A otto giorni dal fatidico 3 di Novembre, 60 milioni di americani hanno già fatto sentire la propria voce. Nel 2016, ‘solo’ 58 milioni decisero di esprimersi prima dell’Election Day. Quattro anni dopo, complice l’emergenza Covid e la valanga di voti per posta, le proiezioni indicano che più di 80 milioni di americani potrebbero aver già votato la mattina del 3 di Novembre. Gli esperti prevedono un totale di 150 milioni di voti al termine di questa tornata elettorale. Se questo dato venisse confermato, l’elezione Presidenziale del 2020 segnerebbe il turnout più elevato nella storia della politica statunitense.

Ad oggi, il 51% del voto anticipato proviene da elettori registrati con il partito democratico, mentre solo il 25% proviene da elettori registrati con il partito repubblicano. Il rimanente 24% è invece registrato come indipendente. Se si considera che Joe Biden stacca Donald Trump di almeno 4 punti con gli elettori indipendenti, i dati raccolti finora non possono che far sorridere l’ex vice presidente. Ancor di più se si prendono in considerazione gli stati dalla quale provengono la maggior parte di questi 60 milioni di voti. Primo su tutti il Texas, che con 7 milioni di schede elettorali ha già superato l’80% dei voti totali ricevuti nell’elezione presidenziale del 2016. Una volta considerato come uno stato inespugnabile dal partito democratico, il Lone Star State è finalmente in gioco grazie alla crescita esponenziale di città metropolitane come Austin e Houston. Nell’ultima decade lo stato ha aggiunto 4 milioni di persone, con comunità ispaniche e asiatiche in forte crescita. Un successo di Biden in questo red state per definizione garantirebbe ai democratici la Casa Bianca.

Ma il Texas non è l’unico stato a mostrare una crescita esponenziale del voto anticipato. In Pennsylvania – il ‘tipping point’ state che ha regalato a Trump la Casa Bianca nel 2016 – il voto anticipato è in crescita del 508%. 1.4 milioni di schede elettorali sono già state inviate, di cui il 70% da elettori democratici, mentre solo il 20% da elettori repubblicani. Uno scenario simile lo si trova nel Midwest in Minnesota e Wisconsin, dove l’incremento del voto anticipato rispetto all’elezione del 2016 è rispettivamente del 174% e del 162%. Ma tutti gli occhi sono puntati sullo swing state decisivo della Florida: se Joe Biden riuscisse a strapparlo ai Repubblicani, Trump avrebbe meno dell’1% di probabilità di vincere la Casa Bianca. I dati che provengono dal Sunshine State non sono simili a quelli del Pennsylvania o del Midwest, anzi, al momento si registrano meno votazioni anticipate rispetto a quattro anni fa (mancano però ancora 8 giorni al 3 Novembre).

Ma il dato più significativo è che il gap tra elettori democratici e repubblicani si riduce notevolmente rispetto agli altri swing states. I democratici sono in testa con il 43% delle schede inviate ma i repubblicani sono poco distanti con il 36%. Inoltre, se non si considerano i voti per posta ma solo i voti “in persona”, gli elettori repubblicani che si sono già recati ai seggi – Donald Trump incluso – sono il 46% mentre i democratici sono il 35%. Prendendo per scontato che più repubblicani si recheranno ai seggi il 3 Novembre, si potrebbe assistere ad una vittoria sul filo di lana per uno dei due candidati. Nel 2000, la Florida fu terreno di scontro tra democratici e repubblicani, con la Corte Suprema che dovette intervenire per consegnare la vittoria a George Bush dopo un riconteggio infinito che lo vide prevalere su Al Gore con un margine dello 0,009%. Ora, con una Corte Suprema guidata dai Repubblicani – la conferma di Amy Coney Barrett è attesa in giornata – e con dei dati del genere, uno scenario simile non appare del tutto surreale.