Sembra incredibile, ma solo cento anni fa negli Stati Uniti le donne non potevano votare, perché non erano ritenute in grado di prendere una decisione politica. Quando finalmente nell’agosto del 1920, dopo grandi battaglie civili delle suffragette americane, venne concesso alle donne quel diritto a partecipare alla vita del proprio paese, solo le bianche poterono andare alle urne.

Le donne nere e quelle dalle varie sfumature del colore della loro pelle dovettero aspettare altri decenni prima di poter esercitare il loro diritto al voto. Il 19 esimo emendamento non venne infatti ratificato da tutti gli stati contemporaneamente, molta resistenza la opposero soprattutto i parlamenti del sud, dove per abolire la schiavitù degli afroamericani era stata necessaria una guerra.
Il Mississippi non ratificò il diciannovesimo emendamento fino al 1984, sessantaquattro anni dopo l’entrata in vigore della legge a livello nazionale. Non a caso nell’unica statua dedicata a delle donne che sarà inaugurata il 26 agosto a Central Park sono rappresentate tre suffragette, le due bianche Susan Antony e Elizabeth Cady Stanton e l’ex schiava nera Sojurner Truth.
Ecco perché la presenza di Kamala Harris nel ticket presidenziale assume una rilevanza ancora più significativa se si guarda a quella che è stata la battaglia per i diritti civili delle donne di colore. La Harris è la prima donna afroamericana, mezza indiana e mezza asiatica candidata alla vicepresidenza degli Stati Uniti.

Un grazie va detto a Hillary Clinton che questa sera parlerà alla Convention democratica di Milwaukee e che ha aperto un’autostrada per le donne. Dopo che Hillary ha provato senza riuscirci a forzare le porte di quel club per soli uomini che è lo Studio Ovale della Casa Bianca, in tante si sono fatte coraggio e, alla ricerca di una rivincita, nel 2018 si sono candidate riuscendo a farsi eleggere numerose al Congresso, nei parlamenti statali e sulle poltrone di sindaco. Never give up è stato il motto di Hillary. Mai rinunciare. Nei 40 anni di vita politica in prima fila è passata attraverso tante traversie, ma non si è mai fermata e non ha mai gettato la spugna. “Non è importante come si cade, ma come ci si rialza” ha scritto nel suo ultimo libro ricordando una frase che le diceva sempre la madre.
Hillary non è la figura politica più amata degli Stati Uniti, ma ha saputo indicare la strada a tante donne, alcune persino inconsapevoli di avere subito la sua influenza, come Alexandria Ocasio Cortez. Sostenitrice di Bernie Sanders non ha mai amato l’ex first lady, l’ex senatrice, l’ex segretario di stato e l’ex candidata alla Casa Bianca. Non l’ha votata nel 2016 perché pensava che quel posto spettasse a Bernie Sanders e ha contribuito all’elezione del suo nemico Donald Trump. Intervenendo alla Convention nel suo minuto e 40 secondi che le era stato concesso questa volta non ha mai citato Joe Biden. Avrebbe potuto farlo, e non l’ha fatto, spiegando che ha seguito la procedura, la fredda procedura.
Speriamo che Alexandria Ocasio Cortez e i suoi amici capiscano che questa volta se i democratici vogliono vincere non possono fare errori.
La politica è fatta di compromessi, la democrazia è una continua ricerca di compromessi. L’ala più radicale democratica dovrà essere convincente questa volta con quell’ elettorato di giovani indispensabile per scalzare Trump dalla Casa Bianca. Serve che vadano a votare in tanti, altrimenti Alexandria, i suoi amici e tutti noi avremo altri 4 anni di Trump.
P.S. In Italia, tanto per ricordare quanto è stato ancora più faticoso il cammino delle donne italiane, il diritto al voto è stato concesso solo nel 1945 con la caduta del fascismo, la fine della Seconda guerra mondiale e la nascita della Repubblica. Se non ci fosse stato quel diritto, oggi le donne non siederebbero in Parlamento e non avrebbero accesso alle istituzioni. Mai una donna italiana è diventata Presidente del Consiglio o Presidente della Repubblica.
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