Da ormai una settimana non si parla d’altro in Italia: la Lega avrebbe ricevuto fondi Russi per finanziare la propria campagna elettorale in vista delle Europee. Una pratica chiaramente vietata dall’articolo 7 comma 2 della Costituzione Italiana, che proibisce ai partiti di ricevere, “contributi provenienti da Governi o enti pubblici di Stati esteri, da persone giuridiche aventi sede in Stato estero”. Nonostante questa presunta violazione della legge fondamentale dello Stato Italiano, la Lega continua a crescere nei sondaggi; anzi, pare quasi che più Salvini venga attaccato e insultato, più quest’ultimo sale negli indici di gradimento. In un recente sondaggio condotto da SWG per La 7, la Lega tocca il 37,7% di preferenze, crescendo dello 0,2% rispetto a due settimane fa, prima che scoppiasse lo scandalo del Russia Gate.
Ma questo fenomeno non è osservabile solo in Italia; anche in altri paesi Europei i leader di movimenti populisti sono finiti sotto bersaglio per scandali apparentemente devastanti, e ne sono usciti più puliti di prima. Il primo caso che viene in mente è quello del fondatore del più grande partito politico in Polonia: Diritto e Giustizia di Jarosław Kaczynski. Quest’ultimo ha provato a costruire due nuove torri extra lusso nel cuore di Varsavia, utilizzando il suo potere politico, finanziando il tutto con un prestito di 300 milioni dalla Banca di Stato. Nelle intercettazioni si sente Kaczynski ammettere che, se il suo partito non vincerà le elezioni, le torri non potranno essere costruite. Insomma, un utilizzo della politica per interessi personali, una pratica che dovrebbe essere ben nota a noi Italiani.
Ma nonostante lo scandalo, Diritto e Giustizia ha ottenuto il 45,5% alle ultime elezioni Europee, dimostrando dunque di non essere minimamente colpito dagli scandali che assalgono il suo fondatore.
L’esempio più eclatante rimane comunque, senza ombra di dubbio, quello del Presidente degli Stati Uniti d’America. Donald Trump è bersagliato giornalmente da nuovi scandali che riguardano la sua vita pubblica e privata, ma lui non viene minimamente toccato da tutto ciò, anzi, siede ancora stabilmente nel Oval Office e approda da favorito all’elezione Presidenziale del 2020. Durante la campagna elettorale del 2016 è addirittura uscito un audio in cui Trump parlava volgarmente delle donne, una vicenda che avrebbe distrutto qualsiasi altro candidato in corsa per la Casa Bianca, ma non Donald, il quale ha rapidamente declassato il tutto con tre semplici parole: “locker room talk”, ed è andato a conquistarsi la Presidenza attaccando Bill Clinton per uno scandalo uscito fuori 20 anni prima del suo.
Ma come fanno questi leader populisti a sopravvivere a qualsiasi scandalo, e nel mentre rafforzare la propria posizione politica e il proprio consenso elettorale?
Bisogna innanzitutto partire dal concetto del populismo che, come spiega il politologo Cas Mudde, non è altro che l’idea del “io contro voi”, del “popolo contro le élite”. Viene dunque logico pensare che un elettore di un leader populista giustifichi tutte le azioni di quest’ultimo con l’idea che ogni azione venga compiuta per difendere il popolo sovrano contro l’élite massonica. Seguendo questo ragionamento, gli scandali dei leader populisti diventano non solo difendibili e giustificabili, visto che agiscono per il popolo, ma anche spesso declassati come “fake news”: notizie false fatte uscire apposta dai poteri forti per fare del male all’unico politico che combatte realmente per la difesa del suo popolo. Questo rende la vita facile al politico populista che non deve più giustificare le proprie azioni o creare disguidi per allontanarsi dagli scandali. È emblematica da questo punto di vista la frase pronunciata da Trump durante la campagna elettorale nel 2016: “potrei andare sulla Fifth, sparare a qualcuno, e comunque vincere le elezioni”.
Ma un’altro punto che gioca a favore dell’immunità dei leader populisti è l’eccesso di informazione che ci viene propinata tutti i giorni dai vari social media e risorse digital. Questo eccesso di informazione, purtroppo, va di pari passo con il declino della lettura dei giornali e l’affidamento sempre più costante a notizie flash su Twitter o post – sempre più spesso dirette video – provenienti dalle pagine social dei politici. Questo fa si che non ci sia più un canone interpretativo giornalistico per analizzare le notizie, ma il tutto viene visto attraverso gli occhi del politico, che ovviamente è di parte e interpreterà la notizia con il solo scopo di rafforzare la propria immagine. La conseguenza di tutto ciò sarà la diffusione, sempre più aggressiva, dei cosiddetti “alternative facts”, i fatti alternativi: interpretazioni politiche che vengono fatte passare come fatti dai vari politici. Il paradosso è che questi politici sono i primi ad accusare le testate giornalistiche di produrre fake news mentre in realtà quelli che le producono sono loro con le loro interpretazioni delle notizie. Un esempio di tutto ciò c’è stato il giorno dopo l’inaugurazione di Trump da Presidente degli Stati Uniti, quando Kellyanne Conway – un assistente di Donald – è stata attaccata da un giornalista che accusava Trump di aver mentito sul reale numero di presenze alla sua inaugurazione, minori rispetto a quella di Obama. Ma piuttosto che ammettere la realtà, l’assistente ha semplicemente risposto che Trump stava presentando dei fatti alternativi, validi quanto, se non di più, dei fatti citati dal giornalista.
Siamo all’assurdo. Siamo al totale abbattimento della verità. Il filosofo Friedrich Nietzsche l’aveva previsto più di un secolo fa con una frase che è adatta ai giorni nostri: “non esistono fatti, ma solo interpretazioni”. Ed è naturale che attraverso le interpretazioni non obiettive di questi politici, anche uno scandalo può essere trasformato in un’azione di protezione verso il popolo o in un miserabile attacco elitista.