato di adolescenza nel quale l’essere acerbi non significa immaturi: idem per la proposta politica laddove dal movimentismo occorre passare, per forza di cose, al partitismo (parlamentare o meno che sia) sino a diventare adulti con l’assunzione di ben altre responsabilità ove mai, successivamente, al Governo.
Se non avviene quanto appena detto (al fine in una prospettiva di crescita) si resta, inevitabilmente, imprigionati nell’adultescenza: un prolungato stato biologico (e, nel caso in esame, politico) dell’adolescenza con tutti i suoi rancori, rimpianti e soprattutto pianti.
Questo passaggio, ad esempio, Luigi Di Maio, Giuseppe Conte e tutta l’area governista del Movimento 5 Stelle l’ha percepito indubbiamente e sta cercando di alzare, nonostante il momento storico-politico, un minimo l’asticella dell’interazione sul piano più alto possibile: tendere all’Unità nazionale, in un momento come quello che stiamo vivendo, è evoluzione dell’Uomo politico che, finalmente, si spoglia del sentimento di invidia e/o di intenti nichilistici verso l’avversario.
Ragionamento che non vale, certamente, per quelle forze politiche che da sempre hanno una identità ed una collocazione ben definita nel quadro politico-parlamentare (come ad esempio Fratelli d’Italia, Leu, ecc.).
È qui allora che il M5S può iniziare ad acquisire una identità se vuole sopravvivere al difficile ruolo che, inconsciamente, si è auto attribuito: può ancora evitare di sbattere contro il famoso iceberg come il Titanic.
Deve, tuttavia, abbandonare definitivamente il ruolo di movimentismo anti-partiti poiché la fase psicopatologica tipica che caratterizza l’azione di chi nutre invidia da protesta “pura e semplice” non può più reggere: è al terzo Governo ormai. La protesta costruttiva, ad esempio, è positiva nella misura in cui pone alla base l’ammirazione per l’altrui posizione pur non sposandola inizialmente.
La scissione, quindi, è inevitabile per il M5S se posta così.
Bersani lo dice da sempre: prima o poi, anche se al centro, si deve scegliere con chi pensare il Paese del futuro. Per giungere alla definizione di una identità, su questa strada tortuosa, è senz’altro difficile: nel movimentismo anti-partiti l’identità in sé stessa è debole o del tutto mancante.
Un po’ come quel racconto di Lucrezia, abusata dal Principe Tarquinio (che di principesco, quindi, nulla può avere e neanche di umano), che alla fine si suicida con un pugnale. Ecco, la morte di Lucrezia descrive come la mancanza di amore (infinito e universale) può condurre drammaticamente alla morte (reale e terrena).
Al Movimento 5 Stelle, così come a tutti i suoi elettori ancora rigidi, impauriti e diffidenti, occorre far percepire l’amore che solo la democrazia può dare.
È uno sforzo richiesto a tutto il Parlamento: maggioranza ed opposizioni.
E si sa che l’amore non è mai come lo si immagina, ma è pur sempre l’unico antidoto reale che la politica può mettere in campo per non lasciare indietro nessuno.
Questo dipende, chiaramente, da che tipo di Uomini ci sono e da come quest’ultimi hanno la capacità costante, dinamica ed adattabile alle necessità del Paese.
In pratica essere nuovi (non trasformisti). Ecco: l’Uomo deve tendere all’essere nuovo (come spiega, ultimamente, Tiziana Ferrario) senza però rinunciare alle sue idee purché non neghi il valore dell’autocontrollo; quest’ultimo essenziale come il pane anche in politica.
L’autocontrollo è tutto poiché esso si traduce in maturazione; di questa, d’altronde, per stare al Governo di un Paese come l’Italia ne occorre davvero tanta. Tanta quanta la volontà di frenare l’istinto suicida.
C’è sempre una soluzione. Anche nella vita di tutti i giorni. Come nella vita degli elettori. A futura memoria.