Forse la grandezza, la “bellezza”, i limiti anche (ma al tempo stesso la “forza”), degli Stati Uniti d’America sono rappresentate da due immagini. La prima: la fiera, altera, giustamente orgogliosa Alexandria Ocasio-Cortez, animata dal calmo e implacabile furore dei giusti: è la più giovane deputata e bastona il collega Ted Yoho, che l’ha insultata con un volgare epiteto sessuale. Lo marchia, ricordandogli che non può rivolgersi a lei come si è rivolto, quello sguaiato “fucking bitch” che ha biascicato alle spalle; e non è disposta a passarci sopra, far finta di nulla.
L’altra immagine è quella dei due coniugi, Mark e Patricia McCloskey: lei con una pistola, lui con un fucile M16, nel giardino di casa nel ricco quartiere Central West End di Saint Louis; sfilano i manifestanti di Black Lives Matter e loro due si fanno immortalare, grottesca e patetica riproduzione in negativo di quell’American Gothic di Grant Wood. Coppia accolta con tutti gli onori alla convention repubblicana. I McCloskey sono preda di un vero e proprio delirio:
“Questi radicali non si accontentano di marciare per le strade, vogliono camminare nelle sale del congresso, vogliono prendere il sopravvento, vogliono il potere. Questo è il partito di Joe Biden, queste sono le persone che si occuperanno del tuo futuro e del futuro dei tuoi figli. Non sono soddisfatti di diffondere il caos e la violenza nelle nostre comunità. Quindi non commettere errori, non importa dove vivi, la tua famiglia non sarà al sicuro nell’America dei democratici radicali…”.
Altro che il melenso discorsetto di Melania Trump; il GOP si è trumpizzato e il virus ormai è penetrato in profondità.
Volendo, la “lettura” di queste istantanee la si può accompagnare con dei sottofondi: il “vecchio”, sempre fascinoso “The Sound of Silence” di Simon & Garfunkel, o “Born to run” di Bruce Springsteen. E per contrasto, alternare questi “classici” con la “Cavalcata delle Valchirie” di Richard Wagner. Ricordate? La utilizza Francis Ford Coppola nel suo “Apocalipse Now”, per “accompagnare” gli attacchi ai villaggi vietnamiti del tenente colonnello William “Bill” Kilgore, comandante del primo squadrone elicotteri del 9 Reggimento della Cavalleria Aerea USA…
Troppo fantasticare? Chissà. Quelle di novembre, sono elezioni destinate ad essere e fare storia, quale che sia il suo esito.
Elezioni senza vere “convenzioni-spettacolo”: ologrammi causa Covid-19. Per la prima volta negli Stati Uniti accade che in corsa per la Casa Bianca ci sia, accanto a Biden una donna di colore nelle cui vene scorre sangue di varie etnie. La senatrice Kamala Harris non è solo una “tosta” come certifica il suo curriculum. Può credibilmente, fra otto anni correrà per la presidenza, se a novembre vincerà Biden. Già questa è una rivoluzione. Preceduta da un’altra “rivoluzione”: già ora, per la prima volta nella storia della politica americana essere donna è un assett, non uno svantaggio. Lo ha ben capito lo staff di Trump, che mette in circolo la sgangherata diceria di una Harris “non americana”. Peccato che lo sia come e forse più dello stesso Trump, le cui origini teutoniche non lo rendono più degno di quelle di Harris, madre indiana e padre giamaicano. Lo Ius soli, negli Stati Uniti è realtà consolidata e non discussa.
La presenza e l’influenza di donne è un fatto. Non garantisce intelligenza, competenza, efficienza; tuttavia l’altra metà del cielo è costituita da personaggi come le senatrici Elisabeth Warren e Kirsten Gillbrand, o dalla deputata Tulsi Gabbard.
I Millenian, la cui “indifferenza” nelle passate elezioni di fatto è stata la carta vincente di Trump, è augurabile abbiano appreso la lezione. Fa ben sperare in questo senso l’impegno dell’anziano, ma non domo Bernie Sanders. Un altro segno di una mutazione che non è solo di superficie è che nessuno più ha da ridire sul fatto che giochino un ruolo non di secondo piano personaggi come l’ex sindaco di South Bend Peter “Pete” Buttigieg; o il senatore del New Jersey Cory Booker. Ruoli importanti lo giocheranno anche la senatrice Amy Klobuchar; e un reduce come Tammy Duckworth (e non c’è McCloskey al mondo che gli possa rimproverare alcunché).

Tuttavia, sarebbe stolto prendere sottogamba un paio di “segnali”. L’ex presidente Barack Obama non si è limitato a un endorsment a favore di Biden, questo era scontato. Lo ha fatto avendo cura di farsi riprendere con sullo sfondo la Costituzione americana; visivo allarme dei pericoli che corre con la riconferma di Trump. Non solo: ha deposto il tradizionale gentlemen agreement dei presidenti emeriti, e ha sferrato un pesantissimo e diretto attacco al presidente in carica.
Ancora: il monito di Michelle Obama, nel suo appassionato discorso alla convention democratica. Ha scandito: “Dobbiamo andare a votare presto, di persona, se possiamo. Altrimenti dobbiamo richiedere subito il voto per posta, stanotte stessa, rispedirlo immediatamente e seguirlo per essere sicuro che sia stato ricevuto. E poi assicuratevi che i vostri amici e le famiglie facciano lo stesso…”. Rivolta a chi andrà al seggio: “Dobbiamo indossare le scarpe più comode, metterci le mascherine, preparare una cena al sacco e forse dobbiamo anche portarci una colazione, perché dobbiamo essere disposti a stare in fila anche tutta la notte se necessario”.
L’annuncio di una battaglia, che sarà dura, senza esclusione di colpi, sopra e sotto la cintura. Dall’altra parte, Trump e i suoi faranno (e già fanno) di tutto. Trump mette già le mani avanti: “Saranno le elezioni più corrotte della storia… Il voto postale è la più grande minaccia di frode elettorale”, dichiara a “Fox News”. Sa, evidentemente si cosa parla; è materia in cui è esperto.
Si prenda il voto postale. Il 15 giugno scorso ha preso servizio il nuovo Postmaster dello US Postal: Louis DeJoy, immobiliarista della North Carolina, grande finanziatore di Trump: 650mila dollari al Trump Victory Fund; oltre un milione alla convention repubblicana. Per la prima volta in vent’anni la carica di direttore generale delle Poste non è affidata a un “interno”, un tecnico. DeJoy è un trumpiano di ferro; la moglie Aldona Wos è stata nominata da Trump ambasciatore in Canada. Per chi sarà una minaccia il voto postale?
DeJoy ha subito annunciato una riforma del servizio postale: blocco del pagamento degli straordinari ai postini, nuove regole per la consegna; stop a 671 macchine per lo smistamento della posta, rimozione di 22 manager. Lo US Postal ha già comunicato a tutti gli Stati dell’Unione che non riuscirà a distribuire le schede elettorali in meno di quindici giorni. Di fronte alla decisa opposizione dei democratici, DeJoy ha poi annunciato che la riforma sarà varata dopo le elezioni; pressato dalle manifestazioni di protesta (anche davanti alla sua abitazione a Greensboro), si è fatto cauto: 21 Stati hanno presentato ricorsi contro l’annunciata riforma: le nuove modalità operative del sistema sono state decise senza l’approvazione della Postal Regulatory Commission. Trump aggira l’ostacolo bloccando l’accordo sul nuovo pacchetto di aiuti federali per il Covid con i fondi per le Poste, teme che il voto per corrispondenza aiuti i democratici. Impudente, parla di “elezioni corrotte, di frode elettorale…”.

La chiassosa e volgare, sguaiata MAGA (“Make America, Great Again”) di marca trumpiana, comunque gioca in difesa, in evidente affanno. Sarebbe comunque un errore ritenere che sia vinta; non mancherà di dare molto filo da torcere, non rinuncerà a nulla, pur di non soccombere; dalla forza della disperazione possono emergere inaspettate, sorprendenti risorse di resistenza. Biden ed Harris potranno dire di aver vinto solo quando avranno davvero vinto, non un minuto prima.
Tuttavia, il tempo lavora per le tante Kamala Harris che inesorabilmente si stanno affacciando sulla scena politica e sempre più sono destinate ad occupare i ruoli delle protagoniste. Nessun Donald Trump può fermarle. E’ un processo che può solo essere ritardato, ma non si può impedire che si compia. Il MAGA di Trump, e di Mark e Patricia McCloskey un giorno, speriamo non troppo lontano, sarà un patetico, sfocato, ricordo.