Sei stati, tra cui Pennsylvania, Indiana, e Connecticun, hanno spostato le proprie primarie al 2 Giugno, data che diventa una sorta di “mini Super Tuesday” visto che a questi sei stati ne vanno aggiunti altri cinque originariamente programmati per quel giorno: New Jersey, South Dakota, New Mexico, Montana, e District of Columbia. Altri quattro stati – West Virginia, Ohio, Louisiana, e Kentucky – hanno addirittura spostato le proprie primarie oltre la data limite del 9 Giugno, inizialmente fissata dal Comitato Nazionale Democratico. Urge ricordare che secondo le regole del Comitato Nazionale, gli stati che non rispettano la data limite del 9 Giugno saranno penalizzati con la riduzione del 50% dei propri delegati. Non è ancora chiaro come il Comitato Nazionale si comporterà di fronte a questa situazione.
Ci sono poi l’Alaska, il Wyoming, e le Hawaii, che viste le loro dimensioni hanno invece optato per un voto per posta con scadenze prolungate. Gli unici stati che per ora resistono a non posticipare la data delle loro primarie sono lo stato del Wisconsin, programmato per dopodomani; gli stati di Guam e Kansas, programmati per il 2 Maggio; lo stato del Nebraska, programmato per il 12 Maggio; e lo stato dell’Oregon programmato per il 19 Maggio.
Con tutti questi cambiamenti, il Comitato Nazionale Democratico è stato costretto a spostare il convegno di Milwaukee, che incoronerà lo sfidante di Donald Trump, dalla settimana del 13 Luglio a quella del 17 Agosto. Joe Biden, la probabile nomination del partito Democratico, ci ha tenuto a precisare che la salute viene prima di ogni cosa, anche se per lui sarebbe meglio tenere il convegno il prima possibile. Biden deve dimostrare al paese di possedere il sostegno unanime del partito Democratico, e non c’è niente di meglio che un convegno lungo quattro giorni con migliaia di delegati in festa per certificarlo. La grande preoccupazione di Biden è che la pandemia del coronavirus possa forzare il Comitato Nazionale a trasferire l’attesissimo convegno su una piattaforma online senza la presenza fisica dei delegati. Un’evento del genere passerebbe in sordina e non attrarrebbe certamente l’attenzione mediatica voluta da Joe. Onde evitare un convegno virtuale, se l’emergenza coronavirus dovesse persistere, il convegno potrebbe essere rimandato a dopo l’estate, a Settembre. Questa opzione è data come altamente improbabile dato che avrebbe dei riscontri economici negativi per la campagna elettorale della nomination democratica. Infatti, mentre i soldi delle primarie possono essere utilizzati fino all’elezione presidenziale, i soldi dell’elezione presidenziale non possono essere utilizzati fino a che non si conclude il convegno. Sarebbe un enorme svantaggio per la nomination democratica non poter attingere ai fondi dell’elezione presidenziale prima dell’autunno.
Tutti questi dubbi portano alla domanda più importante di tutte: si riuscirà a portare a termine l’elezione presidenziale del 2020? Una legge federale del 1845 impone che l’elezione avvenga il Martedì dopo il primo Lunedì di Novembre. Il Presidente non ha il potere esecutivo per cambiare questa legge, che può essere cambiata solo se una maggioranza del congresso è favorevole. Attualmente il congresso è controllato dai democratici che non vedono l’ora di liberarsi di Donald, quindi è assai improbabile che si trovi una maggioranza. Ma anche se per qualche miracolo si trovasse una maggioranza disposta a spostare la data dell’elezione, il congresso dovrebbe poi cambiare il ventesimo emendamento della costituzione americana che dichiara che il nuovo congresso deve giurare il 3 Gennaio e il Presidente deve iniziare il suo mandato il 20 Gennaio. Cambiare un emendamento della costituzione americana richiede due terzi della camera e del senato, e tre quarti di tutti gli stati. In tutta la storia degli Stati Uniti ci sono stati solo 27 emendamenti alla costituzione, con l’ultimo datato 1992.
Ma un’altro fattore da tenere in considerazione è se a Trump convenga realmente provare a rimandare l’elezione. Dall’inizio dell’emergenza coronavirus negli Stati Uniti, il tasso d’approvazione di Donald è salito dal 42% a quasi il 46%, raggiungendo il picco più alto dal giorno dell’inaugurazione. Trump sta godendo di un fenomeno ben noto nella politica americana, il cosiddetto “rally around the flag effect”, che fa si che nei momenti di crisi il paese si riunisca attorno al proprio presidente. Accadde lo stesso a George W. Bush dopo l’attentato alle torri gemelle nel 2001, quando il suo tasso d’approvazione passò dal 51% al 90%. Ovviamente questo tasso d’approvazione è altamente volatile e dipenderà molto da quanti morti finiranno per esserci negli Stati Uniti a causa coronavirus. I prossimi mesi saranno decisivi nel determinare con che spinta Trump andrà a giocarsi la sua rielezione. Fatto sta che al momento, nonostante la drammaticità degli eventi, Trump ha il vento in poppa e non ha alcun motivo per provare a rimandare l’elezione.
Tutti questi fattori rendono altamente improbabile un rinvio dell’elezione presidenziale. Più probabile invece che si trovi un modo per evitare il più possibile persone in fila ai seggi. Il voto per posta è un’opzione che sta prendendo quota, anche se l’inefficienza del servizio postale Americano non fa ben sperare. Inoltre, con il voto per posta, c’è il rischio concreto di brogli elettorali, un’onda che Trump non avrà problemi a cavalcare nel caso dovesse perdere. L’unica certezza è che il coronavirus ha messo in balia il normale compimento della democrazia persino in un paese con delle istituzioni solide come gli Stati Uniti.