Il dibattito sul “fine vita” si è riacceso a tal punto che anche il Vaticano si è esposto: Mons. Paglia, presidente della Pontificia Accademia per la Vita, ha affermato che “oggi una legge sul fine vita può rivelarsi necessaria per evitare la burocratizzazione della morte e per prevenire soprusi e violenze anche inconsapevoli”.
Ebbene, la questione non è solo legata ad evitare la burocratizzazione (che comunque rimane un grosso problema procedurale), ma involge un piano etico ed un altro giuridico.
La domanda di fondo è: “ho diritto di scegliere la mia morte?”
A questa domanda la risposta per gli americani risiederebbe nel principio di autodeterminazione che fa eco ad una decisione storica nel 1990 riguardo al c.d. right to refuse medical treatment ovverosia diritto al rifiuto di trattamenti terapeutici. In pratica, la decisione nella causa Cruzan v. Director, Missouri Department of Health, 497 US 261 1990 stabilisce (essendo un sistema common law basato sul precedente giudiziario) che il diritto al rifiuto dei trattamenti sanitari, anche detto life-saving o life-sustaining, è ammesso dall’ordinamento poiché ricade all’interno delle tutele offerte dalla Costituzione americana.
Quindi in USA, legislativamente parlando, il suicidio medicalmente assistito è disciplinato, ma a macchia di leopardo. È legale solo in Oregon dal 1997; Washington dal 2009; in Vermont dal 2013; in California e Colorado dal 2016; in Columbia dal 2017; in Hawai’i, Maine e New Jersey dal 2019; in Montana è ammesso solo in via giurisprudenziale (causa Baxter v. Montana del 2009); in New Mexico dal 2021.
C’è da chiarire un aspetto: fine vita non equivale ad eutanasia ed a suicidio medicalmente assistito. Sono cose molto diverse tra loro per quanto possono sembrare simili trattando la stessa materia: il come morire.
Il termine “diritto a porre fine”, inoltre, è propriamente legato alla laicità dello Stato nel senso che chi crede nella vita come dono di Dio ha giustamente un altro approccio. Ma essere credenti non può limitare l’autodeterminazione propria riguardo alla morte: se io Stato non legifero l’accesso agli strumenti che garantiscano il diritto, finisco per generare il suicidio occulto, nascosto, maldestro, ecc.
È questo il sottotraccia che forse emerge dalle parole vaticane?
Non è tutto decifrabile, ma di certo c’è che in Italia, rispetto agli Stati Uniti d’America, si pone un problema pratico oltre quello etico.
Decidere di non legiferare espone il Paese ad un incriccamento giuridico visto quanto afferma la Corte costituzionale (l’ultima decisione sul tema è la n. 135/2024) e l’art. 117 della Costituzione stessa che attribuisce alle Regioni il potere legislativo sul tema della salute.
E qui sorge un’altra domanda: porre fine a sé stessi rientra nel novero della disciplina sulla salute dell’individuo oppure no?
Certamente legiferare la morte non era nelle corde dei Padri e delle Madri Costituenti, ma occorre prendere atto che sul tema del come porre fine alla propria vita accade già che la realtà diventa preponderante rispetto all’imbarazzo politico di non legiferare.
Il fatto che la Costituzione non parli di autodeterminazione e che nei programmi elettorali non lo si preveda, non significa esimersi dall’intervenire per evitare il caos.
E questo è un dovere etico di ogni legislatore a prescindere dal proprio credo.