Il multiculturalismo “non è chi è l’America”. È quanto ha dichiarato il Segretario di Stato, Mike Pompeo, nel suo ultimo giorno come massimo diplomatico degli Stati Uniti, e solo un giorno dopo il Martin Luther King Day. “Un curioso messaggio” lo definisce il New York Times, considerato che i suoi antenati erano immigrati italiani.
In un post su twitter ha scritto: “Il risveglio, il multiculturalismo, tutti gli -ismi – non sono chi è l’America. Distorcono la nostra gloriosa fondazione e l’essenza di questo Paese. I nostri nemici alimentano queste divisioni perché sanno che ci rendono più deboli”.
Un’affermazione alquanto discutibile in un momento in cui la società americana è estremamente polarizzata. Ma non c’è da stupirsi. Pompeo ha mantenuto una certa coerenza ideologica con Trump per tutto il mandato deturpato da azioni e retoriche razziste e antidemocratiche. Non ha mai accusato esplicitamente il presidente di soffiare sul fuoco e di alimentare pericolose divisioni. Ha sì, denunciato l’attacco al Campidoglio del 6 gennaio con una serie di tweet, ma non ha riconosciuto il legame tra le azioni violente dei manifestanti e l’incitamento del presidente Trump. E sebbene abbia definito “ripugnante” l’uccisione da parte della polizia dell’afroamericano George Floyd, è rimasto per gran parte del tempo in silenzio, soprattutto sullo sfondo delle proteste di Black Lives Matter.
Per il quasi ormai ex Segretario di Stato il “politicamente corretto” punta all’autoritarismo, “mascherato come giustizia morale”.
Alla vigilia dell’insediamento del democratico Joe Biden alla Casa Bianca, e soprattutto della prima vicepresidente donna di colore, Kamala Harris, il messaggio di Mike Pompeo non è certamente scontato. Gli strateghi politici credono che le osservazioni di Pompeo potrebbero essere rivolte ai conservatori politici nella speranza di conquistarli nelle future campagne elettorali. “Si sta chiaramente posizionando come un erede della base Trump. Questo è un messaggio che va esattamente di pari passo con le cose che ha detto il presidente” ha commentato lo stratega del GOP, Douglas Heye.

Il tweet ha fatto infuriare i diplomatici americani all’estero e negli Stati Uniti che lo hanno descritto come un insulto finale da parte dell’amministrazione uscente. L’affermazione è certamente incompatibile con quanto invece sono davvero gli Stati Uniti. Il multiculturalismo è infatti uno dei maggiori punti di forza del Paese, e il “sogno americano” è parte fondamentale dell’immagine degli USA. Compito dei leader è rappresentarlo e non rifiutarlo.
A rivoluzionare però le politiche anti-immigrazione del presidente Trump, ci penserà Joe Biden, che ha in programma di svelare un ampio disegno di legge sull’immigrazione, per dare a 11 milioni di persone che vivono negli Stati Uniti senza documenti la possibilità di diventare cittadini americani.